La conversazione di vendita (oltre il prezzo e il prodotto)

La maggior parte delle conversazioni di vendita, inevitabilmente, seguono un percorso specifico, e abbastanza prevedibile: prodotto e prezzo.
Per migliorare le possibilità di acquisire un nuovo cliente dobbiamo cercare di coinvolgere l’acquirente in una conversazione che, partendo dalle sue sfide e dai suoi obiettivi, ci permetta di dirigerci verso soluzioni mirate, piuttosto che parlare quasi esclusivamente di caratteristiche, e specifiche, del prodotto o del servizio
Così come un cavallo ha la tendenza a tornare alla stalla, gli acquirenti, istintivamente e abitualmente, cercano di manovrare la conversazione puntando nella direzione del prodotto e, soprattutto, del prezzo.
Per il cliente concentrarsi in prima battuta su questi due aspetti non ha nulla a che fare con il reale bisogno del prodotto stesso, o con lo stabilire se è un “costo” che ci si può permettere; il tutto è perlopiù dettato dall’avere parametri che permettano un più semplice confronto con le soluzioni offerte da altri fornitori.
Dobbiamo ricordare che, quello che i clienti sanno chiedere meglio, sono proprio le informazioni sul prodotto e sul prezzo, argomenti per loro comodi e verso cui si dirigono con feroce determinazione.
Il “venditore” dovrebbe condurre la conversazione con la prospettiva di un dialogo significativo e produttivo, coinvolgendo il cliente in argomenti diversi dal solo prodotto e prezzo, facendo domande che aiutino quest’ultimo a riflettere, e non lo invitino unicamente a rispondere, facendo si che il potenziale compratore abbia voglia di interrogarsi e aprirsi con la persona che ha di fronte.
Più le domande non avranno risposte immediate, più  il cliente rifletterà, più la vendita si trasformerà in un processo di problem solving, spostando il focus dal prodotto-prezzo verso aspetti quali il chiedersi

  • che cosa dovremmo fare, che non stiamo facendo?
  • cosa stiamo facendo che noi non dovremmo fare?
  • che cosa ho bisogno di sapere che io non so?

Quando l’acquirente attraversa questo importante soglia, si instaura con il venditore un rapporto di maggior fiducia e, per tornare all’esempio del cavallo, sarà attratto più dalle possibilità, che dalla comodità del fienile.
Aperta la porta, al venditore non resta che presentare soluzioni che innanzitutto soddisfino la controparte e che, possibilmente, lo differenzino dai concorrenti.
Siamo sulla strada per un rapporto reciprocamente vantaggioso, strada che di rado riusciamo a percorrere se il focus sono quasi esclusivamente il prodotto e il prezzo.

3 punti chiave per costruire la fiducia

Per costruire la fiducia dobbiamo far ricorso alla nostra auto-consapevolezza e alla capacità di autogestirci che abbiamo acquisito nel corso degli anni.
Determinare il livello di fiducia che dobbiamo, o vogliamo, coltivare dipende dalla connessione, e dalla relazione, con cui ci identifichiamo con gli altri.
Diversa è la fiducia che concediamo al nostro barista abituale, a un collega di lavoro, al partner, ai figli, ecc., perché diverso è l’impegno nel rapporto, e diverse sono le soglie di attenzione, e le priorità, rispetto agli uni o agli altri.
Ogni nostra azione contribuisce a rafforzare o indebolire qualsiasi relazione, per questo dobbiamo essere consapevoli di tutto ciò che facciamo: più dimostriamo che siamo disposti a investire in un rapporto, più significativo diventerà.
La creazione di fiducia è il punto di partenza di ogni relazione: la fiducia che gli altri ripongono in noi, deriva dalla fiducia che noi riponiamo in loro, ecco perché, anziché invitare gli altri a fidarsi di noi, sarebbe bene chiedere loro cosa potreste fare per aumentare il vostro livello di fiducia, ascoltandone attentamente  la risposta.
Tra i punti chiave per costruire la fiducia ce ne sono 3 irrinunciabili.

Comunicazione aperta
La volontà di condividere noi stessi e ciò che è importante per noi con gli altri spesso ci aiuta a stabilire una comprensione comune, evitando fraintendimenti, affrontando positivamente le differenze, superando i conflitti.
Come si pensa a un problema è più importante del problema stesso, e se ci relazioniamo onestamente, e con il “cuore“, le azioni che ne scaturiranno saranno fonte per una crescita continua.
Una comunicazione aperta necessita di un “pensiero positivo” , per il solo fatto che i pensieri e gli atteggiamenti negativi non sono compatibili né con la felicità, né con il successo in senso lato.

