Molto tempo fa da qualche parte lessi “non sono mai gli eventi a determinare i nostri stati d’animo, quanto il significato che noi diamo loro”.
In altre parole filtriamo gli eventi attraverso la visione che abbiamo del mondo e della lettura che diamo alla nostra vita, dando vita a reazioni fisiologiche identificate come emozioni o stati d’animo, adottando di conseguenza i comportamenti che riteniamo più coerenti con questi stimoli.
In definitiva i nostri stati d’animo sono influenzati dalle convinzioni che abbiamo su chi noi siamo, sulla nostra identità e quindi su ciò che riteniamo ci caratterizzi, piuttosto che dalle regole di base grazie alle quali riteniamo soddisfatti i nostri valori, piuttosto che nel modo di come interpretiamo gli eventi (successi e insuccessi).
Il modo con cui cerchiamo di spiegarci gli eventi è meglio conosciuto come stile esplicativo, ed è un qualcosa che ha attraversato con noi la nostra infanzia e la nostra adolescenza: è un’abitudine di pensiero che si può modificare.
Per fare un rapido esempio riprendiamo un argomento che abbiamo affrontato qualche settimana fa a proposito di ottimismo e pessimismo.
Di fronte al medesimo insuccesso, che oggettivamente è lo stesso per entrambi, lo stile esplicativo del pessimista tenderà a rappresentarlo come un qualcosa che durerà per sempre, che manderà tutto in rovina e che in fondo la colpa è solo sua.
L’ottimista invece leggerà la situazione unica e isolata, che passerà presto, e che ha anche cause esterne alla sola propria capacità e volontà.
In caso di successo il pessimista cronico lo leggerà come la situazione unica e isolata, che passerà presto, e che dipende soprattutto da fattori esterni; l’ottimista a prescindere, invece, lo vivrà come un qualcosa che durerà per sempre, che a seguito di questo anche altre cose andranno bene, e che in fondo è anche merito suo.
Con le parole comunichiamo i nostri stati d’animo, le nostre idee, le nostre convinzioni agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi, e attraverso queste possiamo provocare e provocarci reazioni emotive positive, piuttosto che negative.
Le cose che diciamo costantemente e intensamente, poco per volta, diventano la nostra realtà.
Sviluppando la consapevolezza delle parole che utilizziamo, è possibile cambiare lo stato d’animo attraverso il linguaggio, cercando di concentrarci nel descrivere, e descriverci, maggiormente le esperienze positive, imparando ad utilizzare termini che contengano una minor carica emotiva per descrivere le esperienze non positive, imparando ad utilizzare termini che contengano una maggior carica emotiva per descrivere le esperienze positive.
Qualsiasi cosa su cui ci concentriamo diventa per noi la nostra realtà, e come la facciamo influenza le nostre percezioni e quindi i nostri stati d’animo.
Le domande che ci facciamo determinano ciò su cui ci focalizziamo e ciò su cui orientiamo la nostra attenzione.
Le convinzioni che abbiamo di noi stessi determinano gli obiettivi su cui ci concentreremo, i livelli di difficoltà che riterremo sostenibili, l’impegno che riusciremo a profondere e la nostra perseveranza nel farlo.
Monthly Archives: gennaio 2012
Coaching e cambiamento
L’evoluzione della nostra vita si sviluppa in modo non lineare, ci sono anni in cui si veleggia sul mare calmo e la si manovra molto bene e ci sono anni in cui facciamo una bella fatica e vengono a galla limiti vecchi e nuovi.
Passare da uno stato attuale poco soddisfacente a uno desiderato, non è solo una necessità di cambiamento, ma un percorso di scoperta, che richiede di modificare il proprio abituale modo di pensare e agire.
Percepire il cambiamento, aprendo la mente e il cuore, è il presupposto per poter accedere ad altre risorse e iniziare il processo di cambiamento; anche se un comportamento é errato, occorre ascoltarsi e chiedersi cosa ci sta comunicano quel messaggio, evitando di incolparsi.
