Si è sempre pensato che per poter agire in modo differente, occorra prima imparare a vedere il mondo in modo differente, mentre von Foerster ha affermato “se vuoi vedere, impara ad agire” (Heinz von Foerster – Sistemi che osservano).
Quanto appena detto contrasta, e non poco, con infinite discussioni, e decine, se non centinaia, di migliaia di pagine di libri, sprecate per mostrare che, siccome il proprio modo di vedere la realtà è quello giusto e vero, chiunque veda la realtà in modo differente ha necessariamente torto.
Nel mezzo di complicati pensieri, si può essere preda di astruse e poco concludenti teorie o fantasie dalle quali si parte per analizzare ed interpretare azioni e comportamenti, dimenticando che, forse, il cambiamento, nell’essere umano, avviene naturalmente e su basi quotidiane.
Il bambino, anziché formarsi un’immagine del mondo attraverso le sue percezioni, per poi agire di conseguenza, costruisce letteralmente la sua realtà attraverso azioni esplorative, afferrando ciò che vede, portandosi davanti agli occhi gli oggetti che tocca, cercando di coordinare nel più breve tempo possibile il suo universo visuale con quello tattile.
Prendendo spunto dal bambino, si può affermare che, nella maggioranza dei casi, i problemi che vogliamo risolvere, mediante il loro cambiamento, sono correlati al significato, al senso e al valore che noi siamo giunti ad attribuire loro.
Molte persone soffrono a causa dei loro ricordi, molte per l’incapacità di fronteggiare i problemi reali del momento, molte per l’implicazione che la sofferenza del passato ha nel limitare il presente.
Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che noi abbiamo di quelle cose (Epitteto I° secolo d.C.)
Quasi tutti conosciamo la risposta al quesito sulla differenza tra un ottimista e un pessimista: di una bottiglia di vino piena a metà, l’ottimista dice che è mezza piena, e il pessimista che è mezza vuota.
Alla realtà di primo ordine in cui la bottiglia contiene del vino, fanno da contraltare due realtà di secondo ordine assai differenti, e che rappresentano due mondi diversi.
In altre parole quella che incide non è la realtà di primo ordine (che potremmo definire oggettiva) ma la realtà di secondo ordine (che potremmo definire soggettiva) che le persone si sono costruite al punto da convincersi che sia quella vera.
Partendo da queste differenze, se riusciamo a motivare qualcuno ad intraprendere un’azione (di per se stessa sempre possibile) che non ha mai compiuto perché senza senso o ragione rispetto alla sua realtà di secondo ordine, egli comunque esperirà qualcosa che mai nessuna spiegazione e interpretazione avrebbe mai potuto indurlo a vedere o sperimentare.
Inutile aggiungere che si può resistere alla richiesta di una tale azione.
Per estremi le persone possono dividersi tra quelle per cui “è il mondo la causa primaria e la mia esperienza ne è la conseguenza”, e quelle per cui “è la mia esperienza a essere causa primaria e il mondo la conseguenza”.
“Tutti i rami della scienza, e della vita quotidiana, mostrano che noi operiamo sempre mediante assunti non provati e non provabili, i quali, tuttavia, conducono a risultati concreti e pratici (Hans Vaihinger).
Non c’è, e non ci sarà mai alcuna prova che l’essere umano sia veramente dotato di libero arbitrio e quindi responsabile delle sue azioni, comunque non si conoscono società, culture o civiltà, passato o presente, in cui gli esseri umani non si comportino come se “l’assunto” fosse questo, perché sarebbe altrimenti impossibile lo stesso ordine sociale.
Se guardiamo la storia vediamo che, invariabilmente e senza eccezioni, le peggiori atrocità sono state il diretto risultato di grandiosi e utopici tentativi di migliorare il mondo, dato che la politica dei piccoli passi è inaccettabile per idealisti ed ideologi.
Per convincerci non dobbiamo che osservare la natura: i grandi cambiamenti sono sempre catastrofici: stravolgere è cosa ben diversa dal cambiare.
Quindi, chi vuol far del bene, deve farlo nei piccoli particolari; il bene generale è l’alibi dei patrioti, dei politici e dei furfanti (aforisma); da un insieme di dettagli possono nascere i capolavori, e da un insieme di piccole esperienze può avvenire il vero cambiamento, che è più nelle abitudini e nei comportamenti, che non nella testa.