Emozioni e consumi

Viviamo nel periodo C.
C, come consumo e comunicazione.
Noi tutti ogni giorno siamo più o meno consapevolmente coinvolti in questa catena: per consumare abbiamo bisogno che le aziende ci comunichino la loro offerta e i consumatori comunicano alle aziende cosa necessitano consumare.
Per questo motivo le aziende forti hanno capito che per vendere tanto è necessario comunicare bene.
Ma come?
In genere è il binomio alta qualità a prezzi competitivi la chiave del successo.
A dire il vero, la formula vincente é comunicare attraverso i piccoli dettagli orientando la scelta del consumatore su un determinato marchio piuttosto che un altro.
Questo processo é particolarmente interessante, anche se non così evidente come si potrebbe pensare, nel mondo della moda.
Sarà curioso analizzare e scoprire in quale modo le aziende del settore fanno leva sulla nostra emozionalità.
Il mondo della moda, così apparentemente frivolo, nasconde in realtà meccanismi studiati appositamente a coinvolgere e condizionare ogni singolo consumatore.
L’obiettivo principale di ogni azienda è, ovviamente, quello di vendere il più possibile.
Per questo motivo una buona comunicazione é considerata, da un punto di vista economico, un vantaggio competitivo.
Si tratta di un investimento notevole, somme di denaro e tempo vengono impiegate massicciamente per ottenere un immagine forte.
L’immagine dell’azienda é un punto cardine del proprio successo in quanto si tratta di un aspetto più duraturo e poco vulnerabile. Ciò nonostante, é fondamentale dare un immagine di se limpida e veritiera, in quanto costruire un immagine forte é sinonimo di affermazione, riconvertire la cattiva opinione pubblica di un marchio é praticamente impossibile.
Il consumatore scegliendo una determinata firma quindi, non solo compra un prodotto, ma porta a casa con sé uno stile di vita, un bisogno, un sogno.
Ecco perché è fondamentale per l’azienda mettere a punto un’immagine di sé pronta a soddisfare in tutto e per tutto il suo cliente. Per far si che ciò accada la strategia principale é generalmente quella di puntare sulla pubblicità.
Le campagne pubblicitarie fanno parte della nostra vita quotidiana in maniera continua.
La pubblicità passa ogni giorno attraverso televisione, radio, internet, cinema.
Le nostre città sono tappezzate di grandi affissioni sui palazzi, intere pagine dei nostri quotidiani sono occupati da inserti pubblicitari.
Senza pensare che la pubblicità in senso stretto non é sicuramente l’unico modo che utilizzano le aziende di comunicare con i consumatori.
Immaginate il numero delle sponsorizzazioni durante i piccoli e grandi eventi, le pubbliche relazioni e la vendita personale.
Eppure ogni pubblicità non è totalmente efficace se non esercita un’emozione nel cliente.
Per far si che ciò accada la pubblicità utilizza principalmente due tipi di comunicazione: quella iconica e quella linguistica.
La componente linguistica è stata a lungo studiata e infine definita come un vero e proprio “fantalinguaggio” dal linguista Mario Medici.
I Pubblicitari hanno dato vita a parole del tutto nuove partorite dall’unione delle tendenze del parlare e dello scrivere moderno e la necessità di comunicare molto nel minor tempo o spazio possibile.
È così che i sostantivi vengono accompagnati da -super! -extra!    -issimo!, i comparativi perdono il loro termine di paragone (ad esempio, “il detersivo Ariel lava più pulito”), parole composte come esentasse, tuttofare, persone ambosessi o automobili triporte diventano comuni nel parlare moderno grazie alle pubblicità.
Negli ultimi anni, pertanto, gli sforzi dei pubblicitari si sono concentrati maggiormente sull’utilizzo di un linguaggio iconico, molto più espressivo e quindi in grado di creare una certa suggestione psicologica nel consumatore.
Ricordiamoci, infatti,  che l’azienda cerca di ricreare un’emozione nel cliente che sceglie il suo marchio in modo da affezionarlo al loro prodotto.
