Investire su noi stessi

Nella maggior parte dei casi, nelle vendite, i potenziali clienti “comprano” prima la persona, se “comprano” la persona, poi potrebbero comprare ciò che vende.

La molla che fa scattare tutto è legata all’impegno con cui lavoriamo, all’intelligenza che profondiamo, a quanto ci applichiamo e, non ultima (ma prima) alla fiducia che abbiamo in noi stessi che, più di ogni altra cosa, aiuterà il “nostro nome” a diffondersi.

La promozione personale è …

  • Creare una richiesta per i nostri prodotti e servizi, attraverso sistemi diversi dalla pubblicità diretta;
  • Fare in modo che gli altri abbiano fiducia in noi, e quindi ci rispettino;
  • Fare in modo che gli altri abbiano fiducia nella nostra attività, grazie a una reputazione di performance di qualità;
  • Farsi riconoscere come una persona di valore, quindi come una risorsa;
  • Separarci dalla concorrenza, fissando noi gli standard di paragone;

Quali comportamenti e atteggiamenti sono consoni ad accompagnare la propria promozione personale?

  • Prima di tutto essere disposti a dare il meglio di sé, non è l’unico modo ma è il migliore e più duraturo;
  • Dedicarci il tempo necessario affinché le cose accadano – se si vuole creare un’immagine duratura, bisogna prima avere un progetto;
  • Farsi aiutare dagli altri, coloro che possono darci una mano o fornirci agganci … il modo migliore per ottenere collaborazione? Essere i primi a darne senza aspettarsi nulla in cambio;
  • Mettere un tocco creativo in quello che si fa, restare impressi nella memoria è importantissimo per costruirsi una posizione in vista sul mercato;
  • Diventare una risorsa è molto più efficace che essere percepito come un venditore o un imprenditore, le persone ci cercheranno e faranno attenzione a ciò che diremo, se crederanno che quello che diciamo e facciamo abbia valore per i loro affari;
  • Essere perseveranti e coerenti, è inutile fare le cose una sola volta per poi sedersi ad aspettare, occorre continuare ad insistere;
  • Divertirsi nel fare le cose, chi si prende troppo sul serio ha problemi a riconoscere cos’è veramente importante … facciamo finta che sia un gioco e giochiamoci meglio che possiamo per vincere;
  • Perseguire l’obiettivo personale di essere il migliore, non l’obiettivo materiale di fare tanti soldi … se si è riconosciuti come il migliore, i soldi saranno una conseguenza;
  • Ignorare idioti e fanatici, il mondo è pieno di persone gelose e bastian contrari.

Fare questo, o anche solo una buona parte, avrà riflessi positivi su di noi e sulla nostra azienda.

Non è qualcosa a cui si può dare un prezzo.

E’ la differenza tra dover vendere e avere della gente che vuole comprare.

Il vecchio paradigma del sapere

Il periodo classico della scienza è dominato dalle mele, incominciando da quella fatale raccolta da Adamo, fino a quella osservata cadere da Newton.

L’opera di Newton consentì all’umanità di “dominare” la natura, assimilando il mondo ad un orologio, nel quale qualunque fenomeno obbediva ad una logica meccanicistica, inesorabile, impeccabile, irrevocabile, inalterabile.

In questa concezione ogni cosa obbedisce alle leggi della natura, per cui ogni individuo obbedisce alle leggi della specie, ed ogni uomo obbedisce alle leggi della comunità.

Nel contesto illuminista la scienza veniva considerata come la conoscenza vera del mondo, lo specchio esauriente e fedele in cui di rifletteva l’ordine ammirabile e sublime del cosmo, con la prospettiva che il sapere dovesse essere una ricostruzione esatta ed esaustiva dell’universo.

Sapere significava accostarsi al punto di vista assoluto, dal quale dominare e conoscere in modo esaustivo, ed oggettivo, l’intera umanità.

Fino a qualche decennio fa si pensava che il sapere si ampliasse progressivamente tramite un processo di accumulazione, ed era pertanto considerato come un percorso irreversibile nel quale le conoscenze si aggiungevano ad altre conoscenze in modo lineare; si pensava che il sapere fosse quindi indefinitamente estendibile, senza mai giungere ad un termine ultimo.

Facendo ricorso alla metafora, la conoscenza tradizionale è paragonabile ad un’autostrada, mentre quella moderna è paragonabile a delle piste.

