Il feed back costruttivo: la critica manageriale in positivo

Una delle capacità più influenti nel coaching è quella di saper fornire un feedback efficace.

Tale feedback permette al collaboratore di sapere se il lavoro che ha svolto è stato fatto bene o se ha bisogno di migliorare le sue prestazioni.

Molto spesso i manager discutono con i singoli membri del proprio team di questioni di lavoro, ma non riferiscono mai, in maniera diretta, qual’ è la qualità della loro prestazione lavorativa relativamente a tali questioni.

Il feedback sulle prestazioni, invece, dovrebbe essere diretto ed immediato. Il feedback costruttivo dà informazioni specifiche, è centrato sulle questioni ed è basato sull’osservazione. Esso può essere di due tipi:

  • Feedback positivo, cioè notizie o informazioni date ad un collaboratore relativamente ad una prestazione lavorativa di buon esito.
  • Feedback negativo, cioè informazioni date ad un collaboratore circa una prestazione che necessita ulteriori miglioramenti. Il feedback negativo ha lo scopo di rilevare che i risultati raggiunti possono essere migliorati.

Le linee guida per dare un feedback costruttivo sono praticamente le stesse, sia che si debba dare un feedback positivo che negativo. Esse si suddividono nelle quattro categorie di seguito delineate:

Contenuto

Il contenuto è ciò che si dice nel momento in cui si sta fornendo un feedback costruttivo.

  1. Identificare l’ambito a cui si riferisce la prestazione considerata.
  2. Fornire i dettagli di quanto è accaduto

Modo

Il modo è come si comunica un feedback costruttivo. Il modo in cui si dice qualcosa, molto spesso, ha una portata maggiore di ciò che effettivamente si intende dire. Per questo il modo è molto importante quando si dà un feedback costruttivo.

  • Scegliere uno stile di comunicazione diretto
  • Optare per la sincerità ed evitare di dare messaggi confusi
  • Nelle situazioni di feedback positivo, esprimere l’apprezzamento
  • Nelle situazioni di feedback negativo, esprimere la preoccupazione
  • Comunicare il feedback direttamente alla persona interessata (viso a viso)
  • Formulare delle osservazioni non dei giudizi.

Immediatezza

Il feedback per una prestazione lavorativa che richieda di essere sottolineata va dato il più presto possibile, possibilmente in tempo reale, così che gli eventi verificatisi siano ben presenti nella memoria di tutti.

Frequenza

I collaboratori dovrebbero ricevere un feedback costruttivo in funzione dell’effettiva prestazione lavorativa. Osservando le prestazioni  si può notare che si verificano più esiti di prestazioni positive, rispetto alle negative, tuttavia i collaboratori vengono interpellati riguardo le loro prestazioni prevalentemente, se non solo, quando c’è qualcosa che non va. Il concetto generale che si vuol suggerire è molto semplice: bisogna cercare di comprendere e dare una risposta anche a chi che sta svolgendo bene il proprio lavoro, così come si fa con coloro che stanno facendo qualcosa non altrettanto soddisfacente.

Comunicare in team

“Se non hai un buon livello di eloquenza nel parlare e nello scrivere sarai una nullità; avrai la mortificazione quotidiana di veder persone senza neanche una decima parte delle tue qualità o conoscenze in vantaggio su di te” – Lord Chester Ford –

In poche parole, non si può avere un lavoro di squadra, se non si è, e non si hanno, giocatori comunicativi; senza la comunicazione non si ha una squadra, ma un mucchio di individui.

Quali sono le caratteristiche comuni delle persone comunicative?

1. Non si isolano dagli altri. Quando un membro del team si isola, è un problema per la squadra. Se più persone si isolano, il problema cresce. Più i membri comunicheranno più si capiranno, più si capiranno e più si uniranno. Un membro dotato di passione, informazioni e capacità di relazionarsi è un dono formidabile per qualsiasi squadra.

2. Facilitano la comunicazione dei compagni di squadra con loro stessi. La maggior parte dei problemi di comunicazione possono essere risolti con la “vicinanza”; in altre parole non solo avendo la capacità di relazionarsi, ma accertarsi che i  membri del team siano in grado di stabilire facilmente il contatto tra loro, adoperandosi per agevolarlo.

3. Seguono la regola delle ventiquattro ore. Quando si trovano dinanzi a conflitti o difficoltà interpersonali, alcuni evitano la persona con cui hanno il problema. Ma il tempo non sempre basta a porre rimedio. Le persone tendono a concedersi sempre il beneficio del dubbio, e pertanto scaricano sugli altri le motivazioni e le azioni negative. Se non si comunica la situazione è destinata ad aggravarsi. La regola delle ventiquattro ore dice che sei in difficoltà o in conflitto con un membro di qualunque team (lavoro, famiglia, sportivo, ecc.) non permettere che passino più di 24 ore senza affrontarlo. Di solito, prima si comunica, prima si sta meglio, e facciamo star meglio.

