Non essere ordinari

Per diventare straordinari bisogna evidentemente, come prima cosa, smettere di essere ordinari.

Sono certo che qualunque organizzazione voglia conseguire utili straordinari, dando ricompense straordinarie a chi abbia collaborato nel loro conseguimento.

Se è così cominciamo a comportarci in modo straordinario.

Come?

Ecco cinque piccoli suggerimenti.

  1. Raccogliere avidamente esperienze di prima mano. Impegniamoci a rilevare e comprendere le sfumature della prima linea della nostra azienda. Anche in una sala affollata da esperti del settore, siamo noi i padroni delle nostre esperienze personali. Non dobbiamo esitare per timidezza ad aggiungere anche il nostro parere. Ci manca il tempo? E’ meglio che lo troviamo perché effettuare osservazioni di prima mano è molto importante.
  2. Praticare il principio zen della “mente del principiante”. Chi ha sete di conoscenza può mettere temporaneamente da parte ciò che già conosce. Molti vantano una vasta preparazione accademica e importanti esperienze professionali, ma riescono a guardare oltre la tradizione e i preconcetti. Confidano nelle proprie conoscenze, ma sono disposte a metterle in dubbio di fronte a nuove conoscenze.
  3. Tenere un diario delle idee per non farsi sfuggire l’intuizione del momento. Gli antropologi si spostano con taccuino e macchina fotografica per registrare le proprie scoperte. Cerchiamo di annotare le idee in tempo reale, sul palmare o su un foglio di carta che teniamo in tasca.
  4. Essere sovvertitori continui e praticare l’ibridazione continua. Pensare per metafore con lo scopo di trasferire più facilmente da un contesto all’altro ciò che si è imparato. Cerchiamo di attribuire lo stesso peso all’apprendimento ed alla collaborazione, con lo scopo di rendere noi stessi veicolo di nuove idee.
  5. Sfruttare il potere dell’affabulazione per avere una visione complessiva. L’affabulazione ha uno speciale fascino emotivo che la rende molto più efficace dei dati grezzi. Il racconto ha un effetto elettrizzante e può suscitare entusiasmo, infondendo rinnovata energia.

L’unico modo per crescere è essere straordinari.

Per quanto siano le altre persone a decidere del nostro essere straordinari, dipende essenzialmente da noi decidere come proporci, e con quale passo affrontare la vita.

La cosa fondamentale è iniziare a fare cose di cui valga veramente la pena parlare.

Compiere una scelta originale, quando sembra che non vi siano scelte, può apparire sconfortante, ma spesso è così che chi osa ha successo.

Applicare quanto proposto dai cinque punti indicati, è già di per sé una base per cercare di vivere una vita tendente più allo straordinario, che non all’ordinario.

Solitudine e cultura dei sentimenti

Viviamo in una società tecnologicamente avanzata in cui stati di disagio individuale e collettivo sono sempre più diffusi

La solitudine è una condizione spesso vissuta senza rendersene conto: si è inseriti in un contesto sociale, ma non avviene nessun contatto nutriente a causa dell’insoddisfacente qualità delle relazioni interpersonali: in famiglia, a scuola, al lavoro.

La quantità e la qualità delle nostre relazioni con gli altri sono tra i fattori che più incidono, nel bene o nel male, sulla qualità della vita.

Esse sono alla base di tutte le principali sfere del nostro vivere sociale.

Eppure le relazioni si svolgono fra maschere omologate, secondo copioni difensivi, e il più delle volte si ha il dubbio di avere a che fare non con “persone reali”.

Tuttavia individui e istituzioni dedicano a queste problematiche scarsa attenzione e risorse: i risultati negativi di questa disattenzione, con i conseguenti ed evidenti riflessi sulla società,  non mancano.

Chiari esempi li troviamo nei molti anziani che soffrono di solitudine e nei tanti bambini costretti a giocare da soli, accontentandosi di TV e videogiochi.

Esempi ancor più comuni li troviamo nei luoghi di lavoro dove indifferenza, sospetto e invidia causano conflitti latenti coi colleghi, dando vita rapporti di pura facciata.

Spesso l’isolamento non è percepito da chi ne soffre: immersi nella folla della città, a contatto con colleghi e vicini, sembra l’ultimo dei problemi, ma la solitudine, quella subita più o meno consapevolmente, è terreno di coltura di molte patologie, comun denominatore di tutte le malattie mentali, causa ed effetto di qualsiasi dipendenza.

La carenza relazionale è connessa a una grave carenza affettiva, e la solitudine ne è la conseguenza.

