Appunti di negoziazione

Di negozio, negoziato, negoziazione si parla in più ambiti, soprattutto in quello economico commerciale, ma il concetto ha risvolti ed implicazioni tali che può tranquillamente essere usato in quello più generale delle relazioni umane.

Vivere insieme, da un certo punto di vista, significa negoziare anche quando non ce ne accorgiamo.

La negoziazione è uno strumento fondamentale  che,  per  riuscire  ad  ottenere  dagli altri ciò che ci

aspettiamo, ci mette in relazione con essi in forme che possono essere le più diverse.

Negoziare non è un modo per vincere o perdere, ma affinché il negozio abbia successo si richiede la conoscenza di come la pensano gli altri e quindi sono richiesti il rispetto e la comprensione dei loro punti di vista.

Bisogna superare la convinzione per cui un negoziatore abile è una persona priva di scrupolo e di etica: difatti nella nostra cultura la negoziazione è spesso associata all’inganno ed all’astuzia.

Abbiamo due tipi di negoziazione, quella in cui le parti competono nella distribuzione di un valore che viene considerato fisso ed immutabile, per cui il successo di una parte avviene a discapito dell’altra.
Poi vi è quella in cui le parti collaborano per ottenere i massimi benefici possibili, attraverso l’integrazione dei rispettivi interessi, in un accordo soddisfacente per tutte le parti, avendo come scopo quello di creare un valore aggiunto destinato ad essere ridistribuito per soddisfare pienamente le parti.

In questo caso il valore viene aumentato attraverso la condivisione delle informazioni a differenza del primo caso dove si tende a nasconderle; il presupposto sta nell’ atteggiamento mentale che su assume verso le persone con cui si è in relazione.

Vi è una strategia tipica di un rapporto conflittuale e competitivo che ha come scopo quello di sconfiggere l’avversario.

L’interlocutore viene considerato un antagonista e difficilmente il negoziato va in porto con la piena soddisfazione di entrambe le parti (quando si tratta di individui che hanno grossi conflitti interiori spesso la strategia usata è basata sul voler far  perdere  gli altri a tutti i  costi, anche a  costo di avere

meno per sé.)

C’è poi la strategia di chi cerca sinergie con gli altri allo scopo di perseguire la reciproca soddisfazione: è l’atteggiamento ottimale in ogni rapporto di comunicazione sia in campo personale che professionale.

Ogni negoziato si fonda su due livelli, sulla sostanza e sulla procedura per raggiungere l’accordo. Determinante è il modo con cui si negozia.

Appare necessario far leva sugli interessi reali delle parti , anziché sulle posizioni e partire dal presupposto che si sta trattando con esseri umani e quindi bisogna tenere in considerazione quelle che sono le loro emozioni, interessi e bisogni.

Quando si discute secondo le posizioni le parti tendono a rinchiudersi, facendone quasi una questione personale.

Il risultato può essere tanto un accordo che la rottura dei rapporti; la trattativa diventa uno scontro di volontà cercando di far cambiare opinione al nostro interlocutore.
L’aspetto negativo è che si danneggiano i rapporti fino a litigare ed a interromperli.

Errata appare anche la trattativa morbida, quando si vuole mantenere ad ogni costo buono il rapporto anche stipulando un accordo non soddisfacente.

Questa rende vulnerabili verso coloro che praticano la trattativa dura per cui si è costretti continuamente a fare delle concessioni.

Ognuno di noi vede il mondo secondo la propria prospettiva ed in base al suo vantaggio personale. L’errore che spesso viene commesso è di confondere il nostro punto di vista con la realtà oggettiva: questo è causa di malintesi e di pregiudizi

L’arma vincente consiste nel riuscire a vedere la situazione così come la vede il nostro interlocutore, sapendo bene che comprendere il punto di vista dell’altro non vuol dire, per forza, condividerlo.

Manager oggi

Quando si parla di management il pensiero corre subito ai grandi manager, persone vincenti e ricche, che amministrano grandi capitali.

Il termine management significa “direzione, gestione, amministrazione”.

Una gestione finalizzata e coordinata al raggiungimento dell’obiettivo e che consta di quattro momenti fondamentali: programmazione, organizzazione, direzione e controllo attuativo.

Di giorno in giorno ci confrontiamo con più organizzazioni e di molte di queste facciamo anche parte: la famiglia, gli amici, i gruppi professionali, politici, di lavoro, aziende di qualsiasi dimensione pubbliche e private, gruppi finanziari, ecc.

