Vendere: 7 modi per costruire la fiducia

In una situazione di vendita ognuno di noi sie è trovato, almeno una volta, nella posizione in cui ha dubitato di se stesso come venditore, e sulle proprie capacità nel vendere. 

È normale.

Ricordo due momenti di forte cambiamento (il primo alla fine degli anno 90 e il secondo circa 5/6 anni fa) in cui mi sono seriamente chiesto se “non fossi più capace di vendere“.

Forunatamente, vuoi per il lavoro di formatore e sales coach, vuoi per alcune persone (chiamarle menti illuminanti sarebbe più corretto) con le quali ho avuto il privilegio di condividere una parte del mio percorso in questa vita, ho potuto superare questi momenti non proprio tranquilli.

Darsi poche e semplici regole, ma soprattutto rispettarle, sono le basi dell’equilibrio interiore, e quindi della serenità, in qualunque frangente ci si trovi a dover vendere se stessi, piuttosto che prodotti o servizi.

1. Fare la cosa giusta – vivere una vita integra è un ottimo modo per costruire, e rinsaldare, la fiducia in se stessi e, per quanto non sia una decisione facile, ci permette di muoverci su basi di solide, portandoci il rispetto altrui e consentendoci di espandere la nostra sfera di influenza.

2. Disponibilità ad apprendere – sia che abbiamo 20 anni, piuttosto che 90, c’è sempre da imparare. Imparare dai propri errori, sviluppare nuove competenze, cercare mentori e chi ci può consigliare. Più siamo veri, quindi all’apparenza vulnerabili, più le persone si avvicineranno a noi. Vendere è ancora oggi, nell’era di internet, un incontro fra persone

3. Fiducia in se stessi – ognuno di noi ha valore, e ognuno di noi ha i propri talenti. Ci possiamo svegliare la mattina cupi per la giornata che ci attende, o felici per aver aperto gli occhi. Quello che ci aspetta è la, come lo approcciamo è affar nostro.

4. Agire – anche se ci sono i detrattori della chiamata a freddo, i migliori venditori fanno ancora squillare i telefoni. Cambiano gli approcci, cambiano i messaggi, si anticipa il proprio “arrivo” con mail o sms, ma se si ha qualcosa di “prezioso” da offrire, le altre persone sono ancora disponibili a parlare con noi.

5. Essere uno specialista – significa conoscere bene i propri prodotti e servizi, la propria azienda, i concorrenti, il mercato in cui si deve vendere e, per i più competenti, il mercato in cui si muove, e deve vendere, il cliente. Lo specialista argomenta, il competente attira a sé gli altri e apre loro le porte per sviluppare nuovi business.

6. Non deludere le aspettative – la vendita risente spesso dei conflitti interni del fornitore. Vendere una falsa promessa (tipo implementazione in due settimane quando si sa che ce ne vogliono almeno 4) significa far sprecare tempo e generare danni.

7. Obiettivi raggiungibili – fissarsi o fissare obiettivi non raggiungibili è stupido e frustrante

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà,  potete chiamare lo 02.498.70.21 chiedendo di Oliviero Castellani o inviare una mail

Intervista: la vendita inizia con una domanda

L’intervista a un cliente da il la alla vendita; vendere è un’attività che non inizia quando rispondiamo, ma quando facciamo la prima domanda.

Per molti venditori questo può sembrare un controsenso, soprattutto per quelli che pensano che vendere sia parlare per spiegare e parlare per convincere.

Se un cliente desiderasse una conversazione a senso unico, in cui vendere sia riconducibile unicamente alla performance di chi “magnifica” se stesso e la propria azienda, piuttosto che il proprio prodotto o servizio, non dovrebbe far altro che visitarne il sito web. 

Otterrebbe le stesse informazioni, risparmierebbe tempo, eviterebbe i bla bla bla.

Infatti sono molto alte le probabilità di avere a che fare con chi ha visitato il nostro sito prima di incontrarci, o ha cercato informazioni in rete su di noi e sulla nostra concorrenza.

Pertanto a cosa servirebbe cercare di vendere se non si è in grado di offrire un briciolo di valore in più del nostro sito web, come potremmo aiutare il cliente a decidere per noi?

Agire in questo modo genera raramente attenzione e interesse.

Se il cliente ci fa una domanda, rispondiamo (domandare è lecito, rispondere è cortesia), ma cerchiamo di guadagnarci, a fine risposta, il diritto di porre una prima domanda che ci indirizzi a capire perché come mai questa persona è di fronte a noi.

Daltronde per aiutarlo non possiamo “non farci i fatti suoi”.

