Leadership: oltre il gioco a somma zero

In The Power of Purpose (Vivere bene, facendo del bene – 2007) Peter Temes inizia con una semplice ma notevole affermazione: “Quanto più ci si concentra su come aiutare gli altri, tanto più si riuscirà a raggiungere i propri obiettivi“.
Al centro di questo libro ci sono tre livelli di pensiero:

  1. Chi sono io e cosa voglio?
  2. Gli altri cosa/chi pensano che io sia e come li vedo?
  3. Come gli altri guardano a se stessi e come posso aiutarli a diventare quello che desiderano essere?

Secondo Temes la vera magia accade quando giungiamo al terzo livello, dimenticando noi stessi, ponendoci quelle domande che danno un forte senso di scopo alla nostra vita.
La base di questo livello non è  ciò che conta per me , ma ciò che conta per gli altri.
Aristotele affermava che la felicità non è uno stato psicologico, ma una morale derivante dal fare del bene nel mondo.
Vivere il terzo livello, sia personalmente che professionalmente, porta a una migliore gestione della fiducia e del team building in ogni ambito della vita, dalla famiglia al lavoro.

Quando si arriva ad andare oltre il modello del gioco a somma zero (idea per la quale se uno vince, qualcun altro deve perdere), si può cominciare a vedere l’enorme potere che deriva dal condividere la propria forza con gli altri.
Tale intuizione, e la forza morale che viene dall’aiutare gli altri, sono i più grandi regali che possiamo dare a noi stessi, e segnano il percorso più chiaro per il successo. “

Capire le esigenze del prospect

Aumentare la nostra empatia, al fine di comprendere meglio i bisogni, gli interessi e i desideri del prospect, è la base per riuscire a dargli quello che vuole.
Scoprire cosa vuole comprare e a quali condizioni, fare domande intelligenti e ascoltare le risposte che ci vengono date, sono gli strumenti più efficaci per aprire la mente e il cuore del nostro interlocutore.
Per quanto sulla teoria si sia tutti d’accordo, troppi venditori hanno idee non proprio corrette sul significato delle parole “chiedere e ascoltare”.
Spesso le domande sono avulse dalla realtà e l’ascolto latita.
Chiedere vuol innanzitutto dire fare le domande giuste dal punto di vista del cliente, ascoltare significa prestare attenzione non solo a quello che viene detto, ma anche a come viene detto.
Troppi venditori utilizzano il tempo di ascolto per pensare a cosa dire.
L’egocentrismo non è nel nostro interesse se vogliamo avere successo dove altri potrebbero fallire ripetutamente.
Per fare i propri interessi occorre innanzitutto fare gli interessi del cliente.
Se tutto quello di cui vogliamo parlare sono i nostri prodotti, le loro caratteristiche, l’efficienza della nostra organizzazione, non stupiamoci se incontreremo, sin dall’inizio, una forte resistenza all’ascolto e conseguentemente all’acquisto.
Se ci si concentra invece sugli interessi – bisogni – desideri della controparte, noteremo immediatamente una chiara differenza di apertura nei nostri confronti.
Per fornire valore al prospect dobbiamo, prima di tutto, vedere noi stessi come una risorsa per lui; non siamo distributori automatici di prodotti e servizi, ma creatori di valore per coloro che ci incontrano.
Chiaramente occorre che il cliente ci percepisca come generatori di valore.
Perché ciò avvenga è fondamentale comprendere il sistema di valori di ogni singolo prospect.
Ci sono numerose liste che indicano come migliorare la capacità di ascolto.
Qui ci limiteremo a ricordare di aprire la mente, il cuore e le orecchie (diventando così veramente ricettivi a quanto l’altra persona ci sta presentando) di dare piena attenzione – non interrompendo, ma essendo interrompibili -, di utilizzare domande che incoraggino la persona a parlare.
In definitiva dobbiamo agire per evitare di dover sempre e solo reagire.

