Comunicare nei gruppi

Un gruppo può essere definito come un ”agglomerato” sociale all’interno del quale singoli soggetti si distribuiscono in ruoli, dando vita a diverse forme di rapporti sociali nel tempo, secondo determinati modelli di comportamento, allo scopo di conseguire obiettivi comuni.

Affinché  un gruppo si possa definire tale, chi lo compone deve sentirsi parte di un tutto (senso di appartenenza) in grado di ricevere gli apporti dei diversi individui che lo compongono, portatori di una propria storia personale, di competenze e abilità (sia tecniche, che relazionali).

Un gruppo può esistere solo a condizione che tra i suoi membri ci sia reciprocità di comunicazione e di relazione.

In questo senso, la comunicazione che si sviluppa al suo interno, riveste un ruolo fondamentale ed è un pre-requisito indispensabile per l’esistenza stessa del gruppo.

La comunicazione in gruppo si può sostanzialmente suddividere su quattro livelli:

  • livello dei contenuti (cosa si dice o si fa), si trattano la distinzione tra informazioni primarie e secondarie, ovvero nel caso di problem solving  distinguere tra sintomi e cause, per poi passare ad ipotesi di soluzione. Qui un problema, o un obiettivo, viene definito rispetto alle sue caratteristiche costitutive.
  • livello dei metodi (come si organizza), ci si occupa di come separare i tempi di produzione di idee da quelli decisionali e/o valutativi, di come gestire la successione delle diverse fasi della conversazione, ecc.
  • livello dei processi comunicativi (chi dice o fa cosa, a/con chi, in che modo), facendo in modo che tutti possano esprimersi e possano interagire tra di loro ma, anche, sapendo gestire i silenzi o domande che cadono nel vuoto.
  • livello delle dinamiche di gruppo (cosa accade tra i membri che comunicano), è importante gestire i ”giochi relazionali” che si sviluppano tra in membri così come i conflitti, le tensioni, ecc.

La comunicazione all’interno di un gruppo è indispensabile anche per veicolare gli aspetti che caratterizzano la cultura del gruppo, ossia:

  • la mediazione
  • l’accettazione della limitatezza
  • il confronto visto come risorsa
  • l’equilibrio tra efficacia ed efficienza.

La comunicazione nel gruppo deve avere anche la capacità di favorire la diversità degli apporti come vera ricchezza, al fine di unire tutti i soggetti nello sforzo comune di raggiungere gli obiettivi, producendo, una maggiore coesione del gruppo stesso.

La comunicazione all’interno di un gruppo può essere condotta a seconda delle occasioni.

Il “brainstorming” è molto utile quando la comunicazione in un gruppo è finalizzata alla produzione e creazione di idee, mentre “saper negoziare e gestire il conflitto” divengono priorità qualora sorgessero divergenze, ovvero quando occorra attivare il consenso interno.

Per fare questo, può essere opportuno:

  • chiedere a ciascuno pareri e motivazioni
  • pretendere fatti, definizioni o spiegazioni
  • verificare discrepanze tra fatti ed opinioni
  • cambiare idea di fronte a fatti/opinioni inoppugnabili
  • riconoscere differenze e analogie tra i diversi punti di vista nel gruppo
  • favorire l’empatia
  • non mettersi sulla difensiva quando c’è contrapposizione
  • elencare pregi/difetti di ciascuna opinione.

Un filosofo greco ha detto “l’uomo è un animale che non è fatto per stare solo”, … il suo bisogno di contatto è naturale.

Comunicare è il mezzo per soddisfare la nostra necessità di contatto.

Che manager vorrei essere?

Un manager deve confrontarsi con le proprie capacità, sfruttandole al meglio nella gestione di un’organizzazione, nei rapporti con gli altri, nel proprio personale cammino verso l’autorealizzazione, mantenendo, però, una particolare attenzione alla qualità generale della vita.

Essere vincenti nella propria carriera, ma avere una serie di ininterrotte sconfitte nella sfera personale, porta, prima o poi, a inevitabili, e talvolta opprimenti, disequilibri.

Training maniacali e non spontanei, risciacqui continui dei cervelli, offrono troppo spesso  l’illusione di costruire uomini vincenti, compromettendo l’individuo e la sua personalità.

Il “vero manager” dovrebbe invece avere quella particolare sicurezza che poggia le sue radici in una tranquillità personale, che è forza comunicabile perché assestata su un benessere di fondo che organizza tutta la vita nei suoi vari aspetti.