Ascoltarsi significa andare oltre, significa cercare nuove soluzioni o intraprendere iniziative volte a compensare il vuoto; così è possibile accedere a nuove risorse, avviando un processo evolutivo e agendo “amorevolmente”.
Scegliere è meglio di non scegliere, perchè ci spinge verso l’estensione delle nostre potenzialità, anzichè limitarci alla nostra insoddisfazione prosciugando così la nostra energia.
Bisogna essere capaci di agire nel rispetto della propria natura, in modo aperto e fiducioso, per padroneggiare il processo di cambiamento che si vuole avviare.
Il Coaching si focalizza con intensità su un obiettivo ben definito in quanto “l’energia va dove va l’attenzione”.
Per esprimere la piena forza, per superrare limiti ed ostacoli, occorre essere orientati al risultato, più che centrati sul problema, sia che si tratti di attività da svolgere, piuttosto che di aspetti relazionali: questa è la base per dare il meglio di sé, a se stessi e agli altri.
Possiamo perciò decidere di spostare la nostra attenzione da cosa non funziona, a cosa vogliamo ottenere; se non siamo soddisfatti di come siamo, chiediamoci: “come vorremmo essere? come vorremmo sentirci?” . . . cercando e trovando la leva per agire.
Tre piccole storielle, senza pretese, possono forse rendere meglio il senso di queste parole.
Quando solleviamo il coperchio di una pentola a metà cottura, troviamo all’interno masse informi, brodaglie bollenti in movimento. Può capitare che uno schizzo ci bruci la mano mentre mescoliamo e, se ci limitiamo a queste esperienze, rischiamo di spegnere il fornello e di gettare via tutto.
Fortunatamente l’approccio con i fornelli è di solito meno drammatico.
Qualcosa di simile può capitare quando decidiamo di fermarci un attimo per guardarci dentro.
Alcuni decidono che non c’è chiarezza, non comprendono il senso di qualcosa, alcuni pensieri fanno male e quindi si lascia stare, si fa sedimentare o, peggio che mai, si butta tutto.
Se abbiamo però la pazienza di mescolare e ogni tanto di assaggiare, di cogliere il profumo del cibo, di pregustarne il sapore e, semmai, immaginare la tavola apparecchiata e le persone che mangeranno con noi, arriviamo più facilmente a fine cottura.
Anche se non raggiungiamo il massimo del risultato, possiamo riprovare finchè non impariamo a cucinare come ci piace.
“Il collega è un genio, è in grado di risolvere qualunque problema, ma non lo sopporto!
Sta sempre per i fatti suoi, così poco integrato con gli altri, non voglio più lavorare con lui.
Vuole stare solo…e che ci stia!
Riuscire ad integrarmi in un gruppo nuovo è sempre stato un mio problema.
Vedo i colleghi uniti, affiatati e faccio fatica ad inserirmi.
Anzi, secondo me, non mi vogliono tra i piedi.
Vengono solo per sapere qualcosa o per risolvere un problema, ma mai una parola di più o un invito per un caffè insieme. Sai che c’è?
Allora me ne sto per i fatti miei.”
Due colleghi di stanza: stessa azienda, stesso settore, stessa realtà, stessa volontà di un contatto e… stesso limite.
Due punti di vista opposti, che fanno ottenere ciò che nessuno vuole.
Ognuno si ferma davanti all’astuccio/involucro, dell’altro, senza curarsi del contenuto.
In fondo per aprire uno spiraglio e dare una sbirciatina dentro, basta una parola in più, un sorriso, una battuta, un invito all’ora del caffè o una proposta di andare a prenderlo insieme.
La saggezza popolare conferma che l’apparenza inganna, ma ci si casca molto spesso a scapito, come in questo caso, anche dell’efficacia professionale oltre che della serenità personale.
Ogni situazione ha più facce e può essere interpretata in modo diverso, dipende da come la si guarda, dalle lenti attraverso le quali la osserviamo: è come accettare o rifiutare un regalo senza averlo scartato.
Molte persone considerano “fatti” o “verità” quelli che in realtà sono solo preconcetti e interpretazioni personali, senza passare alla verifica; i fatti nudi e crudi non tollerano aggiunte ed è solo dai fatti che bisogna partire per valutare una situazione.