In passato ogni segmento era ritenuto aggiuntivo a quello precedente, rappresentando un ulteriore tratto percorribile che andava ad aumentare la viabilità totale dell’autostrada.

Per contro, oggi, ogni attività di conoscenza, non essendo cumulabile con le conoscenze desunte da esperienze precedenti, va a costituire piuttosto una pista, una traccia, da ampliare ed approfondire.

La scienza classica era fondata sul necessario/non necessario, considerandolo equivalente a esistente/non esistente, ammettendo nei propri confini di esperienza solo quei fenomeni suscettibili di verificarsi regolarmente.

L’essere umano di oggi presenta analogie notevoli con questo modo di intendere la conoscenza, andando alla ricerca di principi validi dovunque, in qualunque circostanza e per ogni tempo, convinto che ogni fase successiva di conoscenza produca una progressiva diminuzione dell’ignoranza.

Quindi tende al cumulo lineare di esperienze precedenti e successive.

Il rischio che corre è essenzialmente quello di diventare rigido e dogmatico, e quindi di rispondere per il presente, e per il futuro, solo in modo parziale alle sue domande.

Occorre una visione rotonda dei fenomeni e della vita.

Non dare mai nulla per scontato.

E’ importante verificare rispetto ai precedenti, ma lo è altresì il cercare nuove strade, anche fuori da schemi predeterminati.

Questo è sicuramente un modo per mantenersi “giovani”, prendendo ogni cosa come un gioco; rcordiamoci che i bambini, quando giocano, lo fanno molto seriamente.

Le strategie di comportamento nei contesti di lavoro

La dimensione della relazione è una variabile in grado di contribuire (o meno) in modo determinante alla definizione delle performance di un’organizzazione, e più in particolare alla capacità delle persone di assumere comportamenti collaborativi, sia nella relazione con un collega sia all’interno di gruppi di lavoro.

Tali osservazioni e considerazioni prendono il via, e si basano, su alcune condizioni di contesto che si ritrovano in tutti gli ambienti e tra le quali si evidenziano:

1.      Dipendenza reciproca. Gli effetti dei comportamenti di un singolo o di un gruppo dipendono anche dai comportamenti di altri singoli o di altri gruppi di persone;

2.      Informazione imperfetta, ovvero incapacità di prevedere esattamente le scelte e gli atteggiamenti dei colleghi;

3.      Assenza “naturale” di finalità cooperative. Ciascun soggetto o gruppo di persone persegue il proprio “benessere individuale”, che non necessariamente coincide con quello altrui o con il “benessere collettivo”. Questo significa che l’assunzione di comportamenti cooperativi non costituisce la strategia dominante per un individuo.

Passando dalle condizioni di contesto, alle strategie di comportamento prevalenti adottate in tali occasioni, ritroviamo:

a)      La strategia non cooperativa. Due (o più) individui, con un interrogativo: assumere comportamenti cooperativi o atteggiamenti individualistici: collaborare con l’altro (gli altri) oppure no? Laddove non vi sia la possibilità di comunicare, dunque stipulare un accordo preventivo vincolante, la strategia non cooperativa risulta la dominante, al punto che, anche a posteriori, cioè dopo aver conosciuto la mossa dell’altro, nessuno ha interesse a modificare la propria scelta, anche se ciò determina un risultato peggiore, o un guadagno inferiore, rispetto all’ipotesi cooperativa.

b)      L’insorgenza naturale della cooperazione. Quando le controparti di soffermano a valutare se collaborare, o no, nella maggior parte dei casi si nota l’insorgenza “naturale” di atteggiamenti cooperativi, in particolare quando subentra la possibilità di capire che, continuando a rimanere sulle proprie posizioni, saranno condannate nel lungo periodo a perdite ingenti. Decidono implicitamente di adottare comportamenti cooperativi, grazie ai quali pensano di poter ottenere un incremento significativo del proprio benessere individuale, ancorché raggiungere un risultato socialmente migliore.

c)      La strategia del colpo su colpo. Prevede che si parta sempre adottando una strategia collaborativa, per poi replicare nelle situazioni successive la mossa dell’altro. In tal caso emerge un chiaro suggerimento di condotta morale: partire sempre accordando fiducia all’altro, dunque scegliere sempre come prima mossa la collaborazione!

d)      La relazione interpersonale come strumento e come fine. Considerando l’individuo unicamente come soggetto razionale, lo si identifica con azioni che perseguono esclusivamente il proprio benessere “materiale”. Ammettendo invece che le persone tengano in considerazione non solo il proprio tornaconto personale, ma anche valutazioni di tipo morale, allora le considerazioni fino ad ora illustrate necessitano di essere integrate. La relazione interpersonale può essere interpretata sia come strumento, che come obiettivo da perseguire. Risulta più facile instaurare rapporti cooperativi, ovvero raggiungere accordi negoziali, con persone con cui si è legati da fiducia reciproca.