E’ noto che l’intera civiltà occidentale è caratterizzata da uno scollamento tra la sfera del pensiero (logica) e la sfera del sentire (emozionale); questo affligge i singoli nella loro individualità, e di conseguenza la comunità di cui queste persone sono parte.

Da sempre la funzione della comunità è stata quella di contrastare, con la condivisione degli eventi principali della vita, gli effetti della solitudine, ma questa funzione oggi sembra non essere più attuabile, frenata da modelli e ritmi che talvolta sembrano improntati all’antisocialità.

L’individuo si vede alla fine “costretto” a costruirsi una facciata socialmente desiderabile, simile ai sorridenti modelli offerti dalla televisione.

Se l’operazione ha successo, gli altri individui la restituiscono come specchi; ma quest’immagine, che si è voluta dare, è poi estranea al suo stesso autore.

La paura del giudizio altrui blocca la spontaneità; le persone più vulnerabili si vergognano di mostrare la propria umanità, preferiscono nascondersi e recitare una parte standard.

Alla fine non si riesce più a condividere i propri stati d’animo con nessuno, nemmeno con se stessi.

La nostra società ha il pregnante bisogno di recuperare la connessione profonda delle relazioni e di incrementare il contatto, la comunicazione, degli individui con se stessi, con gli altri e con l’ambiente.

Occorre generare un contesto in grado di riconoscere all’essere umano la sua globalità e la sua multidimensionalità, recuperando e valorizzando in particolare quelle sfere dell’esperienza sinora penalizzate e relegate in ruoli e culture marginali: prima fra tutte,  la sfera affettivo emotiva.

Parlando di stress

Durante l’ultimo ventennio, l’importanza di una buona salute fisica è stata oggetto di notevole attenzione; oggi molte persone compiono regolarmente esercizio fisico, controllano la loro alimentazione e adottano misure preventive per mantenersi in buona salute.

Ma viene riservata altrettanta attenzione al problema della gestione dello stress al fine di mantenere una buona salute mentale?

Le pressioni a cui siamo sottoposti nella vita sono numerose; tutti sperimentiamo almeno un po’ di stress, è normale, e se lo sappiamo gestire adeguatamente, può anche rivelarsi utile.

Quindi lo stress fa parte della vita e, visto che quest’ultima oggi è decisamente complessa, è impossibile evitarlo: la nostra salute mentale dipende dalla quantità di stress a cui siamo sottoposti e a come riusciamo a fronteggiarla.

Lo stress è ciò che proviamo interiormente come risposta ad una situazione difficile da affrontare; la maggior parte delle persone riesce a gestire facilmente le normali condizioni di stress.

Vi è da dire che ciò che può essere stressante per taluni, potrebbe non esserlo assolutamente per altri, e viceversa, in quanto ognuno di noi risponde diversamente alle varie circostanze.

In questo senso potrebbe essere controproducente dire a qualcuno di non preoccuparsi di una determinata situazione se noi per primi non consideriamo stressante la medesima.

Lo stress è un laboratorio di apprendimento che ci insegna continuamente come riuscire a gestire con successo le difficoltà che incontriamo nella vita; come l’esercizio fisico ci permette di mantenere in forma il nostro corpo, così la capacità di gestire efficacemente le richieste che influiscono sulle nostre emozioni ci consente di mantenere in forma la nostra mente.

L’ansia è uno dei segnali che ci indica che siamo sottoposti a stress e se questa sensazione diventa ricorrente, significa che lo stress non viene gestito efficacemente.

Ad esempio, se siamo continuamente turbati ed adirati, vale forse la pena di individuare la fonte della nostra rabbia, per poter trovare il modo adeguato d’affrontarla; in caso contrario i nostri sentimenti si accentueranno e produrranno effetti negativi.

Quanto i nostri sentimenti si intensificano fino a superare un determinato limite, iniziamo a provare tensione,

Se la situazione che riteniamo problematica scompare, anche la sensazione di stress svanisce, mentre, se la pressione non diminuisce, finiremo per mostrare segni di esaurimento mentale e fisico,

Lo stress è essenzialmente dentro di noi, anche se ci sembra di percepirlo come proveniente dall’esterno; i life events, cioè gli eventi possibili nella vita di chiunque, sono spesso prevedibili e fonte di stress,

Comprendono tutta una serie di esperienze: una nuova nascita, il primo giorno a scuola, un esame universitario, il matrimonio, il divorzio, la perdita di un familiare, ogni evento disastroso improvviso e inaspettato, le situazioni che provocano una situazione cronica di disagio nei confronti di noi stessi o degli altri.