Credeteci, non esiste metodo migliore che iniziare a gettare l’amo prima ancora della vendita stessa!
Per suggestionare la mente della possibile “preda” in questo tipo di linguaggio ci si affida principalmente alle immagini, che non sono studiate per comunicare espressamente un messaggio, ma piuttosto per orientare verso una scelta.
Il linguista Tullio De Mauro definisce questo linguaggio “Subalterno”: l’immagine domina sulla parola.
Esso non crea parole nuove, come nel caso precedente, anzi utilizza i segni già affermati e riconosciuti dal pubblico in modo da costruire “esche linguistiche allettanti”.
Pubblicità e moda sono un connubio affascinante e astuto, la maggior parte delle strategie aziendali puntano su di essa per creare la loro identità, per fortificare la loro immagine.
Tutti i prodotti, le sfilate, la vendita della griffe stessa é  una continuo trasferimento di messaggi verso il consumatore.
Grazie alla sua preponderata funzione emozionale,  cerca così di centrare il suo obiettivo principale: vendere.
Si può quindi affermare che “tutto ciò che è moda FA ed È comunicazione”.
Prendiamo ad esempio la campagna pubblicitaria di una  marca di occhiali da sole e vista.
La testimonial, ovvero la modella scelta a rappresentare con il suo volto la casa di moda, di questa stagione è una top-model di fama mondiale.
Lo slogan recita semplicemente “Lei è moda”.
Questa semplicissima frase comunica che per essere alla moda  come lei bisogna indossare quel paio di occhiali.
Messaggio semplice e coinciso che mira dritto ad un pubblico femminile più o meno vasto, che con l’arrivo della bella stagione sarà stata alla ricerca del nuovo occhiale da sole da indossare nei momenti di vita mondana, in spiaggia, a fare shopping con le amiche.
La pubblicità presa in esame è perfetta per spiegare certe tematiche fondamentali particolari del  mondo della moda e della promozione dei suoi prodotti.
Difatti, in un settore come questo è importante tenere in considerazione certe variabili importanti come la tipologia del prodotto e la brevità del suo ciclo di vita, la situazione del mercato, il comportamento del consumatore, ecc…
La pubblicità che lancia il nuovo prodotto necessita un tipo di comunicazione immediata, che miri direttamente al suo consumatore, insomma, concreta.
Deve colpire il maggior numero di pubblico possibile in maniera rapida ed efficace, in modo da dare il via alla vendite nel più breve tempo possibile.
Bisogna saper leggere correttamente l’andamento del mercato e di conseguenza intuire l’attitudine del consumatore di fronte ai nuovi acquisti.
Trattandosi di un processo d’acquisto veloce, é importante che il giusto messaggio venga indirizzato verso il giusto target di consumatori che, trasportati dall’onda dell’emotività, sceglieranno proprio quel determinato prodotto.
Generalmente queste sono le caratteristiche più difficilmente controllabili, in particolare nel breve periodo.
La comunicazione di moda deve basarsi su supporti che diano la possibilità di raggiungere in maniere efficace il target della clientela, sempre tenendo un occhio di riguardo al proprio budget.
È importante scegliere i mezzi di comunicazione appropriati in modo da conferire un’immagine di se coerente con la filosofia aziendale.
Infatti, in questo settore in genere si tende più a spettacolarizzare che a comunicare in senso stretto.
La fotografia é solitamente il metodo più diffuso, in quanto rimane maggiormente ricordata inserita tra le pagine patinate delle riviste femminili.
Con la fotografia si cerca di donare un carattere all’abbigliamento, e non conferire solo un’immagine.
Vengono investiti ingenti capitali ad ogni campagna pubblicitaria: i migliori fotografi, per le migliori modelle, per le più grandi (e ricche) case di moda.
In molti casi però, questa ricerca della spettacolarità eccessiva a tutti i costi viene esasperata talmente tanto che anche il messaggio comunicazionale viene spesso alterato o del tutto non compreso.

