Leadership e emozioni

Cosa significa parlare dell’impatto degli stati d’animo e delle emozioni in un’organizzazione, e perché sono  così importanti per  l’organizzazione stessa?
Qualcuno ha detto che noi esseri umani siamo animali emotivi, e che le emozioni ci hanno aiutato a sopravvivere sin dalle nostre origini, in un mondo pericoloso dove il “prossimo incontro” avrebbe potuto essere l’ultimo.
La paura, la gioia, la rabbia, la tristezza influenzano ogni giorno la nostra vita, molto più della ragione (raziocinio, logica, ecc.) sulla quale le emozioni, anche represse, prendono sempre, prima o poi, il sopravvento.
Possiamo immaginare la nostra gentilezza quando siamo pervasi da un impeto di rabbia?
Alle emozioni vengono sovente accostati gli stati d’animo, ma qual è la differenza tra uno stato d’animo e un’emozione?

Ognuno di noi ha uno stato emotivo sottostante, uno stato d’animo di base che ci orienta nella vita di tutti i giorni.
Le emozioni, che sono i sentimenti più forti, e che nascono in risposta a qualcosa, sono costruite sul nostro umore di fondo.
Questo significa che la nostra risposta emotiva varierà a una particolare situazione in base all’umore che in quel momento sarà in noi dominante; per esempio, se lasciamo cadere una tazza quando siamo di buon umore, si può semplicemente pensare a riparare il danno, ma se siamo di umore irritabile, potremmo far esplodere la nostra rabbia aldilà della gravità del fatto.
Se subiamo un aggressione verbale in un momento in cui siamo “sereni” molto difficilmente cadremo nella trappola dell’alterco, viceversa, se siamo già di nostro inquieti o alterati, “una semplice parola” potrebbe far scattare in noi le reazioni più disastrose.
Da buoni osservatori siamo in grado di riconoscere nelle altre persone i loro stati d’animo e le loro emozioni.
Non sembriamo avere però eguale capacità con noi stessi, brancolando il più delle volte  in quella che viene definita  “la cecità rispetto il proprio stato emotivo”, con la conseguenza di non riuscire, né a padroneggiare, né a cambiare la nostra situazione, soprattutto quando ci spinge verso il basso.
Nel bene e nel male gli stati d’animo e le emozioni possono essere molto contagiosi, dando vita a sottili, ma importanti, implicazioni nell’organizzazione;  le persone che lavorano all’interno di una struttura organizzata tendono, perlopiù, a condividere lo stesso stato d’animo di fondo.
Questo spesso si presenta come una forma di clima organizzativo che, pur essendo qualcosa di intangibile,  esiste e viene percepito chiaramente anche da un estraneo: basti pensare a quella volta che ci siamo trovati in quell’ufficio, in quel negozio o in quel reparto dove ci appariva palese la “felicità” delle persone di poter lavorare li, ovvero quelle volte dove la pesantezza e la “sofferenza” erano sentimenti per noi chiaramente percepibili.
Dato che gli stati d’animo e le emozioni sono così importanti per un’organizzazione, diventano a loro volta un aspetto critico della leadership, soprattutto laddove la cecità nel saperli leggere, non coinvolge solo le persone fisiche, ma vale anche nei confronti di  altre organizzazioni.
Si dice che per essere  dei buoni leader occorre essere in sintonia con lo stato d’animo della propria organizzazione, essendo capaci di riconoscerlo al fine di di capire cosa è possibile, e cosa non è possibile, fare  all’interno di quello spazio emotivo.
Inoltre si afferma che, se costoro ritengono che l’umore non è favorevole, occorre decidere di intervenire così da poterlo cambiare.
La domanda che ci si sente fare spesso è: come intervenire?
Se gli stati d’animo sono contagiosi, coloro che possono influenzare maggiormente le altre persone sono proprio i dirigenti.
Nel pieno rispetto del processo di apprendimento, imparato sin da bambini, osservando gli atteggiamenti e i comportamenti dei  genitori, così si impara dai propri leader.
I buoni leader hanno e trasmettono  una visione positiva, e cercano di non trasferirla solo agli altri dirigenti, ma fanno in modo che questa possa essere significativa per tutti.
Questa visione, affinché possa produrre le azioni desiderate, oltre a essere forte, deve essere sentita, capita e riconosciuta coerente da parte di tutta l’organizzazione.
I leader, per quanto siano la chiave per creare l’atmosfera organizzativa o il clima aziendale, trascurano molto spesso gli stati d’animo e le emozioni, inclusi i propri, ed è per questo che a un certo punto si fanno assistere da “personal coach” così da  avere un “aiuto” per poter meglio osservare, e presentare, se stessi e la loro visione.
Questo per molti di loro è un passo molto difficile da prendere, convinti come sono di poter controllare e governare i propri stati d’animo e le proprie emozioni.
Chiunque sia alla ricerca di un vantaggio competitivo, deve avere la capacità di guardare oltre, al fine di migliorare “l’umore della propria organizzazione“, affinché possano verificarsi tutte quelle azioni in grado di condurla al successo.

Parlando di sconto

Nelle abitudini di ogni buyer, c’è il sottoporre i venditori, prima di formalizzare una vendita, al noto test dello sconto.
Questa prova ha lo scopo di appurare se il venditore stesso è convinto che il prezzo che ha formulato sia equo, considerando le caratteristiche del prodotto che sta vendendo.
L’agente, che sia pur inconsciamente ha la convinzione che il proprio prezzo sia troppo elevato, cadrà miseramente nella trappola; viceversa, chi avrà saputo sviluppare sicurezza, tranquillità nella bontà della propria offerta e certezza di riuscire in ogni caso a portare a casa l’ordine, probabilmente riuscirà a superare la prova.
Nel corso del processo di vendita, per quanto lungo e articolato sia, viene il momento nel quale il professionista della venditadeve annunciare il proprio prezzo.
Questo è un momento temuto da alcuni tra gli agenti, i venditori, i responsabili commerciali, in quanto spesso scatena l’ovvia obiezione del buyer: il tuo prodotto è troppo caro!.
Molti, tra i professionisti della vendita, vivono questa obiezione in modo negativo, la percepiscono come un’impossibilità a concludere la vendita, e pertanto cercano di non facilitarne l’emersione.
Pertanto, inconsciamente, resistono all’indicazione di fornire il prezzo di ciò che stanno vendendo oppure, al momento di enunciare il prezzo stesso, assumono un atteggiamento difensivo – imbarazzato.
In tutti i modi, dopo tempi anche lunghi dedicati alle fasi canoniche del processo di vendita, alla fine il fatidico momento arriva.
L’obiezione del buyer è più o meno sempre la stessa: “Caspita, non credevo che foste così cari!”.
Ciò che accade nei successivi secondi spesso determina se il venditore otterrà il contratto, oppure no, e a che condizioni.
La reazione dell’agente di vendita a questa apparente “dichiarazione di guerra” molto spesso è uno degli elementi più importanti della trattativa, uno degli aspetti che può farla fallire, come indirizzarla definitivamente sui binari di una positiva conclusione.
Quanto più la formazione che ha ricevuto il venditore è improntata a sviluppare le proprie competenze in autostima, conoscenza di sé, motivazione, determinazione, tanto meglio il test sarà superato.
Il termine “superare il test” ha una doppia valenza.
La prima, ovvia, è relativa ad ottenere l’ordine; la seconda, meno ovvia, è se la propria azienda concorderà a concedere il livello di prezzo che il buyer sta chiedendo.
La trattativa potrebbe arenarsi ad un punto morto, dal quale è praticamente impossibile uscire: il buyer dice che è disposto a chiudere il contratto, ma ad un prezzo inaccettabile per l’azienda del venditore.
I compratori professionisti fanno training per reagire con sorpresa all’enunciazione del prezzo da parte dei venditori, per valutare quanto questi ultimi siano saldi e determinati per quanto riguarda il delicato argomento del prezzo.
Non è altro che una tattica negoziale.
Alcune risposte che non consentono di superare il test dello sconto:
-A che prezzo stai pensando?
-Chiederò all’azienda sè è possibile fare un’eccezione.
-Saresti interessato se potessi applicare un sconto ulteriore del … ?
-Mi metti in difficoltà …
Il motivo per il quale queste risposte portano ad una diminuzione del potenziale di conclusione positiva della trattativa , da parte del venditore, è che tutte implicano la consapevolezza che il prezzo sia elevato.
D’altra parte, nella mente del buyer lavorano due convinzioni, reciprocamente esclusive: o il venditore fa il tentativo di ingannare il buyer con un prezzo troppo elevato, o il prezzo è equo.
Non ci sono altre possibilità.
Ciò ovviamente non si applica alle piccole ritarature di prezzo dovute al gioco negoziale delle concessioni finali.
I venditori di successo hanno imparato a gestire questa obiezione, effettuando autoformazione su sè stessi e strutturando delle contromosse idonee.
Sanno benissimo che non possono aspettarsi entusiasmo dal buyer, quando affrontano l’argomento prezzo, e sono preparati a far lavorare a loro vantaggio anche il proprio inconscio, adottando atteggiamenti che li supportino, anzichè sabotarli.
Spesso anticipano l’obiezione, ed hanno modalità efficaci per gestirla.
Ecco alcune delle azioni che producono i migliori risultati:
Si posizionano fin dall’inizio della trattativa: “ … la nostra azienda non opera come l’azienda che concede i massimi sconti sul mercato, bensì come quella che fornisce il più elevato valore aggiunto. Mi auguro che ciò sia accettabile anche per voi.”
Se la risposta del buyer, anche inconscia e non esplicitata, è si, quest’ultimo avrà poi molte più difficoltà ad obiettare sul prezzo.
Se la risposta fosse no, in questo caso la trattativa probabilmente si sarebbe comunque arenata, prima o poi, proprio sul fattore prezzo.
In questo caso, è meglio saperlo prima di aver investito tempo, denaro e altre risorse nel processo.
Il venditore non arretra: “La tua reazione non mi sorprende: è la stessa che, inizialmente, hanno avuto l’azienda x, y, z, prima di diventare nostri clienti”.
Il venditore rafforza la propria posizione: “Dato che non siamo il fornitore dei massimi sconti, cosa credi abbia convinto i nostri 1.000 clienti a pagare un pò di più per il nostro prodotto?”
Un buyer nel settore dei beni di consumo durevoli, tempo fa ha fatto una confidato: “… io uso il test dello sconto ogni volta che parlo con un venditore.
E’ impressionante vedere come, nel processo di vendita, i venditori siano pronti ad arretrare e a dar via sconti extra, pur di aggiudicarsi il contratto.”

