La dimensione della relazione è una variabile in grado di contribuire (o meno) in modo determinante alla definizione delle performance di un’organizzazione, e più in particolare alla capacità delle persone di assumere comportamenti collaborativi, sia nella relazione con un collega sia all’interno di gruppi di lavoro.
Tali osservazioni e considerazioni prendono il via, e si basano, su alcune condizioni di contesto che si ritrovano in tutti gli ambienti e tra le quali si evidenziano:
1. Dipendenza reciproca. Gli effetti dei comportamenti di un singolo o di un gruppo dipendono anche dai comportamenti di altri singoli o di altri gruppi di persone;
2. Informazione imperfetta, ovvero incapacità di prevedere esattamente le scelte e gli atteggiamenti dei colleghi;
3. Assenza “naturale” di finalità cooperative. Ciascun soggetto o gruppo di persone persegue il proprio “benessere individuale”, che non necessariamente coincide con quello altrui o con il “benessere collettivo”. Questo significa che l’assunzione di comportamenti cooperativi non costituisce la strategia dominante per un individuo.
Passando dalle condizioni di contesto, alle strategie di comportamento prevalenti adottate in tali occasioni, ritroviamo:
a) La strategia non cooperativa. Due (o più) individui, con un interrogativo: assumere comportamenti cooperativi o atteggiamenti individualistici: collaborare con l’altro (gli altri) oppure no? Laddove non vi sia la possibilità di comunicare, dunque stipulare un accordo preventivo vincolante, la strategia non cooperativa risulta la dominante, al punto che, anche a posteriori, cioè dopo aver conosciuto la mossa dell’altro, nessuno ha interesse a modificare la propria scelta, anche se ciò determina un risultato peggiore, o un guadagno inferiore, rispetto all’ipotesi cooperativa.
b) L’insorgenza naturale della cooperazione. Quando le controparti di soffermano a valutare se collaborare, o no, nella maggior parte dei casi si nota l’insorgenza “naturale” di atteggiamenti cooperativi, in particolare quando subentra la possibilità di capire che, continuando a rimanere sulle proprie posizioni, saranno condannate nel lungo periodo a perdite ingenti. Decidono implicitamente di adottare comportamenti cooperativi, grazie ai quali pensano di poter ottenere un incremento significativo del proprio benessere individuale, ancorché raggiungere un risultato socialmente migliore.
c) La strategia del colpo su colpo. Prevede che si parta sempre adottando una strategia collaborativa, per poi replicare nelle situazioni successive la mossa dell’altro. In tal caso emerge un chiaro suggerimento di condotta morale: partire sempre accordando fiducia all’altro, dunque scegliere sempre come prima mossa la collaborazione!
d) La relazione interpersonale come strumento e come fine. Considerando l’individuo unicamente come soggetto razionale, lo si identifica con azioni che perseguono esclusivamente il proprio benessere “materiale”. Ammettendo invece che le persone tengano in considerazione non solo il proprio tornaconto personale, ma anche valutazioni di tipo morale, allora le considerazioni fino ad ora illustrate necessitano di essere integrate. La relazione interpersonale può essere interpretata sia come strumento, che come obiettivo da perseguire. Risulta più facile instaurare rapporti cooperativi, ovvero raggiungere accordi negoziali, con persone con cui si è legati da fiducia reciproca.
In definitiva, il clima ed il benessere organizzativo influiscono significativamente sulle performance.
Competenze quali l’empatia e l’intelligenza emotiva, ovvero le competenze trasversali legate più al saper essere, che combinate al sapere e al saper fare, vanno a comporre l’expertise delle persone e facilitano l’attivazione di comportamenti collaborativi e cooperativi, al di là della pura applicazione di criteri di comportamento dettati da razionalità e da interesse individuale.