“Per influenzare l’opinione altrui, bisogna essere abili nella comunicazione. Se non sapete comunicare non avete alcuna influenza sulle opinioni, e se non riuscite ad influenzare le opinioni non andrete molto lontano nel management. Cosa sanno, in più, le persone capaci di esercitare l’influenza? Qual è il segreto che hanno capito cosi bene? Direi che hanno afferrato una relazione semplicissima: il collegamento tra comunicazione, riconoscimento e influenza” Robert Dilenschneider.
La chiave per avere influenza è riuscire ad ottenere l’attenzione e la concentrazione degli altri grazie alla capacità di saper definire questioni e problemi in modo chiaro e semplice, percependo e gestendo i diversi impatti emotivi, proponendo soluzioni e dando risposte, che soddisfino tutte le parti coinvolte.
La comunicazione che “influenza” è riassumibile in pensieri concreti tradotti in messaggi chiari, uniti alla capacità di saper mettere a fuoco, così da aumentare sensibilmente le probabilità di ottenere riconoscimento da parte degli altri.
Purtroppo si tende a dare per scontato che la capacità di influenzare sia data prevalentemente dal ruolo e che, pertanto, per essere presi sul serio, contino essenzialmente ruolo e potere; confondere l’autorità con l’autorevolezza è esercizio di molti.
Se ci capitasse di presiedere o partecipare a un work shop, o comunque a una riunione, proviamo a fermarci a osservarne le dinamiche; ci apparirà molto chiaramente la differenza tra chi sarà in grado di esercitare influenza sugli altri (indipendentemente da ruolo e grado) e chi annasperà tra il consenso e i tentativi di imposizione.
Influenzare gli altri non significa manipolarli, al contrario, significa, soprattutto, saperli ascoltare lealmente: questo è l’essenziale punto di partenza.
Jean de la Bruyère affermava “un uomo può dire di aver fatto grandi progressi nell’astuzia, quando non sembra troppo furbo agli altri”; chi sente il bisogno di esibire ed esibirsi erige un muro tra sé e gli altri e l’ossessione dell’apparenza, accentuata dalla costruzione di un’etica di facciata, non gli permetterà di reggere a lungo.
Il “manager influente” è un punto di riferimento, dotato di spessore, integrità e sangue freddo (non si lascia influenzare dalla paura dell’impopolarità), ha maturato ed esprime esperienza, saggezza e credibilità tali da poter mettere d’accordo pareri discordanti, di infondere fiducia e influenzare le opinioni altrui, pur non ricoprendo necessariamente ruoli di potere.
Dilenschneider afferma a proposito di etica ed integrità “se non fate pratica di comportamento moralmente corretto nei problemi aziendali di tutti i giorni, non saprete come agire quando le grandi sfide si profileranno all’orizzonte”.
Per essere riconosciuti quali persone influenti dagli altri (superiori, colleghi, collaboratori, clienti, familiari, amici), occorre che gli stessi possano identificarci in chi ha comportamenti adeguati, equi nell’esigere dagli altri quanto da noi stessi, e richiede, inoltre, il riconoscimento di un equilibrio psichico che, evitando l’aggressività, permetta il saper gestire problemi e conflitti sin dal loro sorgere.
Ogni giorno argomentiamo in tutti i settori della vita cercando di convincere razionalmente e persuadere emotivamente; è quindi importante saperlo fare non soltanto spontaneamente ma, come disse Aristotele “con l’accortezza e con la pratica” che un mondo in continua evoluzione ci chiede.
Quanto riusciamo a essere influenti?
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