IKEA style e il suo effetto nella vendita consultiva

di Oliviero Castellani

Il fondatore di Ikea, Ingvar Kamprad, inventò mobili flat pack dopo aver notato un signore che cercava di togliere le gambe del tavolo prima di caricarlo nella sua Volvo.

Creando IKEA, Kamprad ha cambiato la dinamica del mercato di massa dando vita al processo psicologico chiamato  “The IKEA Effect”, processo che descrive il valore più elevato che il consumatore attribuisce a prodotti che, in parte, ha contribuito a creare.

Mi piace definire la consulenza e la vendita come processi di cambiamento, che molto spesso, accompagnano il cliente con quei sentimenti di “paura” e “incertezza” legati alla possibilità di un acquisto sbagliato.

Il compito di consulenti commerciali e venditori è gestire questo cambiamento, portando il cliente da “A” a “B” con competenza, empatia e determinazione.

Quando costruiamo una proposta, abbiamo due scelte:

  1. Il consulente/venditore costruisce l’intera vendita

    Questo è il classico approccio adottato dalla maggioranza dei venditori e dei consulenti commerciali; fatta eccezione per la risposta ad alcune domande, e l’eventuale feedback, il cliente non fa praticamente nulla.

    Chi “vende” scopre i criteri di acquisto, utilizza tali informazioni per formulare una proposta, ottiene il consenso e chiude l’affare.

    Il 90-100% dell’attività è svolta dal proponente.

  2. L’acquirente aiuta attivamente a costruire la vendita (l’effetto IKEA)

    Questo è quando diamo parte della responsabilità della vendita al cliente stesso, anziché fare tutto da soli; è l’equivalente del cliente che si rimbocca le maniche e che aiuta a costruire il suo guardaroba.

Nelle cosiddette trattative complesse, e/o articolate, l’effetto IKEA si esprime al meglio, perché progettare e definire una soluzione insieme al cliente genera coinvolgimento e condivisione, consentendo di valutare – in itinere – pro e contro del cambiamento non solo dal punto di vista del prodotto o della soluzione, ma anche dell’impatto che il nostro intervento avrà sulla sua organizzazione e sul suo business, piuttosto che sulla sua vita e sulla sua famiglia.

Dipende sempre dal cliente che abbiamo di fronte.

A volte un acquirente ha solo bisogno di risolvere rapidamente un problema, in questo caso l’effetto IKEA potrebbe essere controproducente.

Altre volte potremmo avere a che fare con persone incerte, che hanno bisogno di essere rassicurate: in questo caso l’effetto IKEA potrebbe essere perfetto.

Ecco due scenari riconducibili a due differenti richieste relative ad attività di public speaking:

  • Cliente A:

    Vuole che il consulente prepari unicamente “scaletta e slide” degli argomenti che saranno oggetto del suo intervento. Se la scaletta è coerente, e le slide hanno i giusti riferimenti ed effetti, questo cliente sarà soddisfatto del lavoro e del materiale che gli sono stati forniti per raggiungere i suoi obiettivi.

  • Cliente B:

    Il cliente non vuole solo “scaletta e slide”, ma chiede di essere aiutato nel creare un’apertura ad effetto, a interagire col pubblico, a progettare l’intervento passo passo, all’essere supportato fuori campo da un suggeritore, ecc.  Nella soddisfazione di questo cliente “scaletta e slide” avranno un peso marginale,  saranno invece determinanti il sostegno e il supporto ricevuti grazie al nostro effetto IKEA.

Il punto è l'essere consapevoli di quale approccio funziona meglio per ogni cliente.

Non si tratta di noi, si tratta di lui.

Cercare di collaborare con il cliente sbagliato potrebbe essere un disastro.

Allo stesso modo, cercare la “soluzione rapida” con qualcuno che è incerto, potrebbe essere una mossa fatale.

Una cosa è vera: applicare l’effetto IKEA nelle giuste circostanze significa godere di partnership più forti e redditizie che resisteranno alla prova del tempo e della concorrenza.

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Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà,  potete chiamare lo 02.498.70.21
chiedendo di Oliviero Castellani
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Feedback e Manager

di Oliviero Castellani

In un approfondimento apparso in Harvard Business Review si sostiene che il feedback, sia positivo che negativo, è essenziale per aiutare i manager a migliorare le loro qualità, e affrontare le loro “debolezze”, in modo che possano eccellere nella leadership, sottolineando che:

Un feedback duro non aiuta le persone a prosperare ed eccellere.

  • In effetti, una critica efficace deve essere espressa con rispetto e attenzione. Commenti frequenti, o esclusivamente negativi, potrebbero innescare reazioni difensive che, offuscando le percezioni, smorzerebbero la motivazione.

Il feedback positivo è fondamentale per l'apprendimento.

  • Le persone spesso notano rapidamente cosa c’è che non va, ma è altrettanto importante prestare attenzione e fornire input su ciò che sta funzionando.

Dire a qualcuno come risolvere un problema è spesso l'approccio sbagliato.

  • Meglio sarebbe promuovere una maggior consapevolezza, ponendo domande che, stimolando la riflessione, indirizzino le persone nell’esplorazione e nella sperimentazione.

Per quanto un feedback fornito da un essere umano non sarà mai “puramente” obiettivo, sapere come gli altri la vedono, e la vivono, è incredibilmente prezioso, poiché le persone prendono decisioni (su chi ascoltare, con chi collaborare, di chi fidarsi, chi supportare e promuovere) in base alle loro percezioni.

Vi è una scuola di pensiero che invita a concentrarsi solo sui “punti di forza” (feedback positivi), perché le critiche (feedback negativi), per quanto costruttive, non aiutano le persone a eccellere, ostacolandone l’apprendimento.

In realtà, concentrarsi solo sui punti di forza, significa indurre a credere che non ci siano aree in cui dover migliorare, con il possibile rischio di compromettere l’efficacia dell’organizzazione.

Quindi, invece di incoraggiare le persone a evitare i feedback negativi, dovremmo concentrarci su come fornire feedback negativi nel modo più neutro possibile.

Descrivere l’accaduto (fatto e comportamento) e le conseguenze (impatto) che si sono registrate.

Ecco un esempio: “Nella riunione di questa mattina,, mentre stavamo discutendo le strategie per promuovere la nuova campagna, hai interrotto Marina mentre parlava e le hai detto: “Questa idea non funzionerà mai”, prima che avesse la possibilità di finