Diventare una persona di valore

“I pensieri conducono agli scopi, gli scopi si realizzano nell’azione, le azioni formano le abitudini, le abitudini plasmano il carattere, il carattere stabilisce il nostro destino” – Tryon Edwards –.

Quasi tutto ciò che siamo o diventeremo è determinato dai nostri pensieri, dalle nostre emozioni e dai nostri comportamenti, e quasi tutto ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo dipende dalle nostre abitudini, quindi il segreto sta proprio nello sviluppare buone, meglio se eccellenti, abitudini.

Le buone abitudini sono difficili da costruire, ma è facile conviverci, le cattive abitudini, al contrario, si acquisiscono facilmente, ma è difficile conviverci.

In entrambi i casi, una volta che un’abitudine è stata acquisita, diventa facile e automatica.

Veniamo al mondo senza abitudini, le acquisiamo tutte a partire dall’infanzia attraverso il processo “stimolo, comportamento, conseguenze”. Per prima cosa nella nostra vita accade qualcosa che stimola un pensiero o una sensazione, in secondo luogo reagiamo comportandoci in un certo modo, infine sperimentiamo una certa conseguenza. Ripetendo questo processo con una certa frequenza, acquisiamo una nuova abitudine.

Ma quanto tempo ci vuole per acquisire una nuova abitudine?

Il periodo di tempo può variare da un secondo a diversi anni, ed è in gran parte determinato dall’intensità dell’emozione che accompagna la decisione di iniziare ad agire in un certo modo.

Secondo gli esperti ci vogliono circa 14-21 giorni per formare un modello di abitudine di media complessità quale alzarsi presto, fare esercizio fisico ogni mattina prima di uscire, andare a letto a una certa ora, essere puntuale agli appuntamenti, pianificare ogni giornata in anticipo, iniziare la giornata con i compiti più importanti o completare i compiti presenti prima di iniziare qualcos’altro.

Come fare per sviluppare una nuova abitudine? Una collaudata metodologia finalizzata allo sviluppo di nuove abitudini prevede 7 mosse.

1.      Prendere una decisione. Decidere di agire in un determinato modo il 100% delle volte.

2.      Niente eccezioni. Non troviamo scuse, giustificazioni o alibi durante la fase formativa.

3.      Parliamone. Informiamo le persone vicino a noi, saremo più rigorosi e determinati con noi stessi una volta consapevoli di aver condiviso un obiettivo con qualcuno

4.      Visualizziamoci. Più spesso ci immaginiamo come se avessimo acquisito una nuova abitudine, più questo comportamento sarà assimilato e automatizzato dal nostro subconscio.

5.      Ripetiamocelo. Mentalmente o a bassa voce, ricordiamoci continuamente il nostro obiettivo. Ad esempio se la mattina dobbiamo alzarci prima del previsto, ripetiamoci prima di addormentarci “devo svegliarmi alle …” Nella maggior parte dei casi ci si sveglia automaticamente qualche minuto prima che suoni la sveglia.

6.      Decidiamo di persistere. Pratichiamo il nuovo comportamento finché non ci riesca così facile da sentirci a nostro agio.

7.      Premiamoci. Associamo la ricompensa al nuovo comportamento, creiamoci conseguenze positive.

Diventare una persona di valore vuol dire avere abitudini eccellenti, ma per fare questo bisogna essere indulgenti e pazienti con noi stessi.

Ci abbiamo messo una vita a diventare ciò che siamo, non è possibile cambiare tutto dalla sera alla mattina; anche se abbiamo una serie di nuovi comportamenti che vorremmo adottare, facciamolo con calma, una nuova abitudine alla volta.

Quando la nuova abitudine sarà assimilata e automatizzata, potremo passare ad apprendere la successiva.

Noi siamo un “divenire umano”, in uno stato di crescita ed evoluzione permanente, in cui non importa da dove veniamo, ma conta dove siamo e soprattutto dove, e come, vogliamo andare.

“Ciò che accade a un uomo è meno importante di ciò che accade dentro di lui” – Louis L. Mann –.

Tre idee stupide

Il marketing è un campo molto complesso; una decina di anni fa le sfide che si ponevano erano, più o meno, le seguenti:

  • L’emergere di un universo di cinquemila canali
  • Riconciliare le tensioni storiche tra marketing e vendite
  • Calcolare il ritorno sugli investimenti pubblicitari
  • Tenersi al passo con i gusti volubili del pubblico

Oggi basta dare una rapida occhiata a un motore di ricerca come Google o Yahoo per capire i canali sono miliardi.

