Gli stadi dello stress

E’ risaputo che uno stile di vita stressante è più probabile che provochi un infarto.

Comportamenti quali il mangiare rapidamente, provare un senso di impazienza per il ritmo con cui si verifica la maggior parte degli eventi, terminare le frasi di chi sta parlando con noi, irritarsi o adirarsi se un auto davanti a noi procede molto lentamente, ecc. sono comportamenti significativi (Meyer Friedman e Ray H. Rosenman).

Tuttavia sappiamo che possiamo modificare il nostro comportamento, cercando di rilassarci ed essere pertanto soggetti ad un minor numero di problemi fisici legati allo stress, senza per questo pregiudicare i nostri obiettivi.

Minori pressioni interne e rapporti più facili con gli altri, godersi le piccole cose che aggiungono significato alla vita, non sono comportamenti antitetici al raggiungimento di ogni risultato.

Occorre tenere in considerazione la necessità di lavorare, ma anche di svagarsi, compiendo regolarmente esercizio fisico, controllando l’alimentazione, rilassandosi e relazionandosi positivamente con gli altri.

Opporre resistenza allo stress o negarne l’esistenza portano prima o poi al momento in cui mente e corpo sono completamente esauriti, con conseguente drastica diminuzione di efficienza; molti ritengono il prendersi una pausa una perdita di tempo … fortunati quelli che la vivono come il momento dedicato ad alleviare le tensioni.

Secondo Hans Selye (autore di The stress of life – 1976) gli stadi dello stress sono 3: allarme, resistenza, esaurimento.

L’allarme è sintomatico di irrequietezza, ansia, rabbia, depressione e paura, la resistenza è palesata dalla negazione del sentimento, dall’isolamento emotivo e dalla limitazione degli interessi, e l’esaurimento è evidenziato dalla perdita di sicurezza in sé, dal peggioramento delle abitudini del sonno,  e da ipertensione, depressione e disturbi fisici in genere.

Esempio: Scoprire che per motivi di budget non ci verrà concessa una promozione che ci era stata promessa e che avevamo già annunciato agli amici (allarme), decidiamo di non parlare a nessuno della nostra delusione (resistenza) e dopo parecchie settimane siamo ancora nel dubbio non sapendo se e quando avremo la promozione (esaurimento).

La maggior parte delle situazioni lavorative è caratterizzata dallo stress professionale per via di agenti quali le situazioni conflittuali, carichi di lavoro eccessivi, colleghi con i quali è difficile trattare, non essere coinvolti nelle decisioni che influiscono sul proprio lavoro, ecc.

Se a questi si aggiungono sintomi personali quali il perfezionismo, cinismo o negativismo, il non sapersi rilassare, il bere o il far uso di “additivi chimici”, aspettative elevate e non realistiche da se stessi, ecc. la “frittata” è fatta.

Ovviamente chi riconosce ed accetta i sentimenti della fase d’allarme, e ha la possibilità di esternarli agli altri confrontandosi, ha ampie possibilità di ridurre l’impatto dello stress.

Il nostro compito è di trovare un modo, preferibilmente qualcosa che possiamo fare quotidianamente, per ripristinare il nostro normale equilibrio, abbassando lo stress: per fare questo occorrono spirito di sfida e disciplina affinché il nostro organismo non si adatti al livello di “alta tensione”, che alla lunga potrebbe diventare distruttivo sia dal punto di vista fisico, sia da quello emozionale.

Un po’ di stress è comunque necessario in quanto ci consente di essere pronti ed attenti, e ci motiva a raggiungere standard che ci aiutano nel rafforzamento dell’autostima; l’importante è trovare il giusto equilibrio con noi stessi, utilizzando la quantità di stress adeguata alla nostra vita (Yerkes-Dodson).

Un buon marketing centrato sul cliente

Alla gente non piace farsi vendere qualcosa, ma adora comprare; l’esperto venditore sa che il suo compito principale è creare un’atmosfera che invogli la gente a comprare. La domanda “Perché la gente compra” è mille volte più importante di “Come devo vendere”! (Jeffrey Gitomer)

Credo che questa frase, per quanto rivolta a venditori, sia più che mai vera per gli uomini di marketing che sono ogni giorno chiamati a comunicare, relazionarsi e negoziare tra ciò che vorrebbero dire, e ciò che i Clienti vorrebbero ascoltare.

Un buon marketing è un’attività eticamente valida, e pertanto necessaria, se riesce a evitare sterili autoreferenze e se riesce a parlare col Cliente: sulla teoria siamo sempre tutti d’accordo, peccato che nella pratica questo non sempre avvenga.

