La solidarietà come sentimento sociale sarà una delle rivoluzioni del terzo millennio, proprio come l’aver compreso che la giustizia deve essere un sentimento sociale che si esprime con la legge è stata un’importante conquista della fine del secondo millennio.
Vediamo le analogie.
Ognuno di noi ha insito in sé il concetto di giustizia e vorrebbe che la propria giustizia trionfasse: l’attuazione individuale del concetto di giustizia senza appellarsi alla legge (giustiziere) è però ormai condannata moralmente da tutti come una pratica incivile e violenta.
Spesso in una comunità molte persone hanno lo stesso concetto di giustizia, tant’è vero che in molti casi concreti si è in grado di essere assolutamente concordi: la sostituzione del gruppo concorde alla legge dà origine al fenomeno del linciaggio (reale o morale, si pensi alla stampa che condanna una persona prima del processo).
Sia nel primo caso sia nel secondo, nessuno può farsi giustizia da sé: ormai si è concordi che in un paese civile è la legge (per quanto imperfetta) che deve prendersi cura dell’attuazione della giustizia.
Nel terzo millennio sarà così anche per la solidarietà.
La solidarietà è un sentimento sociale che deve esprimersi con la socialità dello Stato.
Partendo dalla sostanziale necessità di risolvere le contraddizioni , vediamo il cammino che ci porterà alla soluzione della solidarietà come sentimento sociale: vi è una solidarietà teorica, e vi è una solidarietà pratica . . . sia in chiave di azione, che di lettura.
Vediamo il paradosso che sta alla base di questo concetto.
Il paradosso del mendicante – Un mendicante chiede l’elemosina all’angolo di una strada.
È giusto dargli qualcosa?
Se no, il pover’uomo morirà di fame, se sì, poiché tutti gli daranno qualcosa, diventerà ricchissimo, più ricco di chi gli ha fatto l’elemosina.
La soluzione del paradosso è semplicissima: deve essere la socialità dello Stato che si prende cura del mendicante.
Il singolo individuo deve impiegare le proprie forze per fare in modo che le leggi e le strutture dello Stato si occupino del mendicante; dargli una moneta e lasciare tutto come prima equivale al comportamento dell’individuo che di fronte a un’ingiustizia, anziché darsi da fare per far cambiare la legge, si fa giustizia da solo: la civiltà non è sicuramente progredita.
Chi si occupa di solidarietà senza far nulla perché le cose cambino è sostanzialmente un giustiziere sociale: si può comprendere, ma non gli si può dar completa ragione.
L’amore si dimostra con le azioni.
Per la prima volta dopo molti anni, un medico torna a casa nel primo pomeriggio, abbandonando i pazienti, l’ospedale e tutto ciò che da sempre è stato la sua vita.
Entrato nello splendido salotto, si siede sulla sua poltrona preferita e decide di fare il bilancio della sua esistenza, spinto dallo stesso irresistibile desiderio che l’aveva fatto fuggire dal lavoro.
Una foto in un portaritratti d’argento gli ricorda subito il figlio morto per droga, un’altra immagine lo spinge a cercare qualcuno in casa, ma il silenzio lo disillude subito: la figlia anoressica sarà probabilmente dallo psicologo e la moglie (che certo non lo attendeva) è dall’amante, come tutti i mercoledì.
Persino il cane non si sente, forse è in giardino: tanto, se ci fosse, lo ignorerebbe.
Eppure il tempo dedicato all’ospedale era l’unico modo che aveva per stimarsi.
Sentiva che quello che gli era richiesto dallo standard della sua professione non era sufficiente per i pazienti che assisteva.
Dov’era il suo possibile errore?
Che forse, anziché immolarsi, avrebbe dovuto combattere per alzare quello standard che riteneva insufficiente.
Il fallimento della vita di quest’uomo deriva dal fatto che ha preteso di avere una famiglia e di amare degli esseri umani senza concedere loro l’affetto che desideravano: una vita agiata, ma né tempo né attenzioni per i figli e per la moglie.