In definitiva, il clima ed il benessere organizzativo influiscono significativamente sulle performance.

Competenze quali l’empatia e l’intelligenza emotiva, ovvero le competenze trasversali legate più al saper essere, che combinate al sapere e al saper fare, vanno a comporre l’expertise delle persone e facilitano l’attivazione di comportamenti collaborativi e cooperativi, al di là della pura applicazione di criteri di comportamento dettati da razionalità e da interesse individuale.

Vendere in momenti di crisi

Quando vi è crisi la domanda ricorrente è “come posso vendere quando nessuno compra?”, ovvero “come posso vendere quando i consumatori, spaventati dalla crisi, sono meno propensi a spendere, anche a causa di una minore sicurezza e fiducia nel futuro”?

Pensare al “nessuno compra” anziché al “perché la gente compra” rischia di far precipitare il venditore in un pensiero negativo che lo allontanerebbe irrimediabilmente dal “creare un’atmosfera che invogli la gente a comprare”.

In momenti in cui si modificano i bisogni dei consumatori, la domanda giusta da porsi è: “come rispondo alle nuove esigenze, in un nuovo contesto”?

Vivere la crisi come opportunità di sviluppo, vuol dire vivere la vendita come necessità di ottimizzare il momento di contatto e di relazione con a clientela, inteso come una vera e propria “partnership”, modificando il proprio processo di fidelizzazione, tenendo conto dei suoi bisogni concreti e materiali, ma anche di quelli interiori, nonché delle aumentate resistenze emotive all’acquisto.

Le aziende pensano a come re-ingegnerizzare il loro prodotti, al fine di produrre beni e servizi più economici, ma tutto ciò richiede investimenti importanti e tempo, elementi che molte “società” non hanno propriamente a disposizione.

Anche una diffusa liberalizzazione di servizi e infrastrutture potrebbe generare un volano virtuoso,  ma richiederebbe una volontà politica capace di reggere e vincere una conflittualità intensa.

Ancora oggi, e non sappiamo se, purtroppo o per fortuna, vi è ancora una risposta che non si concentra tanto sulla qualità dei prodotti, ne sull’efficienza della loro catena, quanto sulla capacità di vendere in maniera superiore, soprattutto pensando ai beni durevoli, complessi e tecnologici.

Partendo dall’assunto che non è un prodotto eccellente che fa un’azienda sana, ma è la sua capacità di vendere e fare profitti su prodotti e servizi, sarebbe forse più economico, veloce e produttivo ricercare un’ottimizzazione delle modalità di vendita, per le quali è difficile, se non impossibile, trovare un qualunque processo innovativo, significativamente efficace, negli ultimi 20/30 anni.

Per quanto, nella congiuntura in cui siamo, più che la capacità dei singoli, sarebbe richiesta un’azione di tipo sistemico, ancora oggi le vendite sono affidate alle abilità di  manager e venditori,  al loro fiuto commerciale, ed al loro equilibrio interiore, ed alle risposte che sanno darsi e dare.

In questi momenti credere in se stessi è più che mai indispensabile, un vero impegno quotidiano di auto convincimento ed auto incoraggiamento.

Credere nelle proprie possibilità (capacità – prodotto – azienda) genera fiducia, ed avere fiducia ci da la forza di credere di poter riuscire.

Ricercare le opportunità dove tutti vedono i limiti, mantenendo un atteggiamento positivo ed intravedendo le possibilità anche in situazioni che sembrano negative e d’ostacolo, è la premessa per predisporsi a risolvere i problemi.

Avere un atteggiamento positivo non è una caratteristica comune, è facile incontrare gente che tende a sviluppare un cinismo sfinente e irreversibile; criticare e criticarsi è inversamente proporzionale all’avere successo ed è una gran perdita di tempo.

Oggi più che mai la vittoria che chiamiamo successo va alla persona più equilibrata, preparata, fiduciosa in sé stessa, disciplinata e responsabile, che vede le opportunità laddove tutti vedono i rischi.

Il saggio dice “l’uomo non fallisce quando cade, ma quando smette di rialzarsi”.