Capire le percezioni sottintese che legano il nostro prodotto alla gente che lo compra, significa andare oltre elementi di mera “mercabilità” ad esso riferita (appetibilità, comprabilità, seduzione, ecc.), vuol dire agire per collegare il prodotto alla gente, e la gente al prodotto.

Qualche decennio fa John Wanamaker affermava: “So bene che la metà del denaro che spendo in pubblicità è buttato via, ma non mi riesce di sapere di quale metà si tratti.”

Affidarsi quest’oggi, in un mercato difficile e tormentato da una forte crisi economica, ad azioni che non ci permettano di presidiarne i potenziali ritorni, non ha senso: si tratta di scegliere canali e messaggi giusti, cercando di comunicare “non solo per dire”, ma per aiutare a “percepirci favorevolmente”.

Conoscere un Cliente, sia esso una persona, piuttosto che un’azienda, può indicarci qual è l’approccio migliore in linea generale con l’interlocutore, soprattutto in caso di aziende in quanto, benché la persona a cui vendiamo possa avere la più grande autorità ed autonomia , è chiaro che, attraverso di lui, noi facciamo affari, in realtà, con la ditta che egli rappresenta.

E’ proprio per questo che anche le aziende possono, e dovrebbero, essere “lette” come le persone.

Chi sa porre in essere una comunicazione a due vie, sia con strumenti istituzionali, che in momenti relazionali, pone in essere quella che comunemente viene chiamata conversazione, situazione nella quale chi sa ascoltare sa anche cosa dire, come dirlo e quando dirlo, cogliendo quelli che comunemente vengono definiti come “vantaggi negoziali”.

Purtroppo, nella realtà dei fatti capita spesso che entrambe le parti siano così focalizzate su se stesse da essere reciprocamente aliene una all’altra, come se si trovassero in pianeti distanti ed incomunicabili.

L’impresa, sia istituzionalmente, che con le sue risorse di contatto parla di prodotti, servizi, processi e caratteristiche; il cliente parla un linguaggio fatto di domande, di dubbi e di insicurezze su come scegliere.

Le imprese parlano troppo spesso di clienti riferendosi ad essi come consumatori, indipendentemente che si riferiscano al B2C piuttosto che al B2B, ma consumare prodotti per i propri fabbisogni è differente dall’avvalersi o dall’affidarsi ad altri.

Consumatore è una parola che sentiamo al TG o leggiamo nelle pagine economiche; è spesso ancorato a un risultato numerico e a ricerche di mercato.

Pensare ai clienti e non ai consumatori è il primo passo per fare del buon marketing.

Noi dobbiamo essere in grado di comunicare e di consegnare un buon valore al nostro cliente, e questo avviene sicuramente quando riusciamo a muovere i suoi affari da una situazione migliorabile ad una situazione migliorata, ma per fare questo . . . . .

Team player di qualità

Lo scopo della vita non è vincere. Lo scopo della vita è crescere e condividere. Quando arriverai a ripensare a tutto ciò che hai fatto nella vita, trarrai più soddisfazione dal piacere che hai portato nella vita agli altri che non dalle volte che li hai superati e sconfitti” Harold Kushner.

I membri della squadra amano e ammirano sempre un giocatore che sia in grado di aiutarli a salire di un altro livello, qualcuno che li faccia progredire e conferisca loro il potere di avere successo.

I giocatori che fanno progredire i compagni di squadra hanno in comune alcune qualità.

Innanzitutto apprezzano i compagni di squadra, e tendono perciò a sviluppare più lo spirito di approvazione, piuttosto che quello di critica (le persone capiscono se credi in loro, e le performance che offrono riflettono solitamente le aspettative di coloro che esse rispettano).

In secondo luogo capiscono ciò che è fonte di apprezzamento da parte dei loro compagni, ascoltando per capire di cosa parlano, osservandoli per capirne lo stile di vita.

Aggiungono poi valore ai membri del team, al fine di farli a progredire, trovando i modi per aiutarli a migliorare le loro abilità ed atteggiamenti; chi fa progredire gli altri cerca i talenti e l’unicità negli individui, aiutandoli ad incrementare quelle abilità a beneficio loro e dell’intera squadra.

Infine si rendono preziosi, lavorando per migliorarsi, non solo in funzione di vantaggi propri, ma del maggior aiuto che possono offrire.

Diventare uno che fa progredire gli altri non è sempre facile e occorre essere sicuri di sé per dar loro; le persone che credono nell’intimo che aiutare gli altri danneggi in qualche modo le loro opportunità di successo, faranno fatica ad essere il motore dei progressi altrui.