In questo caso la diagnosi è facilissima, ma ricordatevi la regola: non parlate a sproposito di amore se non fate nulla o fate poco per chi dite di amare!
È impossibile amare tutto il mondo (la sindrome del missionario).
Ci sono persone che sono convinte di amare tutto il mondo (anche tipi come il nostro medico a volte ne sono convinti!); il consiglio precedente ci insegna che non hanno capito nulla.
Confondono l’assenza d’odio con la presenza dell’amore.
Non odiano nessuno e allora pensano di amare tutti.
Purtroppo per loro, non fanno assolutamente nulla per la stragrande parte del mondo che dicono di amare, anzi spesso si impegnano meno di altri che più modestamente hanno ristretto il loro campo d’azione.
Un missionario che parte per terre lontane per aiutare chi soffre ha deciso di amare quei poveri; ovviamente non può continuare a sostenere che ama i suoi genitori e i suoi vecchi amici: per loro non fa più nulla e serbarne il ricordo nel cuore non è certo amore.
Ha cambiato vita e può essere felice perché ama, ma ha fatto una scelta su chi e dove amare.
Sostenere che le persone a lui care hanno meno bisogno di aiuti e di solidarietà dei poveri di cui ora si occupa equivale ad approvare il comportamento del nostro medico che per salvare vite umane passava ore e ore in ospedale mentre il figlio moriva di droga e tutta la sua famiglia si sfasciava.
Un missionario o chiunque si adoperi per gli altri non è più degno di rispetto di chi ha deciso di convogliare tutto il suo amore verso poche persone.
Quello che conta è la quantità d’amore che noi diamo, non il numero di persone a cui la diamo.
Anzi, spesso chi si prodiga per gli altri lo fa proprio perché non ha trovato nulla da amare intorno a sé; si potrebbe parlare di solidarietà della disperazione.
Il volontariato: l’impegno sociale ha una sua ragione d’essere quando ha lo scopo di modificare la società per far progredire la qualità della vita dei più deboli; purtroppo, il più delle volte, le energie sono spese in aiuti senza futuro.
Occorrerebbe dar vita a strutture che, in qualche modo, oltre ad aiutare, promuovano idee e azioni che migliorano effettivamente la società.
Anziché dare una moneta a un mendicante che ce la chiede, se abbiamo energie sufficienti, dobbiamo impegnarle in strutture che possano veramente far progredire la società.
Ecco perchè, come esistono un ministero dell’interno e un ministero della giustizia che si occupano delle leggi, dovrebbe esistere un serio ministero della solidarietà sociale che, a fronte di un contributo collettivo, possa aiutare i più deboli e chi soffre.
Sinora i ministeri della solidarietà sociale che sono stati varati hanno sempre dovuto operare con fondi scorrelati dalle entrate tributarie, negando così di fatto il concetto stesso di solidarietà sociale.
Monthly Archives: dicembre 2011
Comunicazione e Leadership nel condurre una riunione
Ho letto un articolo l’altro giorno in cui viene spiegato dettagliatamente “cosa fare e cosa fare” in occasione di incontri importanti, e uno dei maggiori consigli a desistere era il seguente “Se non siete preparati, non si pensate neppure di avere l’incontro“.
Posso capire il pensiero dell’autore, non è mai il caso di andare allo sbaraglio, ma mi sia permesso sottolineare che esiste anche il pericolo opposto, cioè “l’essere troppo preparati in quanto leader di una riunione“.
In una riunione, per esempio, può essere un problema per chiunque l’entrarvi con troppe aspettative e a volte puòla condizione ideale potrebbe essere, anziché l’eccesso di preparazione, il presentarsi senza aspettative ed una lavagna completamente vuota.