Come liberarsi dai film che la nostra fertile mente produce con tanta rapidità e che seguiamo con tale ingenuità, da credere che sia tutto vero ciò che immaginiamo?
Basta un po’ di allenamento per distinguere i fatti dalle opinioni.
Non guasta poi un pizzico di attenzione al linguaggio, evitando termini generici ed ambigui, per far comprendere all’interlocutore di turno, in particolare e nello specifico, che cosa intendiamo per questo o quello.
Dire a una persona:” Bravo, ottimo lavoro!”, mostra certamente un apprezzamento, ma di che cosa, nessuno lo sa.
Se poi la frase è “Il tuo lavoro lascia molto a desiderare!” allora i film mentali possono spaziare in ogni spiacevole direzione… ma a vuoto.
Estate, tempo di relax e divertimento, spazi aperti per il corpo e la mente… o così dovrebbe essere.
Proprio quando la mente può fluttuare liberamente e aprirsi agli altri, capita che invece si costruiscano barriere, piantando paletti per delimitarne i confini.
“Io con quello non ci parlo più”.
“Se non si fanno vivi loro, io certo non li chiamo”.
Sarà un caso, ma non sempre il maggior tempo a disposizione, rema per accorciare le distanze, piuttosto si dilata la possibilità di fare bip mentali.
Tutti hanno ragione e tutti torto si sa, è un luogo comune che la ragione stia da tutte le parti.
E allora perché è così difficile conciliare le posizioni, rispettando la diversità di vedute?
Gli stessi ex amici che si guardano in cagnesco, semmai quando rientrano in ufficio pontificano sulla necessità che la negoziazione sia etica, che non ci siano vinti e vincitori, ma quando le corde che bruciano sono intime, e riguardano aspetti della vita privata, la faccenda si complica.
Non si tratta necessariamente di modificare le proprie opinioni, anche se non guasta un pizzico di coraggio, quello dell’umiltà di chi sa anche cambiare idea.
A volte basterebbe ascoltare quelle degli altri, accettare che abbiano idee diverse, che percepiscano la situazione scottante da una prospettiva differente.
Basta tollerare l’idea che non sia necessario pensarla tutti allo stesso modo per andare d’accordo.
Un po’ di allenamento tutti giorni aiuta.
Si inizia con qualche minuto di sospensione dal giudizio, quella particolare abilità di accogliere e ascoltare, tenendo imbavagliata la scimmietta interiore, che vorrebbe dire la sua (bene, bravo, ma che dice? Non ci credo…, ecc.) e che fa controbattere, prima ancora di aver compreso il significato completo di quelle prime parole percepite.
E così si blocca il flusso della comunicazione, tarpando le ali al libero pensiero.
In tre parole, si tratta di allenare il rispetto.
Quello vero, quello che nasce dalla curiosità di scoprire cosa mai vedano gli altri di diverso che noi non percepiamo.
Quella curiosità che apre la porta della circolazione dei saperi e delle conoscenze.
C’è chi se la cava benissimo da solo e chi in certi momenti della vita sente la necessità di un aiuto esterno.
Il Coaching può essere una risposta per riprendere in mano la propria vita, ritrovare il proprio equilibrio, valorizzare risorse e competenze in funzione di risultati che si vogliono raggiungere, rimettere in ordine i propri pensieri nella sfera privata e professionale, per riascoltarsi e ritrovarsi.
Storiella indiana
Il mio amico aprì il cassetto del comodino di sua moglie e estraendone un pacchetto avvolto in carta di riso: “Questo – disse – non è un semplice pacchetto, è biancheria intima”.
Gettò la carta che lo avvolgeva e osservò la seta squisita e il merletto.
“Lo comprò la prima volta che andammo a New York, 8/9 anni fa”.
“Non lo usò mai.
Lo conservava per un’occasione speciale.”
“Bene. Credo che questa sia l’occasione giusta”. Si avvicinò al letto e collocò il capo vicino alle altre cose che avrebbe portato alle pompe funebri.
Sua moglie era appena morta.