Quando un membro della squadra fa progredire i propri compagni in modo disinteressato, fa progredire anche se stesso.

Per essere un team player di qualità occorre credere negli altri prima che essi credano in me, in altre parole dobbiamo diventare degli iniziatori; se crediamo negli altri e diamo loro una reputazione positiva da mantenere, possiamo aiutarli a diventare migliori di come pensano di essere.

Dobbiamo servire gli altri prima che loro servano noi, aiutandoli a raggiungere il loro potenziale; troviamo il tempo e le risorse per esperienze che ci arricchiscano e, ogni volta che è possibile, riconosciamo ai nostri compagni il merito per il successo della squadra.

Cerchiamo di aggiungere loro valore prima che lo aggiungano a noi, perché le persone vanno verso chi le valorizza, e si allontanano da chi le denigra; l’importante è motivarle nelle aree in cui non si sentono a proprio agio, ma per le quali hanno delle doti, evitando di spingere le persone a lavorare in ambiti in cui non hanno alcuno talento … le frustreremmo soltanto.

Non c’è niente di così prezioso, e gratificante, come aggiungere valore alla vita degli altri.

Qualità personale e autostima

Esprimere le proprie qualità gioca un ruolo chiave nel lavoro in termini di efficienza e performance nonché di soddisfazione personale.

Costituiscono risorse che permettono di portare a compimento i compiti assegnati, raggiungere gli obiettivi e realizzare i progetti.

Riconoscere le proprie qualità e caratteristiche personali, oltre a manifestare consapevolezza di sé, consente di comunicare gli strumenti preziosi di cui siamo in possesso, strumenti che rappresentano veri e propri punti di forza per ricoprire un dato profilo professionale.

Aldilà del significato che ognuno può dare al termine “qualità personale”, è indubbio che la stessa sia la base per ogni altro tipo di qualità, una base che ci permette di trarre da essa benefici personali, che a loro volta influenzeranno familiari, amici e colleghi.

Ovviamente tutto ciò influenza positivamente l’autostima, visto che il nostro senso di benessere, l’efficienza e l’intero sviluppo, sono in larga parte determinati dai nostri atteggiamenti verso la vita: il modo in cui ci vediamo, le persone che ci circondano, e così via.

Fra le innumerevoli qualità che possono farci emergere guadagnando la considerazione degli altri, gli esperti del “marketing personale” ne hanno individuate 8, conosciute come “la regola delle 8c”, che sono ritenute qualità/attributi utili e necessari per sviluppare un efficace brand personale.

In sintesi:

1. Consapevolezza Il punto di partenza: la consapevolezza del proprio valore, delle proprie capacità, ma anche dei propri limiti e delle possibilità offerte dal mercato, dalla tecnologia, dalla società.

2. Costanza Essere costanti nell’impegno, nel promuoversi ma anche nel rispettare gli impegni presi; darsi anche tempo per realizzare i propri obiettivi.

3. Coerenza Essere coerenti tra ciò che diciamo e ciò che facciamo, tra lato pubblico e quello privato, tra promesse e fatti concreti.

4. Chiarezza Avere chiarezza di obiettivi, di chi siamo, a chi ci rivolgiamo, ma intesa anche come trasparenza nel proporsi e nell’agire.

5. Coraggio Ci vuole davvero coraggio per diventare più visibili, esprimersi in pubblico e online, commentare e condividere le proprie idee ed esperienze, anche per ammettere i propri errori.

6. Competenza Una qualità da sviluppare in modo permanente attraverso l’esperienza, l’apprendimento e l’ascolto continuo.

7. Convincimento Essere convincenti non vuol dire vender fumo, ma essere assertivi e proattivi. Trovare il modo di fare davvero la differenza concretamente.

8. Creatività Per trovare nuove soluzioni e nuovi modi di lavorare, di proporre idee e progetti, per cercare sempre di rinnovarsi.

L’interazione molto intensa di chi, puntando sulla proprie ed altrui qualità, riescono a trovarsi in un contesto in cui i singoli, come persone e come professionisti, si amalgamano, unitamente alla capacità di integrare competenze diverse, genera contesti e situazioni in cui è possibile ricostruire una “etica sociale” e una progettualità resa ad interessi di più ampio respiro.

La qualità crea autostima, e l’autostima è la base della qualità; è indispensabile, perciò, contribuire al realizzare una società in grado di ispirare ogni individuo ad esprimere il massimo del proprio potenziale.