Colmare i gap nel servizio al cliente

Il gap rappresenta il divario fra ciò che l’azienda pensa essere il bisogno del cliente e ciò che questi vuole realmente.

Non c’è modo di sapere con esattezza cosa vogliono i clienti se non glielo chiediamo direttamente.

La differenza nelle percezioni, è il divario che dobbiamo colmare.

Il gap, in sostanza, si crea perché il cliente non percepisce l’acquisto nello stesso modo del fornitore, quindi in il divario tra ciò che il venditore pensa sia stato acquistato, e ciò che il cliente percepisce di avere ricevuto.

Anche se chi vende ha ragione, ma il cliente non la vede, quest’ultimo si sentirà defraudato e scontento.

Tocca al fornitore colmare questa discrepanza per far si che il cliente si senta soddisfatto.

Stiamo parlando del divario tra la qualità del servizio che un fornitore crede di dare e ciò che il cliente ritiene di ricevere, tra le aspettative del compratore sulla qualità del servizio e la performance reale, il divario tra le promesse commerciali e il livello reale della proposta.

Spesso succede che le promesse, che di norma alzano il livello delle aspettative, non vengano rispettate, per cui la loro mancata realizzazione lo rende scontento.

Il modo più semplice per superare questo stacco, è promettere poco e dare di più.

Colmare questi gap aiuta a soddisfare e conservare il cliente.

Le domande che seguono possono aiutarci a riflettere sul nostro servizio e ad intraprendere azioni che ci aiutino a colmare eventuali divari, e a fare in modo che non si ripetano.

1.      Abbiamo l’abitudine di chiedere ai nostri clienti quali sono i loro bisogni e desideri e cosa si attendono da noi?

2.      Siamo impegnati nello sforzo di fornire un servizio di qualità superiore?

3.      Abbiamo le idee chiare su come i nostri clienti prendono le decisioni d’acquisto?

4.      Conosciamo i criteri che i nostri clienti adottano per definire la qualità e decidere se sono soddisfatti?

5.      Promettiamo di più di quanto possiamo mantenere?

6.      I nostri clienti pensano che siamo in grado di soddisfare i loro bisogni e le loro aspettative?

7.      Abbiamo ben chiari i loro bisogni e le loro attese?

8.      Abbiamo un programma per il recupero dei clienti insoddisfatti?

9.      Abbiamo delle azioni per riconquistare i clienti persi?

10.  I nostri standard concordano con quelli dei clienti?

La nostra esperienza ci aiuterà sicuramente ad aggiungere molte altre domande a questa lista, che si propone semplicemente come una guida introduttiva agli sforzi da dover produrre per colmare i nostri gap commerciali e di servizio.

Come migliorare le capacità di ascolto (parte seconda)

Come anticipato la scorsa settimana, continuiamo con piccoli suggerimenti pratici per renderci ascoltatori più efficaci.

6. Resistiamo alle distrazioni esterne

Sediamoci in modo da poter vedere ed ascoltare senza essere distratti, e “concentriamoci sulla concentrazione”. Quando si è concentrati ad essere concentrati, si può benissimo essere consapevoli dei rumori ambientali senza esserne distratti.

7. Tratteniamo l’impulso di ribattere facendo attenzione ai nostri “punti deboli”

Non facciamoci trascinare dalle parole cariche di peso emotivo, individuando quali sono le parole che ci fanno smettere di ascoltare ed iniziare a pensare a come ribattere. Resistiamo alla loro provocazione e riprendiamo immediatamente ad ascoltare, rimandando qualsiasi giudizio finché non avremo compreso a che punto il nostro interlocutore vuole arrivare.

Oppure potremo annotare velocemente i punti ai quali ribattere sotto forma di domande, e affrontandoli immediatamente con richieste di chiarimento e non con affermazioni lapidarie.

Dobbiamo fare chiarezza nella nostra mente, in modo da poter riprendere l’ascolto con maggiore apertura.

8. Manteniamo aperta la nostra mente: facciamo domande per avere chiarimenti

Improvvisi ed accesi dissensi con i punti essenziali o con le argomentazioni del nostro interlocutore possono causare una reazione di “sordità psicologica”. Manteniamo aperta la nostra mente, dando al nostro interlocutore maggiore attenzione, piuttosto che chiuderci. Sforziamoci di individuare il nocciolo della questione, rimanendo al di fuori della trappola del giudizio, non giudicando ciò che ci viene detto come “sbagliato”. Chiariamo il significato delle parole usate riformulando, con parole nostre, ciò che pensiamo sia stato detto.