4. Dedicano la loro attenzione ai rapporti potenzialmente difficili. I rapporti hanno bisogno di attenzione per prosperare, soprattutto tra persone potenzialmente in conflitto.

5. Accompagnano le comunicazioni importanti con un testo scritto. Più la comunicazione diventa difficile, più è importante adoperarsi per mantenerla chiara e semplice, e a volte è meglio mettere per iscritto le comunicazioni (che si tratti di un promemoria, una scaletta, un approfondimento, ecc.).

Noi come comunichiamo?

Abbiamo un buon rapporto con tutti, o abbiamo escluso qualcuno dalla nostra cerchia di comunicazione?

Ci isoliamo dagli altri per essere più produttivi? Siamo accessibili o per noi la regola delle 24 ore è un optional?

La comunicazione aperta favorisce la fiducia, il nostro scopo dovrebbe essere parlare in modo sincero, ma gentile, con qualunque membro di qualunque team.

Non teniamo le cose nel cassetto, se abbiamo un problema con qualcuno troviamo la prima opportunità ragionevole per affrontarlo, e invitiamo gli altri a fare lo stesso con noi; ricordiamoci le persone possono dare il meglio soprattutto riguardo alle cose di cui sono al corrente.

La comunicazione aperta aumenta la fiducia, la fiducia aumenta l’appartenenza, l’appartenenza aumenta la partecipazione.

L’unione fa la forza, ma non vi può essere nessuna unione senza una buona comunicazione.

Autostima e dintorni

Tra i fattori più importanti che possono influenzare la nostra autostima vi è la distanza tra l’immagine di sé, (ovvero che abbiamo di noi stessi – come ci vediamo in un determinato momento) e il nostro sé ideale (come vorremmo essere in un certo momento futuro).

Ogni volta che percepiamo che i nostri comportamenti o prestazioni sono coerenti con la persona che potremo mai essere, la nostra autostima aumenta; ci sentiamo più felici e stimolati, abbiamo più entusiasmo ed energia, siamo più positivi e risultiamo più simpatici agli altri.

Al contrario quando comportamenti e prestazioni sembrano distanti o non coerenti con chi vorremmo essere, la nostra autostima cala; si sentiamo ansiosi e infelici, imbarazzati ed impacciati, arrabbiati e frustrati.

Di buono c’è che più è chiara in noi l’immagine del nostro sé ideale, cioè la persona che vorremmo essere, più è facile modificare i nostri comportamenti per renderli coerenti col nostro desiderio.

La migliore definizione di autostima in assoluto è “quanto ci piacciamo”; più ci piacciamo, migliori sono le cose che facciamo e di conseguenza ci sentiamo felici e sicuri.

La nostra mente è molto simile a uno spazio vuoto, ma non rimane tale a lungo; se non riempiamo di proposito la nostra mente con pensieri positivi e costruttivi, si riempirà da sola con i nostri timori, paure e preoccupazioni.

E’ importante “parlare” a noi stessi positivamente, non avere paura di piacerci e di ammetterlo: piacersi non vuol dire autocompiacersi, vuol dire avere una bella immagine di sé, trovando la forza, in ogni momento, di fare un altro passo per migliorare noi stessi e la nostra vita.

Aumentando la nostra autostima, ci sentiremo più positivi ed ottimisti, ci porremo obiettivi più elevati ed affronteremo sfide maggiori, avremo sempre più coraggio e sicurezza.

Prendiamoci il tempo necessario per fare assoluta chiarezza sulle virtù, caratteristiche, qualità e valori che maggiormente ammiriamo e che vorremmo fare nostri.

Molti psicologi ritengono che ogni pensiero, sensazione, idea, opinione, convinzione che abbiamo da adulti è stato acquisito a partire dalla prima infanzia, anche se più del 50% dei tratti della personalità (come il coraggio, l’estroversione, l’interesse musicale, la sensibilità, la capacità atletica, ecc.) è congenito e innato.

Ecco perché bambini nati nella stessa famiglia, che hanno avuto gli stessi genitori e ricevuto un’educazione simile, risultano spesso così diversi tra loro.

Ciononostante il modo in cui una persona pensa a se stessa, e come si percepisce in relazione alle proprie abilità e potenzialità, viene acquisito nella prima infanzia.

Al momento della nascita veniamo al mondo con due qualità naturali, la prima è che “siamo assolutamente privi di paure”, la seconda è che “siamo completamente spontanei”, e da adulti, quando ci sentiamo completamente rilassati e sicuri, circondati da persone che apprezziamo e di cui ci fidiamo, la nostra naturale tendenza è tornare ad essere aperti e senza paure, spontanei ed espressivi.