Comunicazione e conflitto organizzativo

Il lavoro individuale non è l’unica componente di un’organizzazione che, al contrario, ripone la sua leva costruttiva nella creazione e nella gestione di complesse relazioni interpersonali, dando luogo alla cosiddetta fenomenologia dei gruppi.
Un gruppo di lavoro non è altro che un’insieme di individui che si impegnano ad utilizzare in maniera collaborativa le diverse aree di competenza che rappresentano, al fine di ottenere elevate prestazioni e raggiungere risultati superiori, subordinando i loro interessi individuali a quelli dell’organizzazione.
All’interno della nostra esistenza possiamo ritrovare variegate tipologie di gruppi: in base all’intensità delle relazioni possiamo avere gruppi primari e gruppi secondari – in base al livello di formalizzazione possiamo avere gruppi formali o informali – in base alla durata potremmo avere gruppi permanenti o gruppi temporanei – in base alla dimensione potremmo avere gruppi piccoli,medi o grandi.
La costituzione di un gruppo comporta la formazione di una coscienza sociale che, nel lungo periodo, implica il superamento dell’agire individuale per dare spazio al comportamento collettivo.
La dinamica comportamentale parte dalla distinzione delle 3 anime da cui prende corpo la relazione sociale: la dimensione individuale – la dimensione collettiva – la dimensione politica.
Per quanto riguarda i primi due punti possiamo dire che gli obiettivi personali si muovono e si mescolano agli obiettivi organizzativi, generando complessità perché non è detto che esista lo stesso tipo e livello di commitment per tutti i partecipanti al gruppo.
La maggior complessità legata all’indirizzare i comportamenti diversi verso un unico obiettivo può essere fronteggiata in parte ricorrendo all’azione della cultura organizzativa, quale collante per creare coesione sociale, e in parte analizzando la dinamica del processo di subordinazione della volontà individuale alla volontà collettiva.
Il presupposto fondamentale della cooperazione è l’esistenza della volontà delle parti di contribuire al raggiungimento di un fine comune: ogni individuo deve accettare che ogni suo atto personale diventi un contributo per il perseguimento di un fine impersonale, cedendo ad altri il controllo delle azioni che pone in essere.
D’altro canto, esistono delle modalità per stimolare la volontà delle persone ad orientarla verso il raggiungimento del fine comune all’organizzazione, si fa riferimento al concetto di incentivi.
L’abilità dell’organizzazione risiede nella capacità o di aumentare gli incentivi positivi o di ridurre gli svantaggi, al fine di indirizzare gli individui verso il suo volere, bilanciando la disequazione della soddisfazione personale di ogni singolo dipendente.
La dimensione politica attiene alle simmetrie di potere tra gli attori sociali.
Possiamo dire che all’interno di un gruppo, ogni attore strategico crea un sistema di azioni per perseguire un vantaggio personale, le cui “regole del gioco” saranno fissate dal margine di incertezza che ogni attore manovra nel porre in essere la propria azione, influenzando le strategie degli altri soggetti con cui entra in contatto.
I giocatori svolgeranno le strategie di gioco che meglio consente di perseguire l’obiettivo finale, tenendo conto sia dei vincoli imposti dal gioco stesso sia dalle mosse dell’avversario.
Alla luce di quanto descritto affinché si possa pervenire al raggiungimento delle finalità organizzative, i gruppi che svolgono le attività aziendali devono tendere alla collaborazione.
Spesso accade che emergano conflitti che rompono l’equilibrio cooperativo, generando disfunzioni e rallentamenti nel perseguimento delle mete.
Talvolta la conflittualità è diretta conseguenza dei rapporti di potere, ma potrebbe anche derivare da una scarsa affinità di personalità e di orientamento tra i membri dello stesso team.
Questo tipo di conflitto può riguardare il rapporto tra un singolo individuo/ gruppo e l’organizzazione( conflitto organizzativo) oppure possono verificarsi tra organizzazioni o gruppi diversi (conflitto interorganizzativo o intergruppo).