9. Valutiamo mentalmente, riassumiamo

Il punto essenziale dell’ascolto efficace è quello di sviluppare la massima concentrazione in ogni situazione di scambio verbale. Concentriamoci su ciò che dice il nostro interlocutore, riassumendo mentalmente ciò che è stato detto, facendo contrapposizioni e comparazioni.

10. Esercitiamoci con regolarità.

Acquisiamo esperienza e pratica nell’abilità di ascolto e in quella di prendere appunti ascoltando materie difficili o a noi poco familiari e che mettano alla prova le nostre risorse mentali. Qualsiasi incontro, anche al di fuori dell’ambito lavorativo, può essere una buona opportunità per fare esercizio. L’esercizio regolare può fare meraviglie. L’abilità di ascolto efficace richiede molti sforzi, ma è uno dei modi più semplici conosciuti per acquisire informazioni ed idee che possono esserci utili.

11. Analizziamo anche il non-verbale

Occorre essere pazienti e sensibili verso le sensazioni della persona che ci parla. Chiediamoci perché quella persona ha detto ciò che ha detto e che cosa intendesse dire con ciò. Ascoltiamo “tra le righe” per individuare significati nascosti. Che cosa sta’ dicendo questa persona in forma non-verbale?

Per quanto Oscar Wilde dicesse che il pericolo dell’ascoltare potesse tradursi nel farsi irragionevolmente convincere da argomentazioni altrui, è forse meglio rifarsi a quest’altro aforisma di un autore sconosciuto “Quando sono a corto di idee, risparmio il cervello e mi servo delle orecchie; non ho mai imparato qualcosa parlando.”

Si dice che i migliori leader abbiano la loro vera forza nel saper ascoltare!

Parafrasando un vecchissimo slogan, abusato anche da venditori e banditori televisivi “provare per credere”.

Come migliorare le capacità di ascolto (parte prima)

Si dice che passiamo circa il 40% del nostro tempo ad ascoltare le altre persone ma, spesso, lo facciamo in maniera così inefficace che il risultato si traduce in istruzioni che vengono equivocate, progetti che prendono direzioni sbagliate ed azioni non appropriate, ossia tutta una serie di errori costosi, solo perché, a quanto pare, non sappiamo ascoltare.

Migliorare le capacità di ascolto porta le persone ad avere una mentalità molto più aperta, quindi incrementa l’innovazione e migliora il servizio offerto ai clienti, riducendo lo stress, evitando i conflitti e perfezionando l’abilità nel gestire i rapporti interpersonali.

Ecco alcune cose che possiamo fare per potenziare le nostre abilità d’ascolto:

1. Aree di interesse: cerchiamo qualcosa da utilizzare

Se abbiamo un atteggiamento positivo verso un determinato argomento, sicuramente troveremo qualcosa che possa accrescere la nostra conoscenza in qualsiasi conversazione che ci capiti di intrattenere. Per quanto arida una discussione possa risultare, essa conterrà quasi sicuramente almeno un concetto che potrà esserci utile.. Selezionare dalle conversazioni elementi che abbiano un certo valore personale fa parte di una efficace attività di ascolto. Di ciò che è stato detto, cosa posso utilizzare? Che cosa mi è utile? In che modo si collega con ciò che già conosco? Che cosa potrei farne?

2. Prendiamo l’iniziativa

Scoprire che cosa sa il nostro interlocutore e concentrandoci su ciò che ci dice. Facciamo di tutto perché la comunicazione avvenga in modo bidirezionale, ignorando il modo di esprimersi e la personalità di chi ci parla se queste cose in qualche modo ci distraggono. Afferriamo l’idea che ci viene comunicata, stimolando l’interlocutore con la nostra attenzione e con espressioni di interesse.

3. Esercitiamoci ad ascoltare

L’ascolto efficace è un’attività che richiede energia, ma più ci esercitiamo e più ci risulterà semplice. Se siamo in grado di conoscere in anticipo l’argomento di una conversazione prepariamoci con delle letture, discutendone o semplicemente con qualche breve riflessione, e definendo il nostro punto di vista; ascoltiamoci attivamente usando tutte le nostre energie.