A queste qualità naturali si frappongono sin dalla prima infanzia due modelli negativi, che in seguito si trasformano nelle influenze più devastanti da adulti: il primo è “il modello di abitudine negativo inibitorio” che si trasforma ben presto in paura di fallire, rischiare, perdere. Da bambini la nostra pulsione naturale è esplorare il nostro ambiente, ma il più delle volte i genitori tendono a scoraggiare questa nostra attitudine. Il secondo è “il modello di abitudine negativo compulsivo”, ovvero la paura di essere rifiutati o criticati. I genitori concedono o negano l’approvazione e il sostegno in base al comportamento del figlio, è il metodo della “carota e del bastone”. Purtroppo questo viene memorizzato con un “se voglio vivere serenamente, devo acconsentire”, e nell’età adulta potrebbe trasformarci in persone ipersensibili agli atteggiamenti e alle opinioni altrui.

Paure ed autostima hanno un rapporto inversamente proporzionale o opposto.

In altre parole, più ci piacciamo, meno temiamo il fallimento e il rifiuto.

Maggiore è la nostra autostima e minori saranno i timori ed i dubbi che frenano la maggioranza della gente; più riconosceremo il nostro valore e più saremo disposti a correre dei rischi e ad accettare le inevitabili sconfitte, gli ostacoli e i fallimenti passeggeri che si verificheranno.

In altre parole, andremo per la nostra strada.

Informarsi su un potenziale cliente

Cosa ci serve sapere dell’attività di un potenziale cliente?

Quanto possiamo sembrare impreparati se, sedendoci davanti ad un cliente, gli chiediamo in cosa consiste la sua attività?

Basterebbe andare sul sito web, stampare le videate, piuttosto che prendere appunti, in modo da poter condurre un “intervista intelligente” che non parta dal presupposto dell’ignoranza di chi si ha di fronte, ma dell’approfondimento della sua conoscenza.

“Ditemi qualcosa della vostra attività” in quanto ad entrata in scena è seconda solo, come dimostrazione di piattume indifferenziato, all’affermazione “lasciate che vi dica di cosa mi occupo”.

Ma vediamo dove, e come, possiamo trovare informazioni sui potenziali clienti e sulle loro attività prima di andare a visitarli; l’elenco non pretende di essere esaustivo.

1.      Internet. Non solo nel sito. Scrivere il nome dell’azienda o dei suoi amministratori in un motore di ricerca potrebbe farci accedere ad articoli o informazioni importanti. E se non hanno un sito, non sono sulle pagine gialle o bianche, e non si trova notizia alcuna in internet? Beh anche questo vorrà dire qualcosa? Cominciamo da quelli che ci sono!

2.      Le loro pubblicazioni. Brochure, depliant e quant’altro. In alcuni casi anche monografie. E’ probabile che siano una serie di vanterie, ma potremmo trovare informazioni anche rispetto ai loro campi di interesse, alla copertura di mercato, di cosa pensano di sé e dei propri prodotti.

3.      I loro fornitori. Di solito questi sono riluttanti a parlare, ma se con qualcuno di loro si ha buon feeling, si possono avere informazioni su come è fare affari con loro e se sono puntuali nei pagamenti. Informatori di informazioni preziose raramente utilizzati.

4.      I loro concorrenti. Facciamo solo domande casuali ad esempio sul modo in cui hanno successo. Più un concorrente è inviperito, più informazioni “arrabbiate” ci fornirà.

5.      I loro clienti. I clienti parlano e ci possono dare informazioni per quanto riguarda consegne, organizzazione, qualità e quelle piccole informazioni che potrebbero crearci vantaggi.

6.      Persone della nostra cerchia che possono conoscerli. Una breve mail ai  nostri contatti più stretti ci porteranno sempre una o due notizie, magari il tassello che cercavamo.

7.      I loro venditori. La risorsa migliore e meno usata; con un venditore si ottengono tante di quelle informazioni da non credere.

Quindi non si tratta solo di cercare informazioni in internet, ma di trovare le strade di volta in volta più adatte.

E’ inoltre importante fissare a priori uno o due obiettivi che si vogliono raggiungere dall’incontro col potenziale cliente.

Prepararsi richiede tempo, e a volte fatica, ma il cliente si accorge di chi è preparato, e ne rimane colpito.

Prepararsi adeguatamente è un vantaggio che pochissimi venditori usano perché commettono l’errore di partire da metà strada, dall’azione, facendo leva sulla loro mercanzia: campioni, pubblicazioni, presentazioni in power point, biglietti da visita … le stesse cose che ha appena fatto il concorrente precedente, e che con ogni probabilità farà il concorrente successivo.