La distinzione tra marketing e vendite è svanita grazie alle tecnologie del marketing diretto.

Il gusto è stato soppiantato da una molteplicità di gusti, differenziati, difficili da sondare.

Concetti pubblicitari come “ci vuole una grande idea per attrarre l’attenzione dei consumatori ed indurli a comprare” piuttosto che “non differenziarsi equivale al suicidio” non sembrano più al passo con tempi.

Oggi si tende a ridurre la creatività, partendo dal concetto che l’imitazione intersettoriale è più efficace della creatività e dell’innovazione casuale; appropriarsi dei concept marketing già esistenti è meno costoso ed assai più veloce che sviluppare concept nuovi, in quanto si tratta semplicemente di “clonare” una grande idea da un settore a un altro.

Tutti i manager sanno che il segreto del successo non è la strategia, ma un gruppo galvanizzato che la metta in atto: l’energia non sta nell’idea, ma nella sua esecuzione.

Il successo premia le aziende capaci di creare un sistema di business vincente intorno ad idee non “originali”; la parte più difficile per il marketing è avere a disposizione un team interfunzionale (ricerca e sviluppo, produzione, finanze, vendite, ecc.) che sa puntualmente come agire e che, con il suo entusiasmo, attua una comunicazione efficace.

Alla domanda “se esistessero studi che individuano gli elementi di distinzione fra venditori mediocri e venditori eccellenti” il Presidente di una nota multinazionale rispose “la distinzione sta nel numero delle volte che il venditore torna da un cliente per concludere la vendita”.

Gli uomini di marketing sanno che un requisito necessario è la fiducia in se stessi e nei colleghi; i migliori riescono a comunicare al mondo esterno questa fiducia, e la trasmettono al cliente.

La grande idea non è necessariamente un’idea nuova o originale.

Cose che nel mondo sono molto comuni, possono essere nuove per noi o per la nostra organizzazione.

Ciò è più che sufficiente per entusiasmare un gruppo, creare fiducia e costruire una struttura di marketing straordinaria, creando un tessuto che unisce le comunità interne con quelle esterne.

Alla complessità occorre saper contrapporre la semplicità.

L’intuito nelle relazioni d’affari

Ci sono regole per avere successo nella vita, e pertanto negli affari?

Potremmo dire tranquillamente “si”, anche se poi le ricette che da più parti provengono, non sempre sono uniformi, e a volte sono pure contrastanti.

Tra tutte le regole prendiamone cinque, sapendo che la lista potrebbe essere sia allungata, che contestata: capacità, ambiente, fortuna, motivazione, intuito (l’ordine non è prioritario).

La capacità è sicuramente legata alla conoscenza specifica ed all’aggiornamento continuo, e quindi alle abilità che maturano col tempo e con l’esperienza: non è un talento, ma è qualcosa che si acquista nel tempo, grazie al saper collegare diverse esperienze specifiche, generalizzandole, ed aumentando, di conseguenza, il proprio bagaglio culturale.

La conoscenza dell’ambiente (territorio, persone, ecc.) e avere le giuste informazioni su di esso è fondamentale; trovarsi bene e sapersi (quantomeno) muovere, aumentano considerevolmente le possibilità di successo.

La fortuna divide le opinioni, c’è chi dice che è cieca (e che è la sfortuna a vederci benissimo), e c’è chi dice che va conquistata (nulla succede per caso); tutti concordano che, senza almeno un po’ di “buona sorte”, le cose non funzionano, o si fa gran fatica a farle funzionare.

La motivazione è quella “fame” che ci spinge a volere ottenere un determinato risultato: più la “fame” è forte, più siamo disposti ad apprendere, imparare, sviluppare capacità e, talvolta, anche a subire; più è debole, più facilmente molliamo il colpo.

Non ultimo l’intuito, ovvero il saper “leggere” le situazioni correttamente e prima degli altri.

Nel film “Amici miei” vi era un tormentone che, accompagnando momenti di grottesca ilarità, descriveva il genio come un insieme di doti quali la fantasia, l’intuito, la decisione e la rapidità di esecuzione.

A pensarci bene è così anche nelle relazioni di lavoro, dalla più semplice, alla più complessa, e, per quanto possano cambiare tempi, modalità contesto e motivazioni, intuito, creatività, decisione e rapidità di esecuzione sono le qualità che contraddistinguono le persone negli affari.