4. Concentriamo la nostra attenzione sui concetti

Ascoltiamo i concetti basilari del nostro interlocutore. Appropriamocene così come ci vengono presentati, distinguendo i fatti concreti dai principi generali, le idee dagli esempi, e le evidenze dalle opinioni.

5. Prendiamo appunti.

Possiamo migliorare la nostra capacità di apprendimento e di memorizzazione compilando un breve resoconto dei punti essenziali toccati dal nostro interlocutore. In seguito potremo rivederli e ragionarci su, pensando se, e come, possono esserci utili, oltre a discernere tra ciò che condividiamo o meno. Gli appunti devono essere brevi, facili da interpretare e da rivedere. Esercitiamoci a riassumere a grandi linee il contenuto dei diversi tipi di conversazioni che ci troviamo a sostenere; impariamo a riconoscere le parole, le frasi o i concetti-chiave. Manteniamo una certa flessibilità: non tutte le persone parlano seguendo una traccia precisa.

Saper ascoltare si fonda sugli stessi principi del sapersi mostrare, con l’unica differenza che la vera capacità sta nel rendere l’altro protagonista; chi legge questi cinque punti sarà portato a sorriderne, pensando ad un semplice e retorico ABC della comunicazione.

In effetti sarebbe così se non fosse che, per esperienza personale, non essendo per natura un ascoltatore, ho imparato che l’ascoltare efficacemente mi ha sempre evitato un sacco di problemi e di brutte figure.

Ecco perché nei momenti cruciali mi impongo di ascoltare, sospendendo il giudizio, prendendo appunti, separando per iscritto i fatti dalle considerazioni, e cercando di capire, soprattutto, cosa sta cercando di dirmi veramente il mio interlocutore, approfondendone i silenzi e le omissioni.

Alla prossima settimana con la seconda parte.

Incoraggiare i nostri obiettivi ogni giorno

Una delle abitudini più importanti che possiamo acquisire è quella di stabilire quotidianamente degli obiettivi; è una cosa piuttosto semplice, dallo stabilire la propria perdita di peso in un determinato periodo, alla decisione di trovare un lavoro migliore o più remunerato.

Stabilire degli obiettivi vuol dire scriverli dando loro una data di scadenza.

Possiamo usare un’agendina, un block notes o un palmare, qualunque cosa possiamo portare sempre con noi e nella quale annotare tutte le decisioni che prendiamo.

Più siamo specifici su ciò che vogliamo e quando lo vogliamo, e più ci diamo steps di controllo ravvicinati, più sarà potente l’effetto che ne otterremo.

Gli obiettivi scritti e affermati in questo modo, controllati quotidianamente o quasi, attivano leggi di aspettativa e di attrazione, facendoci sviluppare una visione migliore di ciò che è possibile per noi, aumentando la nostra energia e la nostra creatività.

Obiettivi positivi e personali, scadenziati a breve e medio periodo, controllati ripetutamente, premono sull’acceleratore del nostro potenziale, facendoci muovere più rapidamente verso di loro, e facendoli muovere più rapidamente verso di noi.

Un’importante abitudine di pensiero sviluppata dagli ottimisti è l’orientamento all’eccellenza.

Il fatto è che, per ottenere qualcosa che non abbiamo mai ottenuto prima, dobbiamo acquisire e padroneggiare una o più abilità che non abbiamo mai avuto prima.

In altre parole, se vogliamo cambiare qualcosa del nostro mondo esteriore, o raggiungere un obiettivo che non abbiamo mai realizzato prima, dobbiamo modificare in qualche modo il nostro mondo interiore, attraverso una o più nuove abilità.

La buona notizia è che le abilità, come le abitudini, si possono imparare, in quanto si tratta semplicemente di pratica e ripetizione.

Perciò facciamoci questa domanda “qual è l’abilità che, se la sviluppassi e praticassi in modo consistente ed eccellente, avrebbe il maggior impatto positivo sulla mia vita (personale e/o professionale)?”

Dobbiamo sviluppare di identificare e lavorare sulle nostre abilità più deboli.

Migliorarci su quelle principali avrà un impatto immediato, e maggiore, sui nostri risultati rispetto a qualsiasi altra cosa possiamo fare.

Se un gruppo di bambini va a fare una passeggiata, quale bambino determina la velocità di tutto il gruppo? Quello più lento!

Cosa definisce la vera forza di una catena? Il suo anello più debole.

La nostra abilità primaria più debole rappresenta il  nostro bambino più lento.

