Team building: funziona veramente?

Ho letto tempo fa un articolo sul team building.
Affermava che, anche se molti esercizi di team building (soprattutto in outdoor training) possono essere divertenti per alcune persone (non per tutte sottolineava), in realtà non fanno molto per aiutarle a risolvere i loro problemi sul posto di lavoro.
Effettivamente non tutti i percorsi di team building sono adeguati alla soluzione dei problemi aziendali!
Chiedendo ad alcuni Manager, che sapevo avere avuto in passato esperienze similari, mi sono sentito raccontare che ponti tibetani, fire walking, apollo projects, soft air, rafting ecc.,  possono certamente essere momenti appassionanti e divertenti per chi li apprezza ci si butta, ma quasi tutti hanno affermato che queste attività, aldilà di una condivisione e un forte valore del ricordo tra i partecipanti, non hanno quasi mai contribuito a migliorare i risultati di vendita, né a risolvere i problemi di relazione in ufficio.
Alcuni di loro hanno tra l’altro sottolineato che, in realtà, molte attività di team building, per quanto ben costruite, sono imposte ai “team” senza alcuna considerazione reale per quello che in realtà necessita alla squadra.
Allo stesso modo, se può essere divertente e cordiale una giornata di divertimento aziendale in cui si indossano tute gonfiabili e ci si lancia contro un muro in velcro, si sfreccia con un go-kart o ci si cimenta nel tiro al piattello, non è detto che tutto ciò si concluda necessariamente nella costruzione di relazioni di squadra, piuttosto che nell’affrontare i problemi del gruppo.
Queste forme di team building possono senza dubbio rappresentare il giusto evento per una festa di stagione, grazie ad attività “informali motivazionali” che ci fanno sentire bene, ma, quello che fanno raramente, “è migliorare le prestazioni della squadra”.
Per questo molti ritengono che sia necessario un approccio più ponderato al team building che, partendo dal momento formativo ludico, riesca a lavorare su obiettivi chiari e sulle necessità del gruppo che devono, e possono, essere soddisfatte.
È necessario prendere in considerazione i problemi specifici che devono essere affrontati e le persone coinvolte nel team.
Forse un programma che coinvolga in qualcosa di un po ‘più creativo e meno fisico – sia all’interno che all’esterno – con un sacco di tempo per la discussione e il confronto – potrebbe essere un buon punto di partenza.
Ci saranno sempre soggetti resistenti all’idea stessa di “team building”, o altri la cui comfort zone è molto piccola.
Riconoscere questo e generare un programma che prende in considerazione le specifiche realtà sta dando risultati  e ritorni molto concreti a dispetto della rinuncia  a giochi di ruolo legati a  spedizioni artiche o conquiste del castello.
Animare un team di vendita richiede creatività, costanza e divertimento, ma soprattutto linee guida chiare e condivise, utili a essere pragmaticamente trasferite nella quotidianità.

Lasciamo sempre una porta aperta

Una delle cose più difficili per un venditore è affrontare un netto rifiuto, e questo è probabilmente il motivo che fa “odiare”, anche ai professionisti della vendita,   il chiamare a freddo un potenziale cliente.
Se, tuttavia, è possibile trasformare un rifiuto in un’esperienza di valore, e da cui apprendere, allora il nostro lavoro, anche dovendo cercare dei prospect a freddo, potrebbe diventare molto più interessante!
Non è mai una questione personale, per quanto sia molto facile prendere il rifiuto a un nostro prodotto, o una mancata vendita, come un rifiuto verso la nostra persona.
E’ come se ci convincessimo, in qualche modo,  di non piacere alla gente, sentendoci come se avessimo  fallito personalmente.
Se prendiamo questa posizione, rischiamo di diventare una persona molto triste.
Le vendite sono piene di rifiuti.
Dobbiamo essere obiettivi, separando il problema dalla persona; non aver completato la vendita, non ci preclude di lavorare per il futuro.
Impariamo a ringraziare le persone (qualsiasi cosa ci abbiano detto), ringraziamole per il tempo che ci hanno dedicato e per l’ascolto che ci hanno prestato, apprezziamone la situazione perché, se non sono pronte a prendere una decisione a noi favorevole oggi, potrebbero esserlo un domani.
Impariamo a lasciare la porta aperte, non andiamo in cerca di rivincite quando riceviamo un rifiuto, anche con piccoli commenti malevoli, perché questo significa gettare le basi affinché queste persone non possano mai acquistare da noi.
Cogliamo l’opportunità di imparare da quello che è successo, ripensiamo alla conversazione, al linguaggio del corpo e al tono della voce, a quello che è stato detto e a quello che è stato omesso, cosa avremmo potuto dire o fare, ecc.
Dobbiamo essere aperti e onesti con noi stessi, senza giudicarci o colpevolizzarci, ma nemmeno assolverci con facilità, come se le responsabilità fossero tutte al nostro esterno.
Aiutiamoci chiedendo un feed back al cliente che non è pronto a prendere in considerazione la nostra proposta; chiediamogli se abbiamo “mancato in qualcosa” e “cosa non l’ha convinto delle nostre argomentazioni”.
A volte questo atteggiamento riapre come d’incanto la conversazione e noi guadagniamo punti agli occhi del nostro interlocutore; purtroppo chi vive il no come un rifiuto non cerca mai questo tipo di feed back ritenendolo svilente . . . e non chiude una porta, ma un pesantissimo portone dietro di sé, finendo magari col gettarne anche la chiave.