Se intuire è la capacità di gettare utilissime occhiate nell’animo altrui, non è possibile esercitare tale dote se non si sviluppano contemporaneamente due peculiarità che ne affinano la sensibilità, ovvero le capacità di osservare e ascoltare.

Se l’intuito è la possibilità di sentire con la “pelle”, è difficile riconoscere i segnali che la stessa ci manda se siamo troppo concentrati su noi stessi, su quello che abbiamo da dire e su quello che vogliamo o non vogliamo, in quanto, così facendo, limitiamo, e a volte azzeriamo, le nostre attività di ascolto e osservazione.

Nelle innumerevoli relazioni di lavoro che quotidianamente mi trovo a dover affrontare, vedo interlocutori (diretti o indiretti) troppo occupati ad ascoltare se stessi per dar retta agli altri, e, inevitabilmente, “sbattono sempre contro lo stesso muro” non solo non riuscendo ad evitare il colpo, ma non capacitandosi di come questo possa accadere e prendendosela, di conseguenza, col “mondo intero”.

Possiamo dire che queste persone hanno capacità d’ascolto e osservazione vicino allo zero e che, come diceva Roger Miller, anziché sentire l’arrivo della pioggia, riescono sistematicamente a bagnarsi, aprendo il proprio ombrello in ritardo (sempre ammesso che lo aprano), vanificando le proprie possibilità intuitive.

Tutti  siamo dotati di intuito: c’è chi si sforza di svilupparlo, c’è chi si accontenta di quello che ha, c’è chi tende a comprimerlo.

E’ l’intuizione che ci permette di vedere oltre il presente, di “vivere” la “vera” natura di un individuo, aldilà delle maschere che ognuno di noi può indossare a seconda delle circostanze.

Più conosciamo una persona e più riusciamo a penetrare nel suo “io”; una tale conoscenza è di valore inestimabile, ma richiede che si parli di meno e si ascolti, e si osservi, di più, permettendo al proprio intuito di crescere e svilupparsi.

Sentirsi liberi

“Liberi liberi” é una canzone che Vasco Rossi ha scritto verso la fine degli anni ’80 e che di recente ho potuto riascoltare a più di vent’anni di distanza; superfluo dire che, il significato delle sue parole, oggi mi suona completamente diverso.

L’essere umano tende perlopiù a “generalizzare”, agendo sulla base di “automatismi” (per cui un’informazione, una volta acquisita, viene interiorizzata e considerata valida per tutte le situazioni simili) determinati dalla propria infanzia, educazione, esperienza passata.

La maggior parte delle persone diventa come schiava del proprio passato, ritenendo di non avere margini di autonomia nel disegnare la propria vita; queste persone limitano da sé la possibilità di essere “liberi”, prigioniere di credenze e valori del passato.

La prima qualità da risvegliare, per poter crescere, è la libertà

Libertà intesa come libertà di pensiero, di espressione e di azione, libertà da pregiudizi, da condizionamenti inutili, da sensi di colpa ingiustificati e dalla dipendenza, libertà dai dettami dell’abitudine e della convenzione.

Nella misura in cui acquisiamo dimestichezza con il nostro “spazio interno” fatto di emozioni, pensieri, fantasie, ricordi, desideri… impariamo a saper scegliere e a decidere come agire in ogni circostanza.

Dalla libertà nasce la possibilità di guardare il mondo in modo “creativo”.

Libertà e creatività si accompagnano poi indissolubilmente alla capacità di assumersi la responsabilità di scegliere, consapevoli che gran parte del nostro destino viene costruito momento per momento da ciascuno di noi, con il nostro modo di pensare, di agire, con l’atteggiamento nei confronti degli altri e delle diverse situazioni, con il modo di comunicare e di presentarci.

Cosa dovremmo e come potremmo fare?

  1. Diffidare dei luoghi comuni. La pigrizia mentale è il terreno fertile sul quale attecchiscono informazioni fasulle, superficiali, tendenziose.
  2. Riconoscere i pregiudizi. Per non lasciarsi guidare “alla cieca” da direttive formulate da altri, e in cui fatichiamo a riconoscerci.
  3. Non generalizzare. La realtà è molto più varia e complessa. Guardare il mondo attraverso schemi generali non permetterà mai di cogliere l’unicità di ogni singolo istante.
  4. Riflettere prima di agire. “Agire” e non “reagire” per non essere schiavi dei propri impulsi, e dirigere consapevolmente le proprie energie.
  5. Superare i timori ingiustificati. Associando qualcosa che nel passato abbiamo temuto e oggi  troviamo innocuo o addirittura piacevole.
  6. Vivere il presente. Diventando capaci di apprezzare e assaporare quanto la vita propone e aprendosi a emozioni sempre nuove.
  7. Avere fiducia nel futuro. Non facciamoci abbattere dall’inutilità causata dal fatalismo, ed investiamo le nostre energie per dare un contributo concreto alla costruzione di un futuro degno di essere vissuto.