In ognuna di queste la “competenza manageriale” offre una chance in più a chi è in grado di giovarsene; la competenza nel management è applicabile a tutti i fattori della vita.

Si potrebbe dire che più una persona è dotata di capacità manageriali, più è probabile che, gestendo prima di tutto se stessa, e il suo sviluppo professionale, riesca a migliorare in ogni aspetto il suo standard di vita.

Un buon manager deve essere in grado di fornire risultati in differenti situazioni di lavoro, anche diversissime tra loro, e se avrà fornito un buon management ad una determinata azienda, è molto probabile possa fornirne uno altrettanto valido ad un’altra.

Ma cosa vuol dire essere manager oggi?

L’immagine del manager si è profondamente modificata nel corso dell’ultimo secolo seguendo, come è naturale, l’evoluzione culturale, tecnologica ed economico-finanziaria della società.

Poco alla volta, soprattutto a partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso un mercato sempre più competitivo ha obbligato molti manager, per rimanere a galla, a divenire molto aggressivi, sensibili ai continui mutamenti sociali, determinati al decidere in tempo reale e, soprattutto, immolati agli obiettivi di budget.

Oggi questi manager rampanti, un poco alla volta, vanno scomparendo, bruciati soprattutto per l’interesse eccessivo per la carriera e dalla rincorsa di risultati personali che permettessero loro di vendersi bene sul mercato delle teste.

Questo li faceva lavorare con un’ottica di breve periodo, cercando brillantemente l’interesse immediato dell’azienda, ma creando il più delle volte le basi per infauste prospettive in fasi temporali più ampie, bruciando risorse e riserve di risorse.

I manager più brillanti, quelli su cui le proprietà fanno affidamento, sono coloro che hanno saputo realizzare la crescita a breve, non deludendone le aspettative di lungo periodo, lavorando soprattutto per l’azienda con l’obiettivo di consentirle di reggersi da sola e progredire.

Parliamo di quei manager che hanno una spiccata capacità di leadership, che sanno imporsi grazie alle proprie competenze relazionali, che non hanno bisogno della tutela di rigide gerarchie, e la cui stabilità nel ruolo è legata alla sicurezza morale e materiale che riescono a fornire all’azienda.

Il dialogo come strumento per conoscere gli altri e se stessi

Si può dire che “in principio è la relazione”, il rapporto io – tu come espressione a tutto tondo del dialogo, dell’incontro tramite la parola.

Gli esseri umani entrano in relazione tra loro nel dialogo, tramite la parola che fa da ponte tra un io e un tu.

Due soggetti mettono a confronto, nel dialogo,  le loro dinamiche esistenziali, il loro mondo culturale, i loro vissuti quotidiani.

Il dialogo e la relazione, però, si impongono con tutta la loro carica positiva e creatrice solo nella misura in cui la parola di un soggetto non sia prevaricante nei confronti dell’altro.

In pratica, la mia parola non deve invadere in modo corrosivo lo spazio esistenziale del mio interlocutore, bensì deve porsi in ascolto anche della sua parola.

Non a caso Heidegger dice che “la parola autentica è il silenzio”, esprimendo un chiaro riferimento alla capacità del saper ascoltare.

L’affermazione di Heidegger, adattata al nostro discorso, viene a significare una vera relazione proprio in quanto “nel mio silenzio faccio in modo che l’altro possa esprimere se stesso, le sue convinzioni, la sua visione del mondo”.

Questo modo di pormi contribuisce al mio arricchimento, proprio perché donando all’altro il mio silenzio, lo rispetto nella sua dignità e metto a confronto il mio mondo con il suo, in una continua tensione dialettica.

Le finalità ultime del dialogo e della relazione consistono nella ricerca del bene comune, di un punto di contatto, che, pur nella diversità delle opinioni, miri a costruire un società dove i “dialoganti” possano godere degli stessi vantaggi.

L’uomo è tale nella misura in cui si rapporta all’altro in uno scambio di domande e risposte su tutto ciò che lo circonda.

Il dialogo, infatti, presuppone un io e un tu: potremmo chiamarlo uno “sfregamento di anime.”

Il termine “sfregamento” rende assai bene l’idea di un confronto forte, anche ruvido, ma sempre finalizzato alla ricerca di un sapere autentico, dove lo scambio di domande e risposte mira a far progredire nella verità le anime dialoganti.