7 verifiche per una proposta di valore

Tutti vorremmo scrivere una proposta di valore, capace di impressionare il potenziale cliente.
Le 7  domande che seguono sono un ottimo percorso di verifica a cui dovremmo rispondere ogni volta che vorremo testare il valore della nostra proposta e il suo possibile impatto su chi la leggerà.

(1) È diversa? Si distingue da un’analoga proposta – molte volte copia e incolla – sia essa nostra o dei nostri concorrenti? Abbiamo definito una strategia di differenziazione?Quello che facciamo noi e come lo facciamo noi, lo possono fare anche gli altri?

(2) È interessante? Se non è in grado di incidere  sulla  loro visione e sugli obiettivi dei decisori, difficilmente riusciremo a convincerli.
Se non agiamo per convincere, non produrremo una proposta efficace.

(3) È su misura? Per quanto ogni proposta parta da presupposti generali, riconducibili a controparti similari al cliente, è necessario creare  proposte di valore, su misura per le sue esigenze. Se non sarà adeguata alle esigenze proprie della controparte, non sarà convincente.

(4) È misurabile? La nostra proposta  deve essere misurabile. Non è necessario impostare una complicata analisi di ritorno degli investimenti, ma deve comunque descrivere come si intendono misurare i risultati  – dell’efficienza e dell’efficacia – del nostro contributo.

(5) È limitata nel tempo? Tempo utilizzato non solo come offerta valida entro il, ma cercando di descrivere l’eventuale costo dell’inazione da parte del decisore, ovvero il guadagno di un’azione tempestiva. Non è questione di fare fretta, ma di descrivere i vantaggi del decidere con urgenza.

(6) È facile da ricordare? Più è complessa e complicata, più sarà difficile da ricordare.  È indispensabile che proposte complesse abbiano sempre una parte che potremo chiamare “riassunto – risultati attesi – ecc.” e che sia capace di ribadire con semplicità il valore che siamo in grado di creare.

(7) È difendibile? I decisori scelgono in funzione delle necessità e della prosperità della propria azienda. Quanto più chiaramente e sinteticamente sarà per noi possibile definire il “nostro valore”, e quanto più questo sarà legato alle loro iniziative strategiche e ai loro risultati, tanto più la nostra proposta sarà facile da difendere. Ricordiamoci, non saremo lì quando loro decideranno.

Prendiamo una nostra proposta, sottoponiamola alla verifica di queste 7 domande.
Sicuramente, troveremo molti spunti per poterci migliorare.
Fare centro o non fare centro?

La lezione di Napoleone

Napoleone riesce ancora a ottenere attenzione.
Nel libro Napoleone Project Management (2006), Jerry Manus sviluppa in modo efficace alcune lezioni pratiche della carriera del leader francese.
Al centro della sua analisi ci sono sei principi vincenti di Napoleone .
Questi principi possono essere una bussola.
Manus osserva che essi lavorano insieme alimentandosi l’un l’altro.
Essi sono:
Esattezza: la consapevolezza, la ricerca e la pianificazione continua
Velocità: nel ridurre le resistenze
Flessibilità: adattabilità per un team building forte e unito
Semplicità: obiettivi chiari,messaggi e processi semplici
Carattere: integrità, calma e responsabilità
Forza Morale: per poter dare ordini, obiettivi, riconoscimenti e ricompense

Secondo Manus  la caduta di Napoleone è dovuta, però, ad alcuni di questi stessi fattori.
Egli ci indica quattro segni premonitori che egli avrebbe dovuto, e a nostra volta noi dovremmo,saper cogliere.
L’eccesso di  potere, l’eccesso di zelo ossessivo, la scarsità di efficacia nella leadership (causa di disordine  e sfiducia), e uno stile di vita squilibrato.
Se ci isoliamo, presi da un eccesso di onnipotenza, arrivando a dimenticarci di coinvolgere nelle decisioni importanti le parti interessate, ci volteremo e un giorno non ci sarà più nessuno dietro di noi.
E con nessuno dietro di noi non sarà più possibile, nemmeno lontanamente, poterci definire dei leader.