Coerenza nelle parole, azioni e comportamenti
Fare quello che si dice, ovvero avere comportamenti coerenti con ciò che diciamo di essere, è la base fondamentale per generare fiducia.
Questo sia che si tratti di restituire una telefonata, essere puntuali a un appuntamento personale o professionale, o che sia la realizzazione di obiettivi a medio-lungo termine familiari-sociali-lavorativi.
Ognuno di questi impegni può consolidare o rompere un’amicizia o una relazione.
Non è una questione né di dimensione dell’impegno, né della sua importanza, ma di ciò che diciamo agli altri e se, e come, lo faremo.
Se si vuole essere presi sul serio, occorre comportarsi seriamente, se vogliamo essere considerati inaffidabili, se non addirittura bugiardi, comportiamoci esattamente all’opposto.
Un viaggio di successo non dipende solo dalla destinazione, ma dallo scoprire se stessi grazie ai posti di blocco che abbiamo trovato sulla strada
Le persone non operano in un vuoto, osservano e prendono esempio dagli altri, e in particolare osservano chi è “sopra” di loro traendo conclusioni e giudizi.
Se si è leader in un’organizzazione è indispensabile promuovere l’empatia quale valore fondamentale, dimostrando integrità nel comportamento personale.

Evitare di dare segnali contraddittori
Sia che si comunichi tramite la parola scritta, o a voce  è importante determinare il livello di precisione con cui gli altri ci percepiscono.
I segnali che inviamo alle persone nelle nostre relazioni sono costituiti dalla conversazione attiva e dal feedback.
Quando esprimiamo sentimenti, esprimiamo la nostra parte più vera e se tra quello che diciamo, e come lo diciamo (tono, postura, ecc.), c’è distonia, significa che le nostre parole non sono “sincere fino in fondo” e anche un bambino se ne accorgerà.
Quante volte mi sono sentito dire di si, mentre il corpo della persona esprimeva chiaramente un no, o ho sentito chi parlava di amore universale, con gli occhi e la vibrazione pervasi di rabbia e risentimento nei confronti di coloro a cui si rivolgeva.
Il vero guaio è che questi “distonici” della comunicazione si sentono degli eterni incompresi, e quindi sono sempre gli altri che non hanno capito o hanno frainteso.

Le persone si fidano di più di quello che vedono, che non di quello che sentono.
Le azioni e i comportamenti parlano più forte delle parole … quindi, anche i più abili manipolatori, vedranno, prima o poi, la loro maschera cadere.

Cinque chiavi per la leadership nelle vendite

 

Tra le cose più difficili nel business di oggi è riuscire a sviluppare una leadership nelle vendite.
In 30 anni ho avuto la possibilità di lavorare con un gran numero di “sales leader” (manager e non) e ho osservato che, aldilà delle normali differenze di personalità e carattere, tutte queste persone mettevano in pratica, ognuno a proprio modo e con il suo stile, alcune regole di base che, per quanto conosciute da tutti i venditori, vengono spesso tralasciate, trascurate o male applicate.

1. Non fissarsi solo sui risultati economici, ma pensare anche alla vitalità del proprio lavoro. Ricavi e margini sono parametri a cui ogni risorsa di vendita fa riferimento, e indicano le capacità di successo in chiusura. Ma c’è un altro lato della scala di valutazione, ed è rappresentato dalla vitalità, cioè dalla capacità di trovare e sviluppare prospect, dal monitorare con efficacia i clienti attivi, potenziali e passati. Il venditore leader si preoccupa sempre (per sé e per il suo team) del “serbatoio”.

2. Fornire una leadership visionaria. La maggior parte dei professionisti delle vendite sono cinici, quindi i leader si distinguono da loro in quanto capaci di trarre beneficio dal fatto di avere, e saper descrivere, una visione, per sé e per i membri della propria squadra, divenendo, agli occhi degli altri l’esempio di quella stessa visione.

3. Sviluppare il talento dei membri del proprio gruppo e essere il loro allenatore. Molti bravi (anche bravissimi) venditori non sono in grado di esprimere una vera leadership nei confronti di un team di vendita, questo perché non sono capaci di utilizzare le loro abilità, nel trattare e negoziare con i clienti, nel gestire un gruppo di persone con il quale si sentono in competizione: è quella che le vecchie volpi chiamano la “sindrome della primadonna”. Invece di guidare la squadra proponendosi come il modello migliore, ci si dovrebbe ingegnare nel cercare di scoprire e sviluppare i talenti delle proprie persone, allenandole come un vero coach.