Costruire team efficaci

Troppo spesso, le squadre sono formate unicamente mettendo insieme alcune persone, sperando poi che le stesse, in qualche modo, trovino un modo per lavorare insieme.
I team sono più efficaci quando sono progettati con cura.
Per progettare, sviluppare e sostenere un team altamente efficace, occorre utilizzare alcune linee guida, prima fra tutte il fissare obiettivi chiari circa i risultati che ci si aspetta possano essere prodotti da parte del team.
Gli obiettivi per essere tali da coinvolgere tutti, debbono essere percepiti come rilevanti e realizzabili, definiti sia nella quantificazione che nei tempi di realizzo.
Comunicazioni costanti, chiare e coerenti tra i membri sono uno dei principali sostegni del team; i nuovi leader danno spesso per scontato che tutti i membri del gruppo sappiano già ciò che loro sanno.
I gruppi di successo sviluppano una comunicazione in grado di giungere regolarmente a tutti i partecipanti (tramite newsletter, rapporti, e mail, ecc.).
Importante è altresì definire, e mettere a conoscenza di tutti, una procedura per quelle situazioni in cui si devono prendere decisioni  e in cui si devono risolvere i problemi in modo efficace.
Ulteriori elementi che favoriscono il team building sono l’avere la capacità di identificare  i ruoli e le competenze che sono necessarie al gruppo e alla composizione della squadra, definirne – comunicarne -e  farne comprendere lo scopo, avendo qualcuno che funga da facilitatore  (utilizzando le diversità per garantire solide idee per la discussione e il confronto), e che sappia gestire  efficacemente le riunioni, così da sostenere lo spirito di appartenenza.
Ogni gruppo deve avere un leader riconosciuto e riconoscibile (che non deve avere, per forza, una forte personalità carismatica), capace di concentrarsi sui sistemi e sulle pratiche, e non sulla personalità dei suoi membri.
Ricordando che sono le persone, nel bene e nel male, le protagoniste della vita di un team, occorre pianificarne le attività, sostenerne la fiducia, monitorando e riferendo loro regolarmente lo stato del percorso verso il raggiungimento dell’obiettivo (supportando e motivando eventuali ritardi al fine di evitare frustrazioni e cattivi pensieri . . . i piani possono semplicemente cambiare).
Sostenere l’entusiasmo di chi sta spendendo se stesso per il risultato di tutti non è solo questione di cortesia e gentilezza, ma anche di strumenti che aiutino ogni singolo componente del team, così come la bussola aiuta il viaggiatore a non smarrirsi.