Parlando sempre del conflitto, possiamo indicare anche un processo di conflitto composto da 5 fasi: la latenza, il riconoscimento, la percezione emozionale, la manifestazione aperta ed infine le conseguenze.
Per fronteggiare queste fasi l’organizzazione si può avvalere di precisi strumenti, per tenere sotto controllo i conflitti relazionali oppure per minimizzare gli effetti qualora si siano già verificati, ovvero
1) i tempi dell’intervento risolutivo;
2) i soggetti coinvolti nell’interazione;
3)i processi;
4) i contenuti.
Si può quindi decidere si battere il conflitto sul tempo (prevedendolo) oppure se gestirlo dopo la sua manifestazione (processi d’intervento).
Focalizzando l’attenzione sui soggetti coinvolti nell’interazione si intende affermare che è possibile risolvere un conflitto direttamente tra le parti in causa oppure ricorrendo all’intermediazione di un soggetto/organo esterno.
Per quanto riguarda invece la voce dei processi d’intervento i principali sono: il lassismo, ovvero attendere che il tempo aggiusti le cose; il confronto tra le parti in conflitto; la negazione; l’imposizione.
Un ultimo elemento di azione per la gestione della conflittualità intesa è legato al “dopo conflitto”, ovvero all’emersione del conflitto.
Le configurazioni più tipiche sono:
la convivenza con il conflitto per l’impossibilità di trovare una via d’uscita;
la diversione, ovvero lo spostamento dell’attenzione del conflitto;
la separazione delle parti che comporta all’allontanamento fisico del soggetto, fino ad arrivare all’eliminazione dell’interdipendenza tra le attività da essi svolte;
il compromesso ed infine l’integrazione con la quale si cerca di superare le cause che hanno generato il problema, orientando l’azione verso la ricostruzione della collaborazione tra le parti, sostituendo gli obiettivi fino ad ora perseguiti.
Tutte le soluzioni descritte fino ad ora si pongono come interventi di “riduzione” del conflitto.
L’integrazione,d’altro conto, si configura come un intervento di “risoluzione” perché tenta di superare le cause.
Ne consegue che è sicuramente il provvedimento più efficace , ma anche il più costoso dal punto di visto emotivo e, inoltre, non è detto che sia sempre possibile individuare un obiettivo di ordine superiore da assegnare in comunanza con le parti.
L’analisi condotta sinora fa emergere come la comunicazione sia uno degli strumenti che risente di una fondamentale importanza nella dinamica dei gruppi perché influenza le relazioni interpersonali e il processo decisionale.
Infatti l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione e ne consegue che comunque ci si sforzi non si può non comunicare!
Il processo di comunicazione è influenzato da diversi elementi, tra cui riveste una particolare importanza la fase di codifica/ decodifica.
Tali elementi sono :
emittente e destinatario;
il messaggio;
i canali;
il significato e i processi di codifica e decodifica;
il contesto.
L’identificazione del messaggio emanato dall’emittente non comprende automaticamente la corretta interpretazione da parte del ricevente.
Ne discende che il problema più difficile da gestire in tale contesto è l’allineamento tra la percezione del messaggio da parte del destinatario e quanto inviato.
Il termine percezione identifica il processo di elaborazione cognitiva delle informazioni sensoriali provenienti dall’esterno.
Quindi la percezione individuale non rappresenta nient’altro che il modo in cui un individuo vede il mondo.
La decodifica quindi può essere soggetta ad una carenza di codice,ad una disparità di codice e ad una interferenza.
Ricordiamoci inoltre che la comunicazione non è solo il linguaggio, infatti lo studio del linguaggi o si è esteso anche ai nostri comportamenti visibili e che possono tradire quello che diciamo, parliamo in questo caso del linguaggio non verbale, del sistema cinesico,dalla prossemica e dall’aptica(diverse forme di contatto).