Non è più i tempo del manager nevrotico, sempre di corsa, che fuma una sigaretta dopo l’altra, che veste sempre firmato, che non sa quanti caffè ha preso, che afferma di non dormire mai o pochissimo e che ha perennemente mal di testa o disturbi fisici generalizzati.

Oggi occorre trovare il modo di essere coerenti con quello che si è, e non con quello che si vorrebbe far apparire, un modo che ci migliori, non solo nell’ottica professionale, ma in quella più generale del nostro essere sereni, vincenti, ottimisti, indistruttibili nei confronti della vita.

Vivere in un epoca nella quale i cambiamenti ci arrivano addosso l’uno dopo l’altro, vuol dire crescere nell’abitudine al cambiamento continuo, e molti sono colti da una perenne ed inafferrabile ansia, che li blocca emotivamente, imbrigliandone l’intelligenza.

Per “giocare” la partita della vita occorre però sapere chi siamo, conoscendone le regole e controllando le nostre paure, sapendo organizzare le nostre capacità e gestendo al meglio le nostre forze: è evidente che per tutto ciò è indispensabile una visione ottimistica del vivere.

Sembra tutto molto banale, ma è su queste banalità che ognuno di noi si confronta quotidianamente.

Tutto il nostro tempo, se ci pensiamo, lo dedichiamo a organizzare e gestire noi stessi, da quando nasciamo, fino alla fine dei nostri giorni, e da come ci gestiamo possiamo avere una vita più o meno soddisfacente.

Alla luce di quanto detto, possiamo considerare la capacità di “management” come un’attitudine insita in ogni essere umano, anche se, la maggior parte delle persone, non riesce ad esprimerla in tutta la sua potenzialità, non sviluppandola al di fuori dell’ambito familiare, o addirittura limitandola alla stretta gestione della propria persona.

Ognuno di noi gestisce un processo organizzativo per migliorare la propria vita, ed il manager deve cercare di migliorare la propria posizione organizzando gli altri.

La rete di relazioni che si sviluppa in questi contesti, tesa a migliorare e mantenere la qualità della vita raggiunta, deve fare i conti con le difficoltà provenienti dai mezzi tecnologici a disposizione, dal doversi continuamente aggiornare, e dalla gestione della fatica emotiva e fisica.

Il benessere, nostro e di chi ci circonda, dipende principalmente dalla risposta che ognuno di noi vuole dare alla domanda “che manager vorrei essere”?

Corpo, Mente e Cuore

L’energia non arriva solo dal cibo, ma anche dalle letture, dalla musica, dalle amicizie e dai progetti di vita.

Non è solo il nostro corpo fisico che ha bisogno di nutrimento, dobbiamo nutrire, tanto per cominciare, anche le emozioni e la mente.

L’energia fisica ci arriva dal cibo che mangiamo, l’energia emotiva ci arriva dal tipo di relazioni che instauriamo, dagli stati d’animo che coltiviamo, dalle persone che frequentiamo, e l’energia mentale dalle convinzioni che maturiamo su noi stessi e sulla vita, dalla comunicazione con gli altri, dalle letture, dalla qualità dei propri e altrui pensieri.

La gestione delle emozioni e dei pensieri è solitamente abbastanza casuale in una cultura come la nostra, in cui l’arte di conoscere e possedere se stessi è piuttosto trascurata.

Eppure uno dei segreti della qualità della vita risiede proprio in una buona capacità di vivere e usare le emozioni per sentire e assaporare i suoi mille e più sapori, senza però senza soccombere al loro impeto coinvolgente.

L’emozione è come l’acqua: elemento vitale preziosissimo, la cui mancanza porta sofferenza, la cui repressione è pericolosa, il cui eccesso è dannoso.

E’ a livello emotivo che prende forma il nostro “umore della giornata”.

Possiamo lasciare al caso quello che sarà lo stato d’animo che ci accompagnerà, o cercare di influenzare positivamente la nostra sfera emotiva.

Musica e colori, tanto per fare un esempio, sono anch’essi energie che entrano in risonanza con noi: cambiando la frequenza della radio, cambiando il colore del nostro maglione, lasciando entrare il sole nella nostra stanza, possiamo concretamente cambiare il nostro umore.

Un bambino piccolo è totale e spontaneo nelle sue manifestazioni emotive.