Immaginiamo un Leader in una stanza piena di collaboratori che incontra per la prima volta e di cui non conosce assolutamente nulla . . . il team è sicuramente che il leader parli, ma egli anzichè dire, sceglie una persona a caso e chiede “Di cosa ti occupi, di cosa sei responsabile?“.
Questo viene anche detto sparigliare, cioè fare una mossa inaspettata fuori dal copione, in quanto tutti sarebbero pronti a “sentire“, ma impreparati a “raccontare“.
“Umh, Contabilità“, dice il partecipante sfortunato.
“Eccellente” dice il leader “E qual è la situazione attuale in contabilità?”
“Beh, questo è uno dei più trafficati periodi dell’anno per noi, quindi siamo molto occupati.”
“Molto bene. Riesci con i tuoi a essere in pari con le priorità e le scadenze? “
“Beh, ad essere onesti, siamo un pò indietro in questo momento.”
“Capisco, noi ci incontreremo tutti qui di nuovo tra due settimane, quale possa essere la situazione?”
“Penso che tra due settimane possa essere ancora peggiore.”
“Quando pensi di poterti rimettere in pari?”
Il Responsabile ci pensa un pò e poi risponde. “Penso che il lavoro nelle due settimane successive rallenterà abbastanza per permetterci di essere in pari tra quattro settimane“.
“Grazie”, dice il leader “Quindi devi correre dietro ai libri per quasi quattro settimane. Questo è un problema. Che cosa ti occorre per poter procedere più in fretta?“.
“Beh, c’è una discreta quantità di immissione dati, se potessi avere, anche solo per un giorno o due, un collaboratore in più, questo potrebbe fare una differenza enorme nell’accorciare i tempi“.
“Mi stai dicendo che potresti metterti in pari in due settimane se solo avessi una persona che ti faccia data entry per due giorni?”
“Sì, penso di sì”.
“Perfetto. Troveremo qualcuno, e al nostro prossimo incontro faremo il punto della situazione essendo certamente in pari. Chi è il prossimo?”
Il Leader procede per la stanza, parlando ad ogni capo dipartimento, raccogliendo tre semplici pezzi di informazioni:
■ Qual è la situazione attuale?
■ Qual è la situazione desiderata?
■ Che cosa occorre per arrivare da dove siamo a dove vorremmo essere?
Tutti i partecipanti, nel corso di una riunione, sono in grado di presentare queste informazioni, perché vivono e respirano ogni giorno, e tutti, in questo tipo di riunioni, si sentono come se stessero partecipando a un momento decisamenteproduttivo, percependo che ci si sta muovendo in avanti, anche se pian piano, ma in avanti.
Quando incontri abbiamo vissuto come uno spreco di tempo, semplicemente perchè incapaci di catturare lo stato attuale delle cose, o di cogliere il momento?
Gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi soddisfatti, hanno bisogno di un leader “problem solver” capace di ascoltarli e responsabilizzarli, anche sulle piccole cose, perchè il vero allenatore sa che sono i dettagli che rendono forte lo spogliatoio.
Al leader dell’esempio precedente non piaceva la situazione in ragioneria, forse la conosceva prima di dialogare, forse no, fatto sta che semplicemente facendo domande, ascoltando e riqualificando le risposte, è riusciuto, anzichè imporre, a concordare un’azione con il Responsabile che portasse al risultato desiderato.
Per condurre un incontro coinvolgente occorrono:
– la focalizzazione sui fatti più che sulle opinioni
– analizzare il presente per proiettarsi verso il futuro
– colmare pragmaticamente la distanza tra dove si è e dove si vorrebbe essere
Il presente potrebbe anche risultare accettabile, è la proiezione verso il futuro e la visualizzazione dei benefici che deriverebbero da un’azione di miglioramento, che induce le persone a voler colmare il gap prima ancora che venga loro chiesto.
