Gli ostacoli alla creatività

Se la creatività non riesce a trovar posto nella vita aziendale è perchè incontra sulla sua strada numerosi ostacoli.

Fra questi possiamo sicuramente citare:

  • Avversione al cambiamento
  • Pregiudizi e prevenzioni
  • Il senso di disagio o di sconfitta che sempre produce il dover ammettere che i prodotti o le procedure esistenti sono inferiori alle nuove proposte
  • Prudenza: è molto più sicuro attendere i risultati degli esperimenti della concorrenza e, se positivi, imitarli
  • Minaccia alla prevedibilità ed alla continuità sulle quali si fonda ogni attività economica; una nuova idea rappresenta spesso un’interruzione potenziale o effettiva della continuità. Una tacita regola di management impone che la discontinuità venga strettamente controllata e ridotta al minimo
  • La preoccupazione per l’impegno aggiuntivo richiesto dalla realizzazione pratica delle innovazioni. “abbiamo già abbastanza da fare”.
  • Politica aziendale; le nuove idee spesso rappresentano una minaccia alla posizione ed agli interessi costituiti dei dirigenti, fermamente decisi a conservare le gerarchie esistenti.

La capacità di adattamento e la flessibilità, tipiche della creatività, sono l’unica alternativa valida al fallimento o al ristagno?

Le organizzazioni creative e capaci di adattarsi ai cambiamenti possono guardare tranquillamente al futuro, nella certezza di poter far sempre fronte agli impegni

Le organizzazioni non creative e incapaci di adattamento, invece, molto probabilmente non sapranno anticipare i cambiamenti, e alla fine saranno sopraffatte.

La creatività è insita in ogni essere umano, possiamo scoprirla o reprimerla.

Fa emergere le conoscenze e gli attributi di manager creativi.

Svilupparne e portarne a completa maturazione il potenziale di creatività latente, significa mettere le persone in grado di scoprire e utilizzare le proprie capacità immaginative ed inventive, necessarie per risolvere i difficili problemi della gestione aziendale.

Occorre che esse riescano a comprendere a fondo le motivazioni dei propri comportamenti e delle proprie convinzioni, disponibili ad esplorare anche strategie diverse al fine di creare un clima aziendale favorevole.

Parafrasando un vecchio slogan pubblicitario potremmo dire che “oggi un management razionale non basta più”.

Alcuni secoli fa un distinto signore inglese si sdraiò sotto un melo per schiacciare un pisolino, ma improvvisamente gli cadde una mela sul naso; con un quoziente di creatività inferiore a 10 sarebbe andato in escandescenze per l’incidente.

In condizioni analoghe, creativamente parlando, un subnormale si sarebbe consolato  mangiando la mela, un normale sarebbe salito sull’albero e ne avrebbe fatta una scorpacciata, il creativo avrebbe evitato si salire, scuotendo i frutti con un bastone.

Ma il salto di qualità inizia col molto creativo che apre il primo negozio di frutta e verdura, mentre il supercreativo inventa la marmellata e incassa le royalties.

Sempre parlando di mele, il buon Newton, rinunciò a far la fortuna sua e della sua famiglia solo per scoprire la legge di gravitazione universale.

Quando parliamo di creatività ed innovazione è bene ricordare che un aumento, anche minimo, dell’efficienza, può espandere enormemente l’utilizzazione e la produttività delle idee nuove.

E’ perché esiste una forte correlazione positiva fra creatività e crescita economica che si dovrebbe agire per rimuovere gli ostacoli che ne impediscono, in ogni contesto, l’emergere e dare quindi il proprio contributo allo sviluppo di aziende ed esseri umani.

Perché preoccuparsi?

L’idea di fare fiasco spaventa buona parte delle persone, generando spesso crisi interiori, come ricevere un colpo in testa, o avere stomaco ed intestino sottosopra; molti perdono il sonno.