Girandosi verso di me disse: “Non conservare niente per un’occasione speciale, ogni giorno che vivi è un’occasione speciale.”
Sto ancora pensando a queste parole che hanno cambiato la mia vita.
Adesso leggo di più e pulisco di meno.
Mi siedo in terrazzo e ammiro il paesaggio senza far caso alle erbacce del giardino.
Passo più tempo con la mia famiglia e gli amici e meno tempo lavorando.
Ho capito che la vita deve essere un insieme di esperienze da godere, non per sopravvivere!
Ormai non conservo nulla.
Uso i miei bicchieri di cristallo tutti i giorni.
Mi metto la giacca nuova per andare al supermercato, se decido così e ne ho voglia.
Ormai non conservo il mio miglior profumo per feste speciali, l’uso ogni volta che voglio farlo.
Le frasi ‘un giorno…’ e ‘uno di questi giorni’ stanno scomparendo dal mio vocabolario.
Se vale la pena vederlo, ascoltarlo o farlo adesso.
Non sono sicuro di cosa avrebbe fatto la moglie del mio amico, se avesse saputo che non sarebbe stata qui per il domani che tutti prendiamo tanto alla leggera.
Credo che avrebbe chiamato i suoi familiari e gli amici intimi.
Magari avrebbe chiamato alcuni vecchi amici per scusarsi e fare la pace per una possibile lite passata.
Sono queste piccole cose non fatte che mi infastidirebbero, se sapessi che le mie ore sono contate.
Infastidito perché smisi di vedere buoni amici con i quali mi sarei messo in contatto ‘un giorno’.
Infastidito perché non scrissi certe lettere che avevo intenzione di scrivere ‘uno di questi giorni’. Infastidito e triste perché non dissi ai miei fratelli e ai miei figli, con sufficiente frequenza, quanto li amo.
Adesso cerco di non ritardare, trattenere o conservare niente che aggiungerebbe risate ed allegria alle nostre vite.
E ogni giorno dico a me stesso che questo è un giorno speciale.
Ogni giorno,
ogni ora,
ogni minuto…è speciale.
Il pensiero laterale
Quando ci troviamo di fronte ad un problema da risolvere, abbiamo tendenzialmente due alternative: affrontarlo frontalmente per rimuovere l’ostacolo diretto, oppure affrontarlo in modo “trasversale” .. o come si usa dire, “aggirando l’ostacolo”.
Facile da dire, un po’ più difficile da fare!
Siamo abituati da sempre ad utilizzare la soluzione diretta: se c’è, è forse la via più breve, ma non sempre c’è o è immediata e questo ci mette nei pasticci.
Aggirare l’ostacolo non significa rimandare o evitare il problema.
Significa compiere un’azione che apparentemente non ha nulla a che vedere con la soluzione del problema, ma che ha come risultato quello di spostare o annullare il problema stesso.
Da cui la soluzione viene da sè.
Per individuare soluzioni trasversali attraverso il pensiero laterale, occorre anzitutto allargare la prospettiva: guardare a fianco appunto.
In questo modo si può vedere il problema da un’angolatura diversa e si aumentano le possibilità di azione.
“Il pensiero laterale procede da una serie di fatti, non da supposizioni.
Il pensiero laterale di fatto non fa presupposti, anzi i presupposti iniziali limitano le possibilità di soluzione.
Edward De Bono identificò quattro fattori critici associati al pensiero laterale:
riconoscere le idee dominanti che polarizzano la percezione di un problema;
cercare maniere differenti di guardare le cose;
allentare il controllo rigido del pensiero lineare;
usare ogni chance per incoraggiare altre idee:
L’esempio classico di una persona che usa il pensiero laterale è il personaggio di Sherlock Holmes, il detective nato dalla fantasia di Sir Arthur Conan Doyle.
La sua straordinaria capacità di trovare la soluzione a problemi altrimenti insolubili era dovuta alla sua abilità nell’osservare i fatti di una situazione, senza fare presupposti iniziali.
Usando il pensiero laterale, egli spezzettava gli elementi di un problema o di una situazione e li riordinava in un modello apparentemente casuale, per arrivare a una visione diversa della situazione e quindi a una possibile soluzione.
Il pensiero laterale perciò può definirsi come puro ragionamento deduttivo.
Il Dottor Watson invece agiva procedendo lungo le linee del pensiero cristallizzato basato su preconcetti…
Il pensiero laterale è creativo e dinamico ed incorpora le proprietà del pensiero associativo, quindi la capacità di raccogliere e riallineare significati, così come il pensiero lineare comporta l’abilità di procedere lungo una linea di pensiero fino a una conclusione.
Un altro esempio riguarda un fatto realmente accaduto alla Gerber, la famosa multinazionale che produce cibi per bambini.
Negli anni 60 la Gerber lanciò un nuovo prodotto rivolto al mercato di un paese africano in cui le madri avevano estremo bisogno di cibo per bambini…era stato studiato nei minimi dettagli affinché la sua convenienza e qualità ne garantissero l’immediato successo, ma… le vendite non riuscivano a decollare.
I dirigenti e il management, usando dei processi di pensiero lineare, ritennero che il prodotto non fosse stato promosso abbastanza e stabilirono di intraprendere ulteriori campagne pubblicitarie… non riuscirono comunque a venirne a capo.
Erano sul punto di abbandonare il progetto.
Ed ecco la soluzione trasversale: cambiare le etichette! … la questione si risolse infatti prendendo atto che nella cultura della popolazione locale, prevalentemente analfabeta, i prodotti alimentari venivano presentati con etichette raffiguranti il loro contenuto.
Dal momento che la Gerber esponeva le sue pappette mostrando un bambino sorridente… non avrebbe mai potuto convincere nessuno a nutrire i propri figli con carne di bambino!
Disegnando sulle etichette mucche, vitelli, pollo ecc.. le pappette andarono a ruba !
Muhammad Yunus il banchiere dei poveri (ideatore e realizzatore del microcredito, ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati ad imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2006) e Miloud Oukili il clown dei ragazzi di Bucarest (creatore de la Fundatia PARADA, una fondazione dedicata al recupero dei bambini e dei ragazzi che vivono nei sotterranei della città) si rifanno quotidianamente alle tecniche del pensiero laterale.
Il primo aveva un problema non banale: far smettere la guerriglia in una regione del Bangladesh, il suo amato paese.
Prima di lui molti tentarono con accordi o boicottaggi.
Yunus ci riusci così: arruolo i guerriglieri, per lo più ragazzi giovani e bisognosi di motivazioni, nella sua banca.
Offriva a semplicemente a loro l’opportunità di un lavoro stabile e con contenuti sociali !!
La guerriglia terminò gradualmente per mancanza di “personale”
Miloud, invece, ha il merito di aver reintrodotto alla vita sociale numerosi bambini di strada che popolano la capitale rumena, non inducendoli ad entrare negli orfanotrofi o riportandoli nelle loro famiglie violente, ma trasmettendo loro la sua arte e i trucchi del suo mestiere di clown.
Da teppisti di strada in artisti di strada.
Le tecniche del pensiero laterale aiutano le persone ad arrivare a un nuovo livello di pensiero creativo.
Rinunciare all’autorità
Una provocazione seria o una favola per ingenui?
L’argomento si inserisce nel filone sempre più attuale delle nuove forme di Leadership.
Perché un modello di Leadership capace di rinunciare all’autorità?
Perchè sè l’obiettivo è la costruzione di ambienti organizzativi in cui le persone scelgono, volontariamente, di dare il meglio delle proprie capacità e della propria energia, collaborando con altri all’interno delle organizzazioni, non è con l’autorità che questo, di norma, avviene.
Ma quali sono le caratteristiche di un Leader che anziché agire in modo autoritario, sappia porsi quale facilitatore nel proprio ambiente?
Guida senza imbrigliare in modo totale
Quando le persone non sentono di essere protagoniste nelle decisioni, si scollegano, e non si attivano per rispettare gli impegni.
Accade troppo spesso che le persone rinuncano ad assumersi le proprie responsabilità .