Allo stesso tempo è indispensabile che il leader apprezzi l’onestà e la correttezza delle informazioni provenienti dai partecipanti alla riunione, comunivanco loro il proprio apprezzamento per il contributo ricevuto, concordando, come già visto, l’azione, o le azioni necessarie, che dovranno essere poste in atto dagli interessati.
Il vero rischio e rimanere bloccati dall’eccesso di informazioni relative al momento attuale, al punto che l’ostacolo possa quasi apparire insormontabile.
Ecco perchè è importante che il leader si proietti e proietti verso il futuro: molte cose non possono essere cambiate, ma tutto è migliorabile
Da come condurremo la riunione influenzeremo le nostre risorse.
Quali complessità per il management del futuro?
Le imprese devono oggi cambiare in continuazione, operando su scala globale e reinventando se stesse accettando di competere in un mercato sempre più allargato.
Vi sono sempre più imprese che localizzano attività produttive in estremo oriente e l’outsourcing (che permette minori costi – almeno a breve), le core competence (come fattore chiave di successo), e i processi orizzontali (invece dei tradizionali gerarchico-piramidali) sono pratiche ormai consolidate.
L’impresa viene concepita come “un’organizzazione che apprende”, e che si prepara ad una “concorrenza” sempre più segmentata, rapida, con prodotti personalizzati e canali commerciali sempre meno costosi.
Le teorie manageriali sul tema dell’innovazione, spiegano raramente come “fare praticamente ad innovare”, pur raccontando di case history che identificano correttamente i fattori chiave per il successo:
• Differenziarsi dai concorrenti, a meno di non essere già un leader
• Puntare sulle discontinuità offerte dal mercato e dalle tecnologie
• Allearsi con fornitori, clienti e persino concorrenti per innovare
• Localizzare impianti, fornitori, centri di ricerca, ecc. più convenienti
• Focalizzare le proprie risorse sui propri fattori distintivi
Le aziende devono essere magre e piatte, ma tutto ciò non è sufficiente per innovare e per vincere in un mondo globalizzato e che cambia in continuazione.
Quando le situazioni si fanno sempre più confuse, bisogna tornare alle origini, rifarsi alle basi.
Gli imprenditori di prima generazione, hanno avuto successo perché hanno saputo assumersi i giusti rischi, innovando il modo di fare concorrenza, legando a sé persone diverse e complementari, andando a “comprare” il talento ovunque esistesse.
Per questo genere di imprenditori la priorità fra i prodotti e i mercati sono definite più in funzione della qualità delle risorse umane disponibili, che di formule matematiche per calcolare il ritorno atteso.
Le risorse umane (e tutte le recenti teorie manageriali vi pongono l’accento) sono la vera fonte dell’innovazione in azienda, ed il fatto che le stesse siano considerate “il più grande asset dell’impresa” è diventato un luogo comune; purtroppo ci sono amministratori delegati che credono di poter gestire cuore, anima e cervello dei propri dipendenti con un sistema di incentivi monetari.
I manager che pensano di essere bravi, che parlano dell’azienda come se fosse loro, che usano l’io anziché il noi, che pensano di dover prendere personalmente molte decisioni e che ignorano i bisogni di immagine e realizzazione dei propri collaboratori, sono strutturalmente incapaci di cambiare l organizzazioni e di innovare.
Per contro, quei manager che sanno di non sapere, che non hanno esigenze interne di primeggiare ad ogni costo e che non si sentono insicuri, hanno la possibilità di focalizzarsi sul “successo degli altri”, ottenendo in cambio innovazione e sviluppo per la propria impresa.
Perseguire il “successo degli altri” richiede che, prima di tutto, si pensi in modo originale a come migliorare una determinata situazione, poi si faccia leva sulla capacità e sull’entusiasmo di tutti quelli che possono contribuire a comprendere il problema e a definire soluzioni, mettendo infine in atto i necessari programmi di intervento.
Paul Valery diceva “E’ meglio la soluzione approssimata ad un problema correttamente definito, che la soluzione giusta ad un problema sbagliato