Vendere: come rendere fluido ogni colloquio

Amando lo sport, mi diverto spesso a fare dei parallelismi e a cercare delle analogie tra l’attività di vendita e le varie discipline.
Mi ricordo per esempio che , da ragazzino, quando giocavo a baseball, studiavo il lanciatore avversario per capirne la sequenza dei lanci, al fine di poterlo anticipare quando era il mio turno alla battuta, questo perché non essendo un “campioncino” e dovendomi misurare con dei “talenti” dovevo cercare, in qualche modo, di prendermi dei vantaggi.
Cercavo in sostanza di agire prima di conoscere la mossa dell’avversario che, dotato di miglior tecnica individuale, mi avrebbe sicuramente messo in difficoltà.
Anche il venditore secondo me durante la sua attività deve evitare di giocare solo di rimessa: aspettare passivamente le obiezioni del cliente, per poi cercare di demolirle una ad una, può rivelarsi un’azione dispendiosa e fuorviante.
Di sicuro, è una tecnica obsoleta.
Anticipando le manifestazioni di rifiuto più frequenti (e prevedibili), abbasserai notevolmente le probabilità di arenarti in discussioni improduttive e pericolose, che ti possono allontanare dalla conclusione dell’affare.
Utilizzando questo metodo apparirai agli occhi del cliente come un professionista preparato e autorevole; oltre a questo, durante tutto il colloquio ti sentirai molto più sicuro perché dentro di te saprai che nessuno ti potrà cogliere di sorpresa e metterti in imbarazzo.
Se, in base alla tua esperienza, hai notato che il tuo prodotto presenta delle caratteristiche che a prima vista possono apparire potenzialmente svantaggiose, o “inferiori” a quelle della concorrenza, perché non farlo notare subito, portando le giuste argomentazioni, prima che sia il cliente a dire: “Niente da fare, il prodotto della ditta XY ha delle prestazioni migliori”?
Chiaramente questo modus operandi per essere utile deve prevedere una certa preparazione, non ti puoi affidare all’improvvisazione.
Dovrai mettere per iscritto le obiezioni più ricorrenti che ti vengono rivolte durante le tue visite, per poi riorganizzarle per argomenti (“E’ troppo caro”, “Sono contento dei miei fornitori”, “Devo parlare con il mio socio”, “Le farò sapere più avanti”).
In seguito in ogni sezione indicherai le frasi che ritieni migliori, più efficaci, per poter anticipare con successo ogni resistenza del tuo interlocutore.
Io ti consiglio di avere almeno tre alternative per ogni situazione, da poter usare a rotazione e “testare” sui vari clienti.
Evita di commettere l’errore del venditore “medio”, che dice: “Io devo lavorare, non ho tutto questo tempo per scrivere e pensare.
E poi, sono un commerciale, devo essere spontaneo e non costruito!”
Il piccolo sforzo infatti di cercare soluzioni alternative e argomentazioni incisive ti farà diventare senza volerlo più brillante e creativo, oltre che più sicuro, come già accennato.

Gestire l’obiezione del prezzo

L’obiezione sul prezzo è un ostacolo che ancora oggi la maggior parte dei venditori e degli agenti di vendita ne soffre.
C’è chi dice che più che difendere il prezzo, sia meglio parlare dei vantaggi correlati al prodotto / servizio.
Quali sono, secondo la vostra esperienza, le vie migliori per gestire l’obiezione sul prezzo?

Scegliere il proprio stile di leardership

Penso che il problema sia uno dei dilemmi più difficili da affrontare nella gestione delle risorse umane, perché, in realtà, un capo non può usare un unico stile di leadership.
Questa conclusione deriva da quegli studi, che fanno parte del filone di ricerca sui comportamenti degli individui, posti davanti alla necessità di scegliere tra una priorità ed un’altra.
Una qualunque persona, portata ad assumere responsabilità che contemplino il reporting di un significativo numero di dipendenti, dovrà gestire la sua maggiore tendenza verso un orientamento al compito (orientamento direttivo) o verso un orientamento alla relazione (orientamento di sostegno).
Questo gioco di equilibri determina l’esprimersi di quattro principali stili di leadership: stile direttivo, direttivo-partecipativo, democratico e laissez-faire; ebbene, nessuno stile è poco efficace per definizione, ma lo diventa quando è usato nel contesto sbagliato.
Viene a questo punto in soccorso la teoria della cosiddetta leadership situazionale di Blanchard Hersey, che assegna ai capi la responsabilità di adattare il loro stile tendenziale al livello di maturità dei propri dipendenti.
Il modello Blanchard individua quattro livelli di maturità, nei quali possono essere fatte ricadere quasi tutte le combinazioni di competenze e di comportamento dei dipendenti stessi:
– 1° Livello: L’individuo, in genere, deve ancora maturare delle abilità specifiche per il lavoro da svolgere, ma é motivato ad affrontarlo con una sufficiente sicurezza (poco competente con forte impegno);
– 2° Livello: Il dipendente possiede già alcune abilità significative, ma dimostra di non impegnarsi per svolgere il suo lavoro in maniera completamente autonoma.
Talvolta potrebbe essere costretto ad affrontare situazioni completamente nuove per lui (ha qualche competenza ma poco impegno);
– 3° Livello: È persona esperta e capace, ma malgrado ciò non dimostra di avere quella sicurezza per agire in maniera indipendente o di essere motivato a migliorare rapidamente (molta competenza e impegno variabile);
– 4° Livello: È un dipendente molto esperto e sicuro delle proprie capacità; in talune aeree può addirittura essere più esperto del suo capo (molto competente e molto impegno).
E’ adesso possibile combinare gli stili di leadership con i livelli di maturità:
– lo stile direttivo si distingue per il fatto che ai dipendenti vengono date istruzioni e ordini, sorvegliando strettamente la loro attività.
Questo é lo stile adottabile con i dipendenti all’inizio delle loro esperienze, poiché hanno bisogno di sentirsi spiegare sia cosa sia come fare ciò che é richiesto dalla mansione.
Non sono oltretutto in grado di valutare i propri risultati (livello di maturità 1);
– i dipendenti nello stile direttivo-partecipativo sono resi maggiormente partecipi delle decisioni dei capi, i quali però mantengono ancora uno stretto controllo sulle attività e sui risultati.
Questo stile é l’ideale per gestire dipendenti che hanno già maturato alcune esperienze e competenze, pur non essendo ancora in grado di autogestirsi (livello di maturità 2);
– i capi, nello stile democratico, scambiano informazioni e ascoltano i loro dipendenti che vengono coinvolti nel processo decisionale; più che ricevere ordini i dipendenti in difficoltà ricevono aiuto e incoraggiamento dai capi.
E’ lo stile da utilizzare con dipendenti che hanno raggiunto un buon livello professionale e che, talvolta, sono anche in grado di controllare i propri risultati (livello di maturità 3);
– lo stile lassaiz-faire prevede la delega al dipendente sia della decisione che del controllo dei risultati.
E’ applicabile solo con professionisti affermati a cui, entro certi limiti, si può lasciare sia la presa delle decisioni sia il controllo dei risultati (livello di maturità 4).