E se la domanda, anziché cercare solo una risposta, riuscisse a far riflettere il cliente, allora la sua soglia di attenzione nei nostri confronti aumenterebbe; se creiamo una scintilla di interesse nella mente del prospect, ne aumentiamo il livello di impegno con noi, ed è da questo momento che si sta cominciando a vendere, perchè passiamo da un monologo a una conversazione.

L’intervista è l’abilità di fare domande a cui il cliente ritiene utile rispondere

Se le domande che un cliente riceve sono sempre le stesse, fatte da venditori stereotipati e dediti solo al proprio interesse, e cioè  al “vendere-vendere-vendere”, non è più un’intervista, ma un interrogatorio, e le risposte che si otterranno saranno sempre le stesse.

Così come chi vende ha il suo “format – script”, anche chi compra ha imparato a sviluppare un proprio “format – script”; a questo punto non c’è da meravigliarsi se più del 75% dei tentativi finisce nell’area del rinvio gentile, ovvero in “nessuna decisione”

Un conto è parlare di noi, un conto è parlare di lui perchè parli con noi. (non è un gioco di parole)

Il comportamento di vendita che ogni venditore può padroneggiare è semplice: chiedi, non raccontare!

Intervistare è la scelta tra coinvolgere immediatamente l’attenzione e le energie di compra, o agire per sprecarne tempo. 

Da come iniziamo il rapporto con una prospect decidiamo le nostre possibilità di vendere.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

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Coaching: team – cambiamento e transizione

coaching:

team - cambiamento & transizione

 

Coaching: ecco 3 chiavi per allenare la propria squadra nelle fasi di cambiamento e transizione.

Abbiamo visto più cambiamenti negli ultimi dieci anni rispetto a quelli che i nostri nonni hanno visto nell’arco della loro vita. 

Il mondo sta cambiando, la tecnologia sta cambiando, le abitudini di consumo dei clienti stanno cambiando, le organizzazioni stanno cambiando, ma la persone, in quanto tali, molto-molto meno e con grande fatica.

Ecco perché le situazioni di stress sono molto alte: la necessità di cambiare alza la tensione. 

Non c’è dubbio che è più facile pianificare il cambiamento, che gestire le persone nel corso della sua attuazione. 

Il cambiamento è necessario, in un mondo che cambia costantemente, ma, se gestito male, può generare un sensibile calo nella produttività.

La crescita sostenibile richiede una costante innovazione.

Per questo, manager e leader, quando pongono in essere un’attività di coaching, non possono dimenticare che:

1) Le persone non cambiano, vivono delle transizioni a cui si devono adattare. Ecco perché chi esercita un’attività di coaching, soprattutto in fasi di forte cambiamento, deve prendersi il tempo per allenare, e accompagnare, i colleghi, anziché semplicemente aspettarsi che si allineino al cambiamento solo perché vien detto loro di farlo. Chi fa coaching sa che la transizione è un processo psicologico che si sviluppa in 3 fasi:

  1. Uscita – in cui si abbandona la precedente prospettiva e modo di fare
  2. Sospensione – una sorta di “terra di nessuno” tra la vecchia realtà e quello che riserverà il futuro
  3. Nuovo inizio – ricominciare da capo con passione, come se si trattasse di avere una nuova identità

 

2) Interessi “diversi” per persone “diverse”. In una team in cui ci sono differenti modi di comportarsi, ci saranno sicuramente differenti modalità d’approccio. Fare coaching richiede di comprendere le diverse esigenze legate ai differenti comportamenti, al fine di aiutare al meglio le persone nella fase di transizione. Può capitare che un membro del team, alla luce del cambiamento, ritenga di non essere più adeguato a ricoprire il ruolo. Fare coaching richiede al manager di essere aperto e aiutare il collega ad avere successo altrove (all’interno dell’organizzazione o meno). Meglio aver un membro del team ingaggiato altrove, piuttosto che demotivato e “improduttivo”.

3) Cultura di coaching. Il cambiamento continuo richiede apprendimento continuo. Le organizzazioni hanno bisogno di incorporare una cultura di coaching che dia ai propri manager le competenze utili  ad evolvere, praticando l’apprendimento continuo, abbracciarndo le nuove idee e l’innovazione per servire le mutevoli esigenze dei clienti. Andare oltre la propria zona di comfort (non solo dirigere, ma sostenere) è la sfida utile a bilanciare l’urgenza del cambiamento con il coaching strategico delle persone in fase di transizione, al fine di dar vita a una trasformazione organizzativa efficace. 

 

Allenare il proprio team, allineandoci con un coaching che corrisponde alla natura delle persone che vi fanno parte, significa aiutare il team nel mettersi a proprio agio con la trasformazione in corso.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

 

Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà,  potete chiamare lo 02.498.70.21 chiedendo di Oliviero Castellani o inviare una mail