“La creatività è una follia divina … un dono degli dei.” Platone.
Ma le persone creative hanno più probabilità di avere problemi di salute mentale?
Qui i medici e gli scienziati sono divisi: c’è chi dice di sì, chi dice no.
“La creatività è una follia divina … un dono degli dei.” Platone.
Ma le persone creative hanno più probabilità di avere problemi di salute mentale?
Qui i medici e gli scienziati sono divisi: c’è chi dice di sì, chi dice no.
Alcune persone pensano alla disciplina come a un vincolo.
I venditori intelligenti la vedono però come uno strumento che impedisce loro di sabotare i futuri successi.
La disciplina libera i venditori dagli errori che possono paralizzare i loro migliori sforzi, quali le perdite di tempo che non portano a nessun closing.
Meglio di qualunque altro strumento, la disciplina rimuove i paraocchi di auto-inganno che utilizziamo per illuderci di essere più produttivi di quello che veramente siamo.
L’aggiunta di autodisciplina ci consente maggiore efficacia anche nel migliorare i risultati dei nostri KPI.
Le persone che eccellono misurano regolarmente i loro KPI (giornalmente, settimanalmente, mensilmente).
Misurano gli indicatori anticipatori (ovvero i comportamenti completamente sotto il loro controllo) e gli indicatori di ritardo di sviluppo (comportamenti non completamente sotto il,loro comtrollo).
I venditori intelligenti, e disciplinati, sanno dove, e come, spendere i loro sforzi.
Sanno che il 20% dei loro prospect comprerà da loro indipendentemente da quello che faranno e diranno.
In egual misura ci sarà un 20% che non comprerà da loro.
Così lavorano duramente per conquistare le aziende e le organizzazioni che compongono il restante 60%.
Nelle vendite la responsabilità è fondamentale.
Essere disciplinati e monitorare i propri KPI renderà più facile impostare, e monitorare, gli obiettivi di vendita.
Ti consideri un venditore disciplinato?
Recentemente sono stato chiamato da una persona di un istituto bancario con il quale intrattengo, da tempo, dei rapporti.
La telefonata è cominciata con una serie di domande che, stranamente, erano indirizzate a “capire chi ero“.
A quel punto ho pensato si potesse trattare di un operatore di call center.
Mi ha dapprima ringraziato per la mia attività, per poi chiedermi se potevo dedicargli qualche minuto affinché potesse spiegarmi come avrei potuto migliorare la mia operatività.
Alla mia domanda diretta se stesse cercando di vendermi un prodotto o un servizio, mi ha risposto che non era li per vendere, ma per darmi unicamente dei consigli.
Siccome sono curioso, e avevo qualche minuto a disposizione, ho deciso di dargli ascolto.
In realtà l’inizio assomigliava più a un interrogatorio, che a una conversazione.
Sono stato sottoposto a una serie di domande quali “siamo la sua banca principale?”, “è soddisfatto del servizio che riceve?”, “opera prevalentemente con carta di credito, carta di debito, assegni o si reca spesso in filiale?”.
Non sapevo se ridere o piangere, ma stoppai la mia controparte chiedendole se aveva conosceva il mio profilo e, di conseguenza, la mia posizione.
Risposta affermativa, supportata dal fatto che aveva la mia posizione proprio sotto agli occhi.
Al che ho detto “se è come mi sta dicendo, devo supporre che lei abbia già le risposte alle domande che mi ha appena fatto?“.
Con tono un po’ brusco mi sottolineò che in realtà lei aveva una schermata riassuntiva e che chiedere a me direttamente la riteneva la via migliore, anche perché la più breve e immediata.
Ora non vorrei dire, ma se ci proponiamo come “dispensatori di consigli” dovremmo anche convenire che per “una vera, o presunta, personalizzazione credibile” bisognerebbe, quantomeno, se non conoscere il cliente, sapere chi è e come utilizza i nostri servizi.
Se avesse dato uno sguardo al mio profilo, e ai miei conti, avrebbe visto immediatamente la mia operatività prevalente, potendo così farmi una domanda apparentemente personale “vedo che lei opera prevalentemente utilizzando . . . .” aggiungendo poi la domanda, o considerazione, più appropriate.
Probabilmente avrebbe avuto la mia attenzione, invece della mia domanda provocatoria.
Sentendosi dire che “non capivo quale buon consiglio avrebbe potuto darmi, visto che non aveva idea di come operassi“, il mio interlocutore pensò bene di chiudere la telefonata, non prima di avermi fatto notare, con tono molto seccato, che “forse non era un buon momento per parlare con me“.
Non ho ricevuto alcun buon consiglio, ma a quanto pare a causa mia!
Permettetemi una semplice domanda “perché sprecare inchiostro in messaggi di marketing se poi non si aiutano le proprie persone a capire, in realtà, che cosa un buon servizio dovrebbe comportare“?
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Molti, se non troppi, venditori si sentono confusi, frustrati, sconfitti da quella che ritengono essere un’obiezione quasi insormontabile “sono soddisfatto del mio attuale fornitore-venditore; è da anni che facciamo affari insieme e non vedo motivo di cambiare“.
Ma questa non è un’obiezione, è un dato di fatto che dovrebbe essere previsto.
Purtroppo si vive nell’illusione che gli altri siano lì ad aspettarci.
Pensate veramente che il prospect sia lì, senza un fornitore o un venditore, ad aspettare la vostra chiamata?
Non pensate che, se fosse infelice della sua attuale controparte, molto probabilmente avrebbe già fatto qualcosa al riguardo, magari chiamando voi o un vostro concorrente?
Che i prospect possano essere soddisfatti di coloro con cui lavorano lo si dovrebbe supporre ancor prima di mettersi in contatto, purtroppo i più sperano di sentirsi dire proprio il contrario.
Se ci si sente dire “ho già un fornitore e non vedo motivo di cambiare” è sufficiente rispondere “certo, questo lo immaginavo, così come credo che lei sia soddisfatto“, evitando i terreni paludosi del proporsi immediatamente come possibile alternativa.
Spostare la conversazione dal “loro fornitore” al motivo della chiamata è compito del venditore, non del prospect.
Perché chiamate?
Per conoscerlo, per farvi conoscere, per vendere, per capire come sceglie i suoi fornitori, o per cos’altro?
Chiedetegli il tempo per un breve incontro in cui dare informazioni che potrebbero essergli utili, dichiarando apertamente che, se anche non lavorerete insieme, sarete comunque “felici” di poter condividere le vostre idee con lui.
D’altronde una porta può essere chiusa a tripla mandata, ma anche no.
È sufficiente ricordarsi che gli insoddisfatti, a differenza delle persone soddisfatte, fanno normalmente più fatica a lasciare entrare chi si propone loro come alternativa alla propria insoddisfazione.
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