Stabilisce il ritmo con cui avanziamo e ci evolviamo e determina fin dove possiamo arrivare.

Se qualcuno sta andando meglio di noi, significa solo che ha cominciato a lavorare su se stesso in un certo modo prima di noi.

Il nostro compito è metterci a testa bassa e lavorare sodo su noi stessi.

Dobbiamo sviluppare pensieri, e conseguenti azioni, che ci orientino a crescere.

L’orientamento alla crescita prevede che acquisiamo l’abitudine all’apprendimento permanente, vale a dire l’abitudine all’aggiornamento personale e professionale continuo.

Cerchiamo di delegare

Tutti i manager si trovano di fronte a un paradosso, dovendo produrre risultati superiori alle loro possibilità personali.

C’è chi reagisce diventando uno stacanovista, chi crolla vittima dello stress, chi si trasforma in un burocrate passacarte, e c’è qualcuno che ci riesce.

Essere vincenti o perdenti nel campo del management, soddisfare grandi aspettative pur avendo risorse limitate quantitativamente, dipende strettamente dalla capacità di delegare.

Posso in tutta tranquillità affermare che la maggior parte dei manager sono, per indole, accentratori.

Proviamo a riflettere su cosa possa concretamente significare la capacità di delegare attraverso lo scenario qui rappresentato.

“Gino e Ugo erano stati promossi responsabili di reparto nella stessa occasione. Erano entrambi considerati lavoratori brillanti e diligenti, promettenti come manager. Tutti e due scoprirono presto che dirigere un reparto era un’altra storia rispetto al solo lavorarci. Per mesi fecero le ore piccole tentando di tenere il passo con un carico di lavoro a cui non erano abituati. Dovevano risolvere 4 o 5 problemi cruciali alla volta, che il lavoro si moltiplicava, e che il tempo non bastava mai. Entrambi riuscirono a far fronte alle diverse esigenze, ma dopo un anno circa Gino fu promosso vice responsabile di stabilimento, mentre Ugo rimase capo reparto. Erano entrambi bravi, ma i decisori, osservandoli, notarono che Gino sembrava sempre essere leggermente in anticipo sugli avvenimenti, mentre Ugo sembrava sempre leggermente in ritardo. La differenza fra i due era contenuta nella valutazione del rendimento di Gino – Sa delegare -.”

La delega, ci piaccia o meno, è la più importante di tutte le capacità manageriali; manager è chiunque realizzi qualcosa tramite altre persone, e la delega non è altro che un modo per ottenere dei risultati tramite l’impegno altrui.

Delegare è demandare a qualcun altro i propri poteri e le proprie funzioni, facendo si che si impegni a eseguire dei compiti che altrimenti si sarebbero dovuti eseguire di persona.

La delega non consiste semplicemente nell’assegnare un lavoro, ma significa attribuire al delegato la responsabilità dei risultati, e di solito vuol anche dire “lasciarlo libero di decidere come ottenerli”, definendo gli steps e le modalità di controllo, in quanto delegare un risultato non ci assolve dalla responsabilità del risultato stesso.

Ma torniamo allo scenario “A circa 6 mesi dalla loro promozione a responsabili di reparto Gino e Ugo ricevettero dall’azienda la richiesta di relazionare sul livello delle scorte, e quindi di inventariarle unitamente all’analisi dei sistemi di trasporto e approvvigionamento interni. Ugo cominciò subito a svolgere coscienziosamente l’indagine, Gino si preoccupò di stabilire a chi delegare questo compito, scelse la persona, le diede l’incarico e si tenne informato”.

Entrambe le relazioni furono redatte con la stessa competenza, con la differenza che Ugo si era dedicato al fare, Gino all’amministrare (pianificare – organizzare – dirigere – coordinare) permettendo ad uno dei suoi addetti di accrescere la propria esperienza e quindi le proprie capacità.

La differenza sta dunque nei risultati.

Alcuni manager stentano ad afferrare questa distinzione tra “fare” e “amministrare”.

All’inizio Gino e Ugo erano entrambi stati promossi perché avevano fatto bene il proprio lavoro, ma una volta entrati nel management, seppur al gradino più basso, avrebbero dovuto in larga misura smettere di fare e concentrarsi sull’amministrare, delegando il fare ai loro collaboratori.

Un manager che resta un esecutore, anziché imparare a delegare, può aspettarsi ben pochi progressi.