Fortunatamente il buon senso aiuta a riequilibrare il tutto, non fosse altro perché l’angustiarsi non aiuta a risolvere un bel niente.

La vita è un susseguirsi di problemi ed il sistema migliore per risolverli è conservare la propria mente serena, cercando di fare in modo che le emozioni negative prendano il sopravvento.

Circa 20 anni fa ebbi la fortuna di partecipare, nella stupenda cornice di Venezia, a un seminario di Paul Watzlawick, il padre della pragmatica della comunicazione.

Mi rimase impresso il metodo che consigliava per affrontare i problemi; oltre all’analisi delle possibili cause ed implicazioni, egli consigliava di fare lo sforzo mentale di pensare alla degenerazione del problema stesso, ovvero di quali potessero essere le peggiori conseguenze che potessero derivare dallo stesso, partendo poi da quel preciso punto per cominciare a risolverlo.

Egli disse “l’alternativa al male non è per forza il bene, potrebbe essere anche il peggio”, ed è da li che lui consigliava, per quanto ipoteticamente, di partire.

Sulla base di quanto appena detto, propongo un metodo di approccio al problem solving che trovo utile, sia professionalmente che nel privato.

1.      Analizzare la situazione serenamente e con la massima onestà, immaginando cosa possa accadere nella peggiore delle ipotesi;

2.      Dopo aver immaginato il peggio rassegnarsi ad accettarlo, se necessario;

3.      A partire di questo istante dedicarsi anima e corpo a migliorare quel peggio già dato per scontato.

E’ impossibile concentrarsi quando qualcosa ci tormenta, la nostra mente vaga di qua e di la e perdiamo ogni capacità di decisione.

Non c’è altro da fare che sforzarsi di affrontare il peggio e rassegnarsi mentalmente alle conseguenze; solo allora siamo in grado di sottrarci all’influsso di pensieri negativi e possiamo concentrarci davvero sul nostro problema.

Occorre trovare qualcosa che ci strappi dalle nubi grigie nelle quali brancoliamo quando siamo preoccupati.

La psicologia afferma “farsi una ragione di quanto è avvenuto, è il primo passo per superare le conseguenze di qualsiasi disgrazia” e la filosofia orientale sottolinea “la vera pace dello spirito deriva dal rassegnarsi al peggio, dal punto di vista della psicologia è, se non altro, un sollievo”.

Milioni di persone si sono rovinate l’esistenza per essersi rifiutate di rassegnarsi al peggio e di ricominciare da quel nuovo punto di partenza; invece di applicarsi nel tentativo di rimediare al peggio, queste persone si impegnano a fondo in una lotta contro l’evidenza, e finiscono vittime di quella terribile fissazione chiamata depressione.

Ecco perché, e scusate la ripetizione, se si hanno delle preoccupazioni è bene:

1.      Chiedersi cosa ci può capitare nel peggiore dei casi

2.      Prepararsi a rassegnarsi se non ci sono alternative

3.      Cercare di migliorare con calma la situazione a partire dal peggio

La serenità da energia, e questa energia migliora la vita, in qualunque situazione ci si possa trovare.

Parliamo di stress

Oggi molte persone compiono regolarmente esercizio fisico, controllano la loro alimentazione e adottano misure preventive per mantenersi in buona salute: l’importanza di una buona salute fisica è oggetto di notevole attenzione
Ma viene riservata altrettanta attenzione al problema della gestione dello stress al fine di mantenere una buona salute mentale?
Lo stress fa parte della vita e la nostra salute mentale dipende dalla quantità di stress a cui siamo sottoposti e a come riusciamo a fronteggiarla.
Vi è da dire che ciò che può essere stressante per taluni, potrebbe non esserlo assolutamente per altri, e che lo stress è un laboratorio di apprendimento che ci insegna continuamente come riuscire a gestire con successo le difficoltà che incontriamo nella vita.