Quando siamo incalzati sul prezzo

Quando ci incalzano sul prezzo, fare domande aiuta a prendere fiato e riordinare le idee e, se siamo fortunati, ad avere informazioni da un interlocutore loquace, grazie alle quali sostenere meglio la nostra offerta.
· Con chi e con cosa sta confrontando il nostro prezzo?
· Che prezzo aveva in mente e come è arrivato a esso?
· È una questione di prezzo, o di disponibilità immediata? (quando la spesa è importante)
Sono domande semplici, banali, ma potenti . . . per chi sa ascoltare e argomentare.
In molti affiancamenti ci si mette le mani nei capelli per come il venditore si complica la vita.
Un esempio.
Il cliente dice “ho un prezzo inferiore” oppure “dall’altra parte mi fanno un po’ meno”.
La logica vorrebbe che il venditore chiedesse “che prezzo le fanno” piuttosto che “quanto meno”?
La realtà è ben diversa.
Ci sono venditori che senza chiedere quanto sia l’altro prezzo cominciano a spiegare il perché delle differenze, altri che dicono un laconico “ho capito” e tornano sulla loro offerta con una certa insistenza, altri che lanciano la sfida “non è possibile, mi dica dove, che vado a comprarmene 10”, e via così.
Sono pochi, veramente pochi, quelli che fanno immediatamente la domanda diretta, altri la fanno dopo aver preso altre 2 sberle , provando a riqualificare e riposizionarsi nella trattativa, alcuni non la fanno mai.
Perché? Perché hanno paura del “lo sapevo”.
Assurdo? Eppure è così.
Poi le domande possono continuare spostandosi dal solo prezzo e cominciando a mettere in gioco altri elementi utili alla trattativa.

· A che prezzo saresti disposto ad arrivare per avere . . . . (costo + valore) 
· Io so di poter soddisfare tutte le tue richieste, sei sicuro che anche loro potranno venirti incontro in questo modo . . .?

Ci sono venditori che ritengono queste domande squalificanti, perché il cliente deve capire che ha a che fare con dei professionisti, che non scadono in paragoni.
Liberi di farlo.
In un negozio di elettrodomestici ho assistito a questa chiusura di trattativa nella quale il prezzo che la cliente andava a pagare era  ben superiore a quello che avrebbe speso in una nota catena.
Il venditore che, per abilità o per fortuna, aveva avuto molte informazioni dalla sua controparte, a un certo punto disse più o meno così alla Cliente – che chiameremo Maria – “Signora Maria allora le ho fatto un po’ di sconto, le consegniamo tutto domani alle 15.00 come è comodo a lei, installazione completa e ci pensiamo noi a smaltire quello che ritiriamo a casa sua, e poi torniamo a visitarla tra 15 giorni per vedere se tutto funziona come lei desidera . . . degli altri lei ha in mano il prezzo del solo elettrodomestico, e il servizio che noi le offriamo dovrà comunque pagarlo anche da loro, e non è detto che alla fine lei spenderà di meno. Quel che è sicuro è che sarà molto difficile che possano farle la consegna domani . . .”
Inutile aggiungere che la Signora Maria comprò da loro.
Conosco la catena, anche aggiungendo consegna, installazione e ritiro, sarebbero stati comunque meno costosi.
Forse la Signora Maria era una sprovveduta, o più semplicemente servizio e cortesia, unite alle sue disponibilità economiche per poter far fronte alla spesa, avevano fatto buon gioco per il venditore.

Reagire alle avversità . . . resilienza e dintorni

 

Come si suol dire in questi casi “mai come in questo periodo le persone che lavorano nelle organizzazioni sentono una forte e costante pressione“, è sufficiente leggere la stampa specializzata, i blog dedicati o partecipare a qualche convegno sul tema.
Le parole più gettonate?
Cambiamento, complessità,  pressione e stress.
Questo non sorprende chi da anni opera nel coaching, in particolare non sorprende il “business coach“, ovvero colui che  svolge questa attività all’interno delle organizzazioni.
Più e più volte ci imbattiamo in persone che trascorrono gran parte del loro tempo a fronteggiare aspettative dall’apparente natura caotica, tipica di buona parte dei luoghi di lavoro, con il risultato di esprimere una capacità notevolmente ridotta nel porre in essere comportamenti costruttivi e di crescita.
Parlare del cambiamento, della sua rapidità, delle crescenti complessità che ne conseguono, significa affrontare temi sicuramente familiari ai più.
I feedback provenienti dai focus group, i risultati dei sondaggi rivolti alla  clientela, la redditività corrente, le quote e i prezzi, sono solo alcuni dei fattori che causano  reazioni veloci, capaci di avere immediata attenzione a un cambiamento che, molto probabilmente, è già ben oltre il percepito.
Essere adattabili e porre in essere nuovi approcci coerenti al verificarsi di nuove circostanze, permette di affrontare il cambiamento con maggior efficacia, a differenza di coloro che, piuttosto che cercare di adattarsi ai mutamenti, cercano di cambiare questi ultimi, e ciò che ne consegue, per adattarli a se stessi.
Aggiungiamo che la sfida della complessità è sintomatica dell’era dell’informazione, era in cui abbiamo così tanti dati da elaborare, che non siamo in grado di poter dare un senso a tutto.
L’indicazione più semplice e immediata è quella di concentrarsi solo su alcuni dati, sufficienti a darci un quadro soddisfacente.
Se è pur vero che abbiamo bisogno di un sacco di dati per prendere buone decisioni, è altrettanto vero che, la  nostra incapacità di elaborarne in grandi quantità,  ci potrebbe facilmente portare fuori strada, con la conseguenza di un impoverimento nelle decisioni.
La chiave per affrontare le complessità, sta nella nostra capacità di assumere le informazioni essenziali, allinearle con i punti chiave, al fine di dare, nel miglior modo possibile, un senso alle cose.
Quando il rapido cambiamento e la maggiore complessità viaggiano in coppia, e magari ci troviamo con un numero ridotto di dipendenti e un forte accento sulla produttività, non dobbiamo meravigliarci se gli individui si sentono sotto pressione, e lo stress conseguente, oltre a emergere, comincia a scandire i ritmi del lavoro.
Oggi più che mai si dice che la chiave per affrontare lo stress sia la resilienza, ovvero la capacità di gestire in modo efficace il proprio modo di essere, unitamente alla capacità di perseverare.
Vediamo persone sotto stress per tutto il tempo e, di fatto, gran parte del lavoro di un business coach, in questi ultimi tempi, è stato aiutare le persone a ricostruire la loro resilienza.
Il termine resilienza deriva dal latino “resalio”, iterativo del verbo “salio”, che in una delle sue accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare.
Il filosofo Khalil Gibran ha scritto: “Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
La resilienza è la chiave per poter far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, riorganizzando positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
Non è  solo capacità di resistere, ma anche di “ricostruire”la propria dimensione, il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova forza per superare le avversità.
Si tratta di un processo individuale, ovvero che si costruisce nella persona in base alla personalità, ai modelli di attaccamento e agli eventi della vita e, pertanto, si verifica in modo differente in ognuno di noi.
Molto spesso, infatti può capitare che, quando una persona che conosciamo si trova ad affrontare un evento particolarmente stressante, pensiamo “Io al suo posto non avrei avuto la forza di sopportarlo!”; tuttavia, come detto, tutto questo dipende dalle nostre esperienze, dai nostri apprendimenti, dalla nostra personalità.
Noi filtriamo ed elaboriamo gli eventi e i loro significati in modo differente, reagendovi e integrandoli nella memoria in modo altrettanto differente.
L’esposizione alle avversità sembra rafforzarle piuttosto che indebolirle.
Esse tendenzialmente sono ottimiste, flessibili e creative; sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze, grazie  alla capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità.
Le persone resilienti sono, in definitiva, coloro che, seppur immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza, riuscendo a raggiungere anche mete importanti.