Poi, crescendo, impara a distaccarsi dalle emozioni, a considerarne alcune
“buone” ed altre “cattive”, a spostare l’energia dal corpo alla mente; si impara a reprimerle e a soffocarle in nome di efficienza e razionalità.

Il fatto è che, un’emozione repressa, non smette per questo di esistere.

Si dice che “quello che trattieni ti trattiene”, ed in breve, ci ritroveremo ben presto limitati in una prigione che noi stessi abbiamo creato.

Se proviamo difficoltà nel riconoscere o esprimere una particolare emozione, la qualità della nostra vita ne risente, una buona parte della nostra energia
verrà impiegata nella sua repressione e nel suo controllo.

Il nostro spazio vitale sarà limitato, e saremo in conflitto con noi stessi.

Essere padroni di un’emozione significa:

  1. Riconoscerla (dandole un nome)
  2. Esprimerla (dandole voce)
  3. Scegliere se esprimerla subito o dopo (sapendo cosa e come fare)

Le emozioni sono le spezie della vita, capaci di colorare uno stesso evento di tinte e sfumature assolutamente individuali e personali.

Come formulare domande efficaci

I leader più efficaci non sono quelli che necessariamente dicono sempre la cosa giusta, ma piuttosto quelli che sanno fare le domande più appropriate.

Formulare domande efficaci è un’arte, la domanda giusta al momento giusto trasforma la confusione in chiarezza, il conflitto in consenso, la frustrazione in soddisfazione.

  1. Riconosciamo l’efficacia delle domande

Cerchiamo di non pensare solo in termini di ciò che dobbiamo dire, ma pensiamo in termini di ciò che dobbiamo chiedere. Concentrare il proprio pensiero sulle domande da fare è come concentrare la luce del sole attraverso una lente. Le domande aiutano a superare le divergenze, rafforzano le relazioni, deviano la rabbia e l’ostilità.

  1. Cerchiamo prima di capire piuttosto che di essere capiti.

Ascoltiamo. Indaghiamo. Cerchiamo chiarezza. Possiamo costruire un certo consenso, delle efficaci squadre di lavoro e senso di unità solo se riusciamo a determinare i bisogni ed i valori delle persone con cui lavoriamo. Fare domande è un modo per acquisire queste informazioni.

  1. Siamo consapevoli dei segnali non verbali quando facciamo delle domande.

Il tono della voce, l’espressione facciale e l’atteggiamento che assumiamo quando parliamo, possono comunicare la nostra disponibilità, o meno, per quanto neutre possano essere le parole che stiamo usando. Quando facciamo delle domande, è corretta un’espressione di aspettativa sul nostro volto, non lo sono uno sguardo o un atteggiamento che siano intimidatori.

  1. Se qualcuno tende a divagare, facciamo domande per tornare alla “questione”.

Che cosa posso fare per esserti d’aiuto? Che cosa stiamo cercando di realizzare? Che cosa ci proponiamo di trarre da questo incontro? Domande come queste possono riportare la discussione ai punti essenziali, oppure condurla alle naturali conclusioni.

  1. Se ci troviamo a corto di parole, facciamo una domanda.

Come vedi il mio contributo in questa situazione? Potresti per favore aiutarmi a capire meglio quello che hai detto? Questo tipo di domande sono utili per gestire le nostre emozioni, capire meglio quello che l’altro sta dicendo, comportarci di conseguenza,

  1. Se ci sentiamo attaccati, facciamo una domanda.

Perché pensi che la mia idea non possa funzionare? Che cosa ho detto per farti sentire in quel modo? Che cosa potrebbe convincerti del contrario? Queste domande potrebbero aiutarci ad uscire da situazioni imbarazzanti.

  1. Se un rapporto interpersonale è in pericolo, facciamo domande.

Che cosa possiamo fare per risolvere questo problema? Come pensi che potremmo fare, in futuro, per lavorare meglio insieme? Che cosa pensi che potremmo fare per migliorare la situazione di entrambi? A che cosa ci porta tutto questo? Queste domande possono essere d’aiuto per superare le divergenze.

  1. Se vogliamo stabilire rapporti con i nostri collaboratori facciamo domande.

Che cosa consigli di fare per questo problema? Che te ne pare? Qual è il tuo punto di vista? Ti sembra che abbia trascurato qualcosa? Cosa suggerisci per rafforzare la nostra squadra di lavoro? Quando chiediamo agli altri la loro opinione, gli dimostriamo quanto valgono per noi.