Se siamo continuamente turbati ed adirati, vale forse la pena di individuare la fonte della nostra rabbia, per poter trovare il modo adeguato d’affrontarla, in caso contrario i nostri sentimenti si accentueranno e produrranno effetti negativi, inizieremo a provare tensione e finiremo col mostrare segni di esaurimento mentale e fisico.
Spesso è difficile esprimere le proprie emozioni e le persone che le reprimono sempre  “vanno in ebollizione” nel momento meno opportuno, con il rischio di danneggiare i loro rapporti con gli altri.E’ importante acquisire la consapevolezza di noi stessi, orientandoci nella giusta direzione al fine di stimolare la crescita della nostra salute emozionale.

Il manager e il proprio ambiente

In qualsiasi azienda, anche di piccole dimensioni, possiamo ritrovare 3 aree che necessitano, ognuna, di una gestione specifica: produttiva, finanziaria e marketing.

Le funzioni di management, pur adattate ad ogni singola area, sono sempre le stesse.

Dal definire obiettivi raggiungibili, allo scegliere un piano di intervento.

Dall’organizzare e coordinare l’utilizzo delle risorse disponibili, al dare origine a unità operative adatte, attribuendo, a chi le gestisce, l’autorità necessaria e la responsabilità per il raggiungimento di obiettivi specifici.

Gestire nel tempo la struttura, fornendosi di un adeguato sistema di flusso informativo permetterà infine di raggiungere e migliorare gli obiettivi nei termini di qualità e quantità previsti.

Tutte le funzioni sono necessarie, e nessuna può essere considerata meno rilevante delle altre.

Chi lavora come manager sa di essere pagato per risolvere dei problemi, e di dover quindi dimostrare, di momento in momento, le proprie capacità.

Questi lavora normalmente sotto pressione e chi si dimentica di questo, e tende magari a riposare sugli allori, si mette in una posizione di rischio.

Chi vuole eccellere nell’avventura manageriale deve sempre essere più avanti di un gradino dei problemi di ogni tipo che possono rincorrerlo.

L’ambiente in cui vive risponde si a leggi interne, ma reagisce anche in funzione di quanto succede all’esterno.

Tutte le organizzazioni sono esposte ai cambiamenti economici, ambientali, politici e di mercato che ne possono condizionare l’esistenza, e vivono perciò in stretta relazione con l’ambiente nel quale sono immerse.

Innanzitutto si confrontano con il proprio ambiente interno, ovvero se stesse e le proprie risorse.

Vi è poi l’ambiente in cui l’organizzazione aziendale opera e in cui si muovono coloro che ne hanno una diretta relazione e interazione, e cioè i clienti, i fornitori, le aziende concorrenti, gli enti finanziari, i sindacati, le associazioni di consumatori, la stampa e i media, i pubblicitari, ecc.

Il terzo è l’ambiente esterno non direttamente coinvolto nella vita dell’azienda, ma nel quale si verificano eventi che possono influire sull’operatività aziendale, quali le innovazioni tecnologiche, i cambiamenti politici e/o sociali, nuove leggi, i mutamenti culturali e/o economici, i grandi movimenti finanziari, ecc.

Il manager deve conoscere ed armonizzare questi tre ambienti, proprio come deve eseguire al meglio i propri compiti nelle specifiche aree di competenza.

Conoscerli significa viverli, ovvero osservare quanto avviene fuori dalla propria azienda, oltre le proprie possibilità di controllo, al fine di essere sempre pronti a modificare in modo adatto e tempestivo la gestione della propria organizzazione

Come dicevamo, in qualsiasi azienda, anche di piccole dimensioni, il management è chiamato a risolvere quotidianamente problemi.

La differenza tra il galleggiare e il fare un passo avanti sta nella volontà, e nella capacità, di leggere correttamente, e magari con qualche dote intuitiva che ne permetta l’anticipo, l’ambiente in cui ci si muove, per cambiare quando è il momento di cambiare.