Spesso è difficile esprimere le proprie emozioni e le persone che le reprimono sempre, spesso “vanno in ebollizione” nel momento meno opportuno, con il rischio di danneggiare i loro rapporti con gli altri.

Questo fenomeno sembra manifestarsi soprattutto quando lo stress è stato accumulato per un certo periodo di tempo

E’ importante acquisire la consapevolezza di noi stessi, orientandoci nella giusta direzione al fine di stimolare la crescita della nostra salute emozionale.

Intelligenza emotiva

Il concetto ha conquistato l’interesse del pubblico solo di recente, grazie ai best-seller di Daniel Goleman “Intelligenza emotiva” (Rizzoli 1997) e “Lavorare con Intelligenza Emotiva” (Rizzoli 1999), benché la letteratura scientifica se ne occupi già da circa un decennio .
Ma che cos’è quest’intelligenza emotiva?
E’ una miscela equilibrata di motivazione, empatia, logica e autocontrollo, che consente, imparando a comprendere i propri sentimenti e quelli degli altri, di sviluppare una grande capacità di adattamento e di convogliare opportunamente le proprie emozioni, in modo da sfruttare i lati positivi di ogni situazione.
Il termine intelligenza emotiva usato da Goleman si riferisce alla “capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente, quanto nelle relazioni sociali”.
Sono abilità complementari ma differenti dall’intelligenza, ossia da quelle capacità meramente cognitive rilevate dal Q.I., che rappresenta l’indice generale delle facoltà cognitive.
Tra queste abilità complementari rientrano ad esempio la capacità di motivare se stessi e di continuare a perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; la capacità di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; la capacità di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; la capacità di essere empatici e di sperare.
Più in generale, alla base dell’intelligenza emotiva ci sono due grosse competenze, caratterizzate rispettivamente da abilità specifiche.
COMPETENZA PERSONALE: Determina il modo in cui controlliamo noi stessi
La consapevolezza di sé comporta la conoscenza dei propri stati interiori -preferenze, risorse e intuizioni.
Consapevolezza emotiva: riconoscimento delle proprie emozioni e dei loro effetti
Autovalutazione accurata: conoscenza dei propri punti di forza e dei propri limiti
Fiducia in se stessi: sicurezza nel proprio valore e nelle proprie capacità
La padronanza di sé comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse.
Autocontrollo: dominio delle emozioni e degli impulsi distruttivi
Fidatezza: mantenimento di standard di onestà e integrità
Coscienziosità: assunzione delle responsabilità per quanto attiene alla propria prestazione
Adattabilità: flessibilità nel gestire il cambiamento
Innovazione: capacità di sentirsi a proprio agio e di avere un atteggiamento aperto di fronte a idee, approcci e informazioni nuovi
La motivazione comporta tendenze emotive che guidano o facilitano il raggiungimento di obiettivi.
Spinta alla realizzazione: impulso a migliorare o a soddisfare uno standard di eccellenza
Impegno: adeguamento agli obiettivi del gruppo o dell’organizzazione
Iniziativa: prontezza nel cogliere le occasioni
Ottimismo: costanza nel perseguire gli obiettivi nonostante ostacoli e insuccessi
COMPETENZA SOCIALE: determina il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri
L’empatia comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui.
Comprensione degli altri: percezione dei sentimenti e delle prospettive altrui; interesse attivo per le preoccupazioni degli altri
Assistenza: anticipazione, riconoscimento e soddisfazione delle esigenze del cliente
Promozione dello sviluppo altrui: percezione delle esigenze di sviluppo degli altri e capacità di mettere in risalto e potenziare le loro abilità
Sfruttamento della diversità: saper coltivare le opportunità offerte da persone di diverso tipo
Consapevolezza politica: saper leggere e interpretare le correnti emotive e i rapporti di potere in un gruppo
Le abilità sociali comportano abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri.
Influenza: impiego di tattiche di persuasione efficienti
Comunicazione: invio di messaggi chiari e convincenti
Leadership: capacità di ispirare e guidare gruppi e persone
Catalisi del cambiamento: capacità di iniziare o dirigere il cambiamento
Gestione del conflitto: capacità di negoziare e risolvere situazioni di disaccordo
Costruzione di legami: capacità di favorire e alimentare relazioni utili
Collaborazione e cooperazione: capacità di lavorare con altri verso obiettivi comuni
Lavoro in team: capacità di creare una sinergia di gruppo nel perseguire obiettivi comuni
Liberamente tratto da Lavorare con l’intelligenza emotiva di Daniel Goleman.