Essere liberi significa essere consapevoli delle proprie scelte e della propria crescita e trasformazione, del proprio vivere il presente come unico e irripetibile, per non avere un passato di rimpianti e per non rincorrere ostinatamente il futuro.

Il consenso

Consenso indica che si è d’accordo su qualcosa, ma non significa necessariamente accordo pieno di tutti su tutto, ovvero non significa unanimità.

L’unanimità può anche arrivare, ma non è certo un obiettivo: il consenso punta a far convivere le differenzenon ad eliminarle.

Perciò in una decisione consensuale vi possono essere diversi gradi di accordo e molte sfumature riguardo agli impegni che i diversi membri si assumono rispetto a una determinata decisione, ma il tutto avviene in modo esplicito e accettato.

Le basi del consenso

  • Il fine non giustifica i mezzi; i mezzi contengono il fine.
  • Il singolo non viene schiacciato dal gruppo, il gruppo non viene bloccato dal singolo.
  • Il singolo ha il potere e la responsabilità di sollevare i problemi; il gruppo ha il potere e la responsabilità di riconoscerli e risolverli.
  • Le buoni soluzioni tengono conto sia degli aspetti concreti dei problemi, sia delle relazioni tra i soggetti.
  • Distinguere le persone dai problemi e concentrarsi sui problemi (duri con il problema, morbidi con le persone).
  • Distinguere i bisogni dalle soluzioni, il cuore delle questioni non si trova nelle posizioni di partenza.
  • Inventare soluzioni: generare opzioni e definire obiettivi fattibili.
  • Abbandonare una proposta di soluzione non significa rinunciare ai propri principi o ai propri bisogni, ma semplicemente ricercare altre soluzioni.
  • Operare scelte sulla base di criteri riconosciuti e trasparenti.
  • Saper stare costruttivamente nel disagio (frustrazione, irritazione, preoccupazione, ecc.).

In definitiva significa rispettare le basi del processo che tende a costruire “accordi nel disaccordo”.

Il consenso riguarda in sostanza la volontà di continuare a camminare insieme.

Il vero consenso è basato sulla fiducia e sulla libertà, altrimenti non funziona, e nemmeno si potrebbe chiamare consenso.

Infatti non è vero consenso quello che si fonda sulla paura dell’altro o sulla dipendenza dagli altri

Durante “la produzione del consenso” ci si può trovare di fronte diversi tipi di problemi, quali osservazioni che puntano a dei miglioramenti, piuttosto che a perplessità, dubbi o riserve, in merito a una proposta.

Questo tipo di problemi si può affrontare con una discussione più approfondita e in genere è probabile che si trovi un accordo consensuale, a meno che, nel durante, i “miglioramenti” o le “perplessità” non si siano trasformati in disaccordo.

Infine possiamo trovarci di fronte a un disaccordo verso la proposta, più o meno forte, ma comunque esplicito e chiaro: qui il problema sollevato è tale per cui la parte avversa (una persona o una minoranza) è contraria alla proposta (tutta o in parte).

Di fronte a situazioni di disaccordo si aprono quindi due possibilità:

a) il gruppo alla fine riconosce la validità del problema sollevato e procede al cambiamento

b) il gruppo riconosce la validità del problema sollevato e può quindi procedere nella decisione che intendeva prendere inizialmente.

Per evitare blocchi decisionali occorrono molta fantasia, pazienza e fiducia, ma  anche la capacità di stare nel disagio, nella stanchezza, nella frustrazione.

La fantasia ha bisogno della fiducia e della pazienza, perché in un clima in cui potrebbero generarsi risentimento, reciproche accuse e paura, il tempo e le energie sono investiti per distruggere e non per creare.

La paura è il vero grande blocco e per superarla è bene ricordarsi e ricordare che è impossibile non prendere decisioni, per cui superarla è il primo grande passo per la ricerca del consenso.