Prospezione e clienti

Anche se i potenziali clienti hanno esigenze fra loro diverse, ci sono tre fattori che ogni venditore dovrebbe conoscere, in quanto oltre che con esigenze diverse, egli ha anche a che fare con tipologie di clienti differenti; pertanto deve modulare, di volta in volta, il proprio approccio, e la conseguente intervista, allo scopo di comprendere “chi ha di fronte“.
Tra i punti fermi, vitali per qualsiasi trattativa di successo, vi è la necessità di conoscere il problema, o la questione che sta a cuore al cliente, in quanto vi sono situazioni nelle quali   chi abbiamo di fronte riconosce esplicitamente ciò di cui soffre o ha bisogno, e altri casi in cui ne ha solo una percezione latente; aiutarlo a identificare e definire il problema che si è in grado di risolvere, è una delle basi su cui poggia il successo di una vendita.
Riconoscere il problema non è comunque sufficiente, occorre che il cliente sia motivato a risolverlo, ovvero che esso rappresenti per lui una priorità a cui dare soluzione, altrimenti il lavoro per il venditore sarà quantomeno in salita, per non dire arduo.
Peraltro vi è anche il caso in cui il cliente sa di cosa necessita per risolvere il proprio problema: questa potrebbe essere sia una buona notizia per il venditore, così come potrebbe non esserlo.
Ad esempio il cliente percepisce e conosce il problema, vuole risolverlo e sa quello di cui ha bisogno.
Si avvicina al venditore e chiede “ho bisogno di XXXX, ne hai uno“?
Se l’addetto alle vendite ha ciò che si vuole la vendita è facile e veloce, e qualunque tentativo di intervista viene quasi sempre annullato, e con esso, in molti casi, la comprensione del problema che l’interlocutore vuole risolvere con l’acquisto.
Ma se il venditore non ha quello che chiede il cliente?
Chi vende, a questo punto, se non vuole abbandonare immediatamente il campo, ha bisogno di fare una pur breve conversazione con chi compra, per cercare di comprenderne il problema e ingegnarsi nell’offrire soluzioni alternative, anche se questo richiede di dover convincere che ciò che viene proposto è meglio di ciò che inizialmente era stato chiesto.
Ci sono poi clienti che sanno di avere un problema, sono motivati a risolverlo, ma non ne conoscono la soluzione: sono coloro che si avvicinano all’addetto vendite con una richiesta di aiuto.
Per molti versi questo è il cliente ideale, il venditore è quasi un “soccorritore” che aiuta la propria controparte con un processo di problem solving, soprattutto se è in grado di trovare rapidamente ciò che fa per lei.
Abbiamo visto due clienti che sanno di avere un problema e che, seppur in modi differenti, intendono risolverlo.
Veniamo ora a coloro che non sanno di avere un problema o non sono motivati a risolverlo, e che il più delle volte respingono qualunque tipo di approccio commerciale.
Il dilemma per chiunque venda è che i potenziali clienti di questa categoria sono molti, il che è una buona notizia per chi sa far leva sulle proprie capacità di problem solver, anche se il lavoro necessario per influenzarli per vendere a loro è decisamente significativo, il che è una notizia meno buona.
La vendita problem solving è sicuramente indispensabile con chi non sa di avere un problema, o non è motivato a risolverlo; solo attraverso le domande, e le successive risposte, si potrà decidere se insistere o meno.
L’obiettivo è concordare sull’esistenza di un problema e la conseguente volontà di risolverlo; si investe la maggior parte del tempo nell’analisi della controparte, nel tentativo di ricercare e portare a soluzione, con i propri prodotti, bisogni che inizialmente non erano manifesti, o soluzioni che non venivano percepite come tali.

Lean leadership personale

Se la persistenza con cui si desidera raggiungere un obiettivo nella nostra vita è uno degli ingredienti di base per riuscire, la stessa non può essere disgiunta da una forte motivazione personale.
La motivazione riguarda tutti (imprenditori, dirigenti, venditori, genitori) e qualunque cosa si faccia è il carburante che mette in moto quelle azioni utili a proiettarci verso i nostri obiettivi, aiutandoci a superare gli ostacoli o a sopperire alle principali barriere che possono ostacolare la nostra  leadership personale: senso di inadeguatezza, mancanza di focalizzazione,  frustrazione …
La motivazione è un bene inalienabile e indisponibile, nessuno può motivare nessun altro se questi non ha l’intenzione di accendere il motore della propria motivazione; ecco perché, quando vi è la necessità di condividere un obiettivo con altre persone, quello che un leader può fare è unicamente “cercare di influenzarle”.
C’è chi utilizza le tecniche del “fiato sul collo” o della “presa per sfinimento”  per intervenire su collaboratori o figli poco reattivi, o per convincere qualcuno a dargli retta, ma tutto ciò, oltre a essere faticoso e dispendioso, porta spesso a inevitabili insuccessi.
Solo chi è in grado di sviluppare una leadership personale, che vada oltre puri comportamenti direttivi, potrà influenzare gli altri al fine di ottenere risultati eccellenti, grazie a un coaching e a un mentoring quotidiani, capaci di far crescere la cultura del problem solving e del team work.
Coloro che ragionano e agiscono in questo modo sanno che non è una questione di macchine, di organizzazione o di risorse finanziarie, ma di persone, cioè sanno che è un problema di leadership, una leadership capace di prevenire i problemi, anziché inseguirli, interessata a rinforzare sistemi e processi in una visione di lungo termine, anziché gestire unicamente gli stati di crisi.
Parlare di lean thinking e di lean leadership, significa parlare di un radicale cambio di cultura sia a livello individuale, che interpersonale, bilanciando l’eccellenza tecnica e quella sociale,  costruendo un sistema di leadership in grado di sostenere e guidare i comportamenti delle persone, consentendo ai processi di funzionare, grazie a un management proteso a supportare l’organizzazione  a rimuove le barriere al proprio interno e verso l’esterno.