Il dialogo mira, allora, “a spogliare l’anima” dai pregiudizi e dalle apparenze per condurla a contemplare ciò che è “bello e buono”.

Volendo ricorrere all’ausilio degli antichi filosofi, ricordiamo Platone che, facendo riferimento al maestro Socrate, asserisce come l’educazione sia una scienza che ha per fine l’anima, che va “curata” tramite il dialogo filosofico.

Questo, però, è possibile solo partendo dalla conoscenza di se stessi.

Platone soleva dire: “se ci conosceremo, noi sapremo forse anche qual è la cura che dobbiamo avere di noi stessi; se non ci conosceremo, non lo sapremo mai”.

La qualità paga

La qualità di un prodotto è “buona” se soddisfa o supera le nostre aspettative.

La qualità è “scadente” se avviene il contrario.

Troppo spesso siamo delusi, le nostre aspettative non sono soddisfatte, e ci sembra che la qualità di un prodotto sia decisamente bassa, quando merci o servizi non vengono forniti puntualmente, sono difettosi o lasciano molto a desiderare.

La pasta è fredda, la birra è tiepida, la bistecca è dura, e per non farci mancare niente il cameriere è apatico e non finge neanche di darsi da fare.

Così le cose non funzionano.

Ci sono molte ragioni per una qualità insoddisfacente.

I prodotti e i servizi sono diventati così complessi, che è inevitabile che si verifichi qualche errore nella catena (sia essa produttiva, piuttosto che distributiva).

Ai dipendenti viene spesso cambiato ruolo senza fornire loro una formazione adeguata.

Il poteri pubblici emanano normative sempre più complesse, e la crescente specializzazione spesso impedisce di vedere il quadro d’insieme.

A tutto ciò fanno riscontro un crescente interesse ed una pretesa di qualità.

Ci sarà sempre chi comprerà articoli per il solo prezzo, convinto di fare un affare, ma più il prezzo è basso, e più ci avviciniamo alla non qualità, sia nei prodotti (pile per telefonini che scoppiano, giochi per bambini che rilasciano sostanze tossiche, ecc.) che nei servizi (taglio e messa in piega a 6 euro con ustioni garantite, ecc.).

Se clienti ed utenti diventano sempre più esigenti e non sono disposti ad accettare una qualità inferiore a quella degli attuali standard, non debbono sempre rincorrere i prezzi della non qualità.

E’ giusto che i cittadini chiedano al settore pubblico di migliorare i suoi servizi (dopotutto il settore pubblico è come una qualsiasi società che funziona con i soldi dei clienti) così come è giusto che i disastri provocati dall’errore umano esigano norme di sicurezza più severe per le centrali nucleari, per le industrie chimiche, per le società di trasporti e per le altre imprese al alto rischio, finanza compresa!

Da anni società ed enti di tutto il mondo stanno introducendo processi che tendono al perseguimento della qualità, essendosi rese conto che la qualità paga.

Investire nella qualità (di prodotti e servizi) vuol dire, per ogni azienda o ente, effettuare uno degli investimenti più redditizi, sicuramente molto meno costoso del non far niente.

Spendere il 20% o il 30% del fatturato per rimediare a errori grossolani e correggere difetti (prodotti, conflitti interni, reclami) equivale a un’immagine danneggiata: la cattiva qualità, realizzata, piuttosto che percepita, costa somme inestimabili.

Le indagini confermano che la maggior parte dei consumatori non reclama per una qualità insoddisfacente, si limita a cambiare fornitore.

L’esistenza di clienti insoddisfatti dovrebbe insegnare qualcosa a un’azienda, ma dal momento che la maggior parte di solito non reclama, ciò avviene raramente.

Invece di servire a quell’azienda, l’esperienza di clienti insoddisfatti serve semplicemente a tenere lontani i clienti potenziali, avvicinandoli probabilmente alla concorrenza.

In questo contesto di qualità si muovono le persone e in ogni settore, soprattutto in quello dei servizi e dei prodotti intangibili ed indifferenziati, la qualità personale è alla base di ogni tipo di qualità; è cruciale per l’autostima di chiunque, autostima che può determinare benessere, efficienza, atteggiamenti e comportamenti positivi e propositivi.

Non è quindi solo questione di realizzare prodotti di alta qualità e di soddisfare le aspettative del cliente, ma anche di ispirare le persone coinvolte nei processi produttivo e distributivo, a fare del loro meglio.