4. Concentrarsi sulla creazione di valore nel processo di vendita. Il vero successo nella vendita non è in quello che si sta vendendo, ma è come lo si sta vendendo.  Creare valore richiede intuizioni, nuovi approcci e idee per risolvere i problemi e proporre le opportunità innovative, invece di limitarsi a una descrizione dei prodotti e dei servizi.

5. Prevedere quale potrebbe essere il processo di acquisto proprio di quel cliente. Di norma gli strumenti di previsione sono centrati su una serie di compiti che i venditori svolgono nel corso di un ciclo di vendita. Quello che troppo spesso manca è il punto di vista dell’acquirente e del suo processo decisionale. Se si vuole imparare e insegnare a vendere, occorre imparare da come i compratori acquistano. Rivedere una proposta insieme al cliente, è molto diverso che spiegarla, consegnarla o inviarla.

In molti potrebbero dire “tutto qui? ma queste cose io le so da sempre!!!”
La questione è che, queste persone, di norma, sanno benissimo cosa andrebbe fatto, ma non lo fanno!!!
Sapere le cose, ma non metterle in pratica, è come non sapere.

Quanto costa gestire male i collaboratori?

Non trovate sorprendente quanto la relazione tra un manager e un collaboratore influisca su quest’ultimo?
Quello che gli anglosassoni chiamano “Bad Management” è una delle principali fonti negative per il morale dei dipendenti, in quanto provoca stress che, di conseguenza, può portare a gravi problemi di salute per alcuni di loro.
I dipendenti non possono leggere nella mente dei datori di lavoro e molte volte i manager, che non hanno doti comunicative, li confondono.
Alcuni manager vanno sempre di  fretta e non si prendono il tempo per dare informazioni complete, mentre altri, molto più semplicemente, non sono adatti a dirigere.
Indipendentemente da questo, quando si mettono i collaboratori nella situazione di dover indovinare o supporre ciò si dovrebbe fare,  probabilmente, lo faranno male, impoverendo, di conseguenza, le loro prestazioni.
Il manager, a questo punto darà, con molta probabilità, la colpa al lavoratore per la sua confusione, provocandone così risentimento e rabbia.
Lo stress negativo, causato dalla cattiva gestione del contesto organizzativo, può essere debilitante a più livelli, riducendo l’energia e minando la salute, aumentando il turn over e facendo della retribuzione l’unica variabile per la propria scelta professionale.
Inoltre ne risentono la qualità, l’efficienza e quindi i costi.
Vi è necessità di una leadership che, soprattutto in momenti di turbolenza, rassicuri investitori e collaboratori.
Il capitale umano di un’organizzazione è la sua risorsa più importante, eppure un “bad manager” è un fattore significativo nella vita di molte persone, con evidenti conseguenze nelle loro relazioni.
Un campione di circa 12.000 interviste ci rivela che solo il 45% degli intervistati  parlerebbe col “bad manager”, il 18% si rivolgerebbe a un livello più alto per far presente la situazione e il 10% si licenzierebbe sui 2 piedi, mentre il 24% cercherebbe una diversa sistemazione all’interno della stessa azienda.
Solo meno della metà crede che la questione possa essere affrontata e risolta direttamente con la controparte.
Ma cosa fa di un manager, un cattivo manager?
Il 29% degli intervistati lo imputa all’incapacità di dare chiare direttive, il 26% punta il dito contro l’ingerenza nel proprio lavoro, il 20% nell’essere sminuito e non valorizzato, l’11% sulla mancanza di riconoscimenti e il 14% sull’indecisione e la volubilità.
Siamo in uno dei climi economicamente più duri degli ultimi 70 anni ed è doveroso rendersi conto dell’impatto finanziario di non avere manager adeguatamente preparati e qualificati nel gestire i collaboratori.
Migliorarne le competenze legate alle soft skills è quanto mai fondamentale.

 

7 errori grossolani nella vendita

Tutti facciamo degli errori, quando si tratta di vendere il nostro prodotto o servizio.
Questi vengono analizzati in tutti i corsi di vendita, più o meno in profondità.
Tra i più comuni e ricorrenti ve ne sono 7.
Devo ammettere che, anch’io, soprattutto agli inizi, li ho commessi praticamente tutti.