Gestire l’obiezione del prezzo

“Qual è l’ostacolo che vi trovate spesso ad affrontare, e vi sembra così difficile superare?”.
L’obiezione sul prezzo.
Questa è fastidiosa, frequente, e viene perlopiù letta come un ostacolo alla conclusione della trattativa, ma, pur essendo ricorrente, chi vende, il più delle volte, non ha ancora trovato modo di non temerla, e in molti casi di anticiparla, se non disinnescarla.
A volte è anche corretto difendere e argomentare il prezzo, ma sicuramente parlare dei vantaggi, dei plus, legati al prodotto/servizio, soprattutto quando la qualità di ciò che stiamo offrendo e il marchio che rappresentiamo (magari noto per essere all’avanguardia nel settore) valgono di gran lunga la nostra richiesta, rispetto a un concorrente che probabilmente vale meno.
Tuttavia, a volte, la differenza del prodotto e del marchio possono non essere percepite, oppure non sono così sensibili come in altre occasioni.
A questo punto entrano il gioco i valori di chi vende: la disponibilità, la competenza, l’esperienza.
Una vendita è fatta di prezzo richiesto e di valore percepito.
Il cliente riconosce una convenienza nell’acquisto quando il valore che ritiene di comprare vale il prezzo che sta pagando.
Obiettare sul prezzo è facile, a volte ci sono venditori talmente timorosi che arrossiscono e si impappinano appena sentono dire “siete cari”, a volte penso che siano loro stessi convinti di non valere niente di più che un bel prezzo scontato.
Quando un buyer si trova di fronte persone del genere si vergogna un pò, perchè sa che sta sparando sulla croce rossa.
I venditori professionisti sanno che qualunque sia il prezzo che loro pronunceranno, la loro controparte cercherà subito un ribasso, adducendo le più svariate argomentazioni, ecco perché stanno bene attenti a non scendere su questo terreno prima di aver enunciato e condiviso con il potenziale cliente vantaggi e benefici.
Si tratta di anestetizzare le valenze negative legate al prezzo, grazie ad altri elementi a noi più favorevoli.
In quasi tutti i manuali di vendita si consiglia quanto segue:
1. assecondare: “Mi rendo conto che, dal suo punto di vista, il prezzo …”;
2. argomentare: … “converrà che oltre alla qualità del prodotto le stiamo offrendo un servizio post vendita di elevato standing  …”
Si tratta di gettare un ponte per permettere al cliente di accettare la nostra proposte e, a volte, di poter fare retromarcia senza perdere la faccia.