La nostra personalità si manifesta in modi diversi nelle diverse età della vita, assestandosi, per ognuno di noi, in un modo di esprimersi caratteristico, che però non sempre è il meglio che possiamo ottenere da noi stessi.
Il manager dovrebbe essere vivace, brillante, ottimista, non temere le novità, avere le idee chiare e saperle comunicare, essere capace di organizzare e convincere, ecc.
Se per fare un buon manager sono importanti molte doti positive, dall’altra parte è necessario contenere alcuni lati negativi del carattere che possono disturbare molto la professione.
- La tendenza alla bassa stima di sé. Usare l’atteggiamento dimesso e perdente come una vera e propria modalità di comunicazione, cercando il vantaggio di non essere attaccati e criticati in quanto siamo già abbastanza tristi, e possiamo, perciò, solo essere rincuorati.
- La tendenza a lasciarsi plagiare e prevaricare, a non imporsi mai, cioè la mancanza di capacità assertiva di autoaffermazione. Quanto siamo capaci e quanto ci costa dire no opponendoci al desiderio di un’altra persona? O ci è più facile dire sempre di si?
- L’incapacità di gestire consapevolmente la nostra aggressività, quindi l’incapacità di saper incanalare questo istinto fondamentale: non possiamo permettere che la nostra ostilità o antipatia verso un collaboratore danneggi del lavoro prezioso.
- L’incapacità di operare scelte che denotino coraggio e siano la giusta sintesi tra razionale e istinto-emotivo. Occorre assimilare il concetto che mai un danno alla nostra immagine è irreparabile se non siamo noi che ci diamo per vinti, accettando il rischio di fidarsi delle proprie intuizioni, sorreggendole, ma non soffocandole, con una buona base razionale.
- L’incapacità di immedesimazione e di prevedere, a grandi linee, cosa faranno gli altri, cioè sapere, anche solo grossolanamente, cosa gli altri provano e pensano, e quali azioni ne conseguono. Questo ci condurrà prima o poi di fronte a reazioni imprevedibili e ingestibili.
- L’incapacità di risultare simpatici e limpidi agli altri. Modulare la nostra capacità di simpatia senza cadere nella viscidità è una chance fondamentale. Un’eccessiva attenzione all’autoaffermazione rende antipatici, perché denota un’insicurezza di fondo.
- L’incapacità di dare agli altri la possibilità di fidarsi di quello che pensano di noi, ovvero negando loro la possibilità di sapere chi siamo e come siamo fatti, dando messaggi instabili, essendo innaturali e posticci, creando solo confusione percettiva.
- La tendenza a trovare sempre degli alibi agli insuccessi, mancando di autocritica per la paura di riconoscersi inadeguati. La ricerca di alibi può anche proteggere da sentimenti depressivi, ma non è utile a correggere errori di management.
- L’eccessiva attenzione al proprio bisogno di riposo, soprattutto quando questa può corrispondere a una fuga da impegni che inconsciamente riteniamo troppo onerosi.
10. Il conformismo, ovvero rinunciare alle proprie capacità creative adeguandosi a ciò che già esiste ed è riconosciuto come comportamento sociale medio per quel determinato ruolo. Il manager conformista è irrimediabilmente un manager di basso profilo.
11. L’incapacità di operare scelte con sicurezza, tempismo, ponderatezza e decisione. Essere capaci di scegliere è meno facili di quanto si possa pensare. Ci sono persone per le quali ogni scelta è un dramma. Nel management questo significa inadeguatezza e non è ammissibile neanche episodicamente in quanto significa incapacità emotiva a reggere la pressione del compito.
Quasi tutti non sono impedimenti insuperabili, poiché in gran parte si possono correggere, a patto che se ne raggiunga una coscienza ed una conoscenza complete; così la strada che porta alla “produttiva” affermazione personale diventerà forse meno difficile di quello che sembra.