Per questa ragione il leader deve avere una propensione elevata a chiedere agli altri cosa si dovrebbe fare, secondo loro, piuttosto che limitarsi a dire loro cosa devono fare (e magari anche in che modo lo si deve fare).
Comprende la diversità e la valorizza
Idee, prospettive, interessi diversi sono un fatto ineliminabile nelle organizzazioni.
Negarlo o ignorarlo può forse risolvere, per un tempo brevissimo, una certa ansia da controllo, ma non cambia la realtà.
Viceversa lasciar esprimere la diversità produce efficacia organizzativa, motivazione, innovazione, collaborazione e risultati.
Condivide le informazioni importanti
Non è pensabile che le persone lavorino con energia e volontà quando non conoscono, o non comprendono, il senso di quello che fanno. Condividere le informazioni importanti, porta le persone a partecipare in modo intelligente e attivo.
D’altro canto, nelle organizzazioni non esistono segreti; e la mancanza di informazioni spinge le persone a raccontarsi delle storie, (spesso negative), che non hanno fondamento e rovinano il morale.
Si esprime e ascolta
Spiega le proprie intenzioni e condivide il proprio ragionamento per mettere gli altri in condizioni di capire, e ricevere la guida migliore.
Ascolta, ponendo domande che rivelano il suo genuino interesse per il punto di vista degli altri, e lascia anche agli altri la possibilità di sviluppare ragionamenti compiuti.
Affronta gli argomenti Tabù
Sono i temi che non si affrontano per non creare imbarazzo agli altri e a se stessi.
Il Leader facilitatore crea circostanze in cui si possono condividere questioni apparentemente non discutibili, in condizioni di sicurezza, aiutando il gruppo a superare timori e imbarazzi.
Crea connessioni con gli altri e tra gli altri
E’ il contrario di “Divide et Impera”.
Il leader incoraggia interconnessione tra le persone nella quotidianità operativa.
In questo modo favorisce autonomia del gruppo verso la realizzazione dei risultati.
Mentre il gruppo cresce, lui può dedicarsi ad attività con maggiore valore aggiunto, anzichè¨ essere un collo di bottiglia attraverso il quale devono passare tutte le decisioni, anche quelle di poco spessore.
In concreto favorisce incontri e contatti tra le persone.
Nelle riunioni connette gli interventi favorendo comprensione e contributi condivisi da tutti.
Ha competenze sul contenuto e sul processo
Conosce in modo molto competente i termini delle questioni organizzative e strategiche, (contenuto), ma ha uguali capacità per occuparsi di come il gruppo parla di un certo argomento (processo).
Qualcuno domina la conversazione?
Si sta giungendo ad una decisione prematura, prima che le idee siano state adeguatamente espresse?
Il gruppo perde tempo in un dibattito sterile e non va avanti?
Sa riepilogare una serie di elementi in modo da favorire gli altri interventi?
Si concentra sullo sviluppo delle capacità di individui e gruppi
Sa occuparsi delle attività urgenti ed immediate.
Inoltre ha una forte attenzione a favorire lo sviluppo delle persone, come individui, e come gruppo.
Questo aiuta il miglioramento di capacità e autonomia per il futuro.
Si autolimita
Proprio per favorire la crescita di tutti, permette agli altri di fare/decidere.
Leaders che non permettono agli altri di assumersi responsabilità ne spengono rapidamente entusiasmo e capacità .
Include gli altri nel processo decisionale
Per la serie : “posso avere pronta la decisione giusta, ma aspetto che anche gli altri ci arrivino”.
Qualche volta è necessario qualche minuto in più per costruire fondamenta solide; ma si recupera poi, largamente, nell’operatività .
Fa una sintesi efficace dei contributi
In questo senso il Leader Facilitatore riassume i contenuti, prende decisioni e conduce il gruppo verso una direzione che le persone sentono fortemente propria.
In conclusione il Leader Facilitatore non è un “buon uomo” che rinuncia alla propria autorità .
Viceversa moltiplica le capacità del proprio gruppo, in modo esponenziale, raccogliendo tutti i contributi di cui dispone.
Quindi la questione è semplicemente: meglio essere capi “comando e controllo” o leaders facilitatori?