Errore  n. 1:

Lasciare il controllo del processo di vendita al cliente potenziale.
Il modo migliore per controllare l’interazione di vendita è  porre domande.
Questo è anche il modo migliore per conoscere se il nostro prodotto, o servizio, soddisfa le sue esigenze della.
Fare domande di qualità che scoprono questioni specifiche, problemi o obiettivi aziendali è essenziale per essere favorevolmente percepiti.

Errore n. 2:

Non avere informazioni sulla controparte e non cercarle al fine di prepararsi all’incontro
In altre parole, recarsi all’appuntamento unicamente per presentare se stessi e conoscere il cliente.
Invece di presentare una possibile soluzione ad un problema esistente, si trascorrerà l’intero incontro nel cercare di ottenere  informazioni generali dal cliente, rischiando di essere vissuti come disorganizzati e perditempo.
Questo approccio è uno dei più comuni errori di vendita.
Meglio investire il proprio tempo per avere le informazioni utili alla propria azione prima ancora di chiamare il prospect, sicuramente prima di presentarsi all’appuntamento.

Errore n 3: 


Parlare troppo.
Troppe venditori sembrano amare quasi esclusivamente il suono della propria voce, e si dilungano su caratteristiche e vantaggi del proprio prodotto e dell loro servizio, e così via.
Di recente, cercando una casa da comprare, mi sono imbattuto in una venditrice che si è dilungata nel raccontare da quanto tempo è nel business e di come lo conosce, decantando se stessa e  la casa che stavamo vedendo, mettendo i puntini sulle “i” in ogni passaggio.
In definitiva più parlava e meno mi convinceva, perciò l’ho garbatamente salutata con la netta impressione che alla signora, delle mie esigenze specifiche, non importasse nulla.
Invece di parlare a lungo di noi,  facciamo parlare il potenziale cliente della sua attività e di cosa potremmo fare per lui.


Errore n 4:


Dare le informazioni che per la nostra controparte sono irrilevanti.
Non c’è niente di peggio per un “compratore” dell’essere sottoposto a presentazioni in cui gli innumerevoli dettagli sembrano farlo allontanare dal focus delle sua necessità .
A lui interessa cosa potrà ottenere da noi e come il nostro prodotto, o servizio, potrà essere per lui un risultato utile; parlargli degli eventuali supporti finanziari, o di come altri clienti si sono giovati di noi, ammesso e non concesso che sia pertinente, ha senso solo quando lui comincia a credere che quello di cui gli parliamo potrebbe fare al caso suo.


Errore n 5:


Farsi cogliere di sorpresa.
Essere richiamati da un prospect che avevamo contattato noi, non essere preparati sulla sua realtà, e finire nell’imbuto di dover rispondere alle sue domande, anziché portare a casa delle risposte.
Come nell’errore n 1 abbiamo perso il controllo, e quindi la padronanza, del processo di vendita.
Per quanto possiamo essere esperti e capaci sarebbe sempre meglio avere una lista di controllo a portata di mano; il più delle volte probabilmente non servirà, ma ogni tanto ci aiuterà a uscire dall’angolo in una di quelle giornate no.
Tutti vogliamo fare una buona impressione, ma il sentirsi e il sembrare impreparati sono la tomba di questo nostro desiderio.


Errore n 6:


Non chiedere di comprare.
Così come nel ballo c’è chi porta e guida, anche nella vendita vale lo stesso criterio.
Non chiedere alla fine di una presentazione, significa rimanere in un limbo in cui abbiamo lasciato all’altro il condurre la danza.
Se si svolge un’attività di vendita si ha “l’obbligo” di chiedere al cliente un impegno, soprattutto se si è investito del tempo nel valutare le sue esigenze e nel cercarne le soluzioni.
Molti pensano di essere invadenti, ma se la richiesta è fatta con garbo, e l’altra parte la vive come un invito a esprimersi e non come una forzatura, le possibilità che possa rispondere favorevolmente sono maggiori, che non il restare in attesa.


Errore n 7:


Non cercare nuovi clienti.
Questo è uno degli errori più comuni: quando gli affari vanno bene molte persone smettono di fare prospezione, pensando che il flusso di lavoro continuerà.

Anche il più esperto professionista delle vendite cade in questi errori di tanto in tanto.
Evitarli, o quantomeno contenerli, significa aumentare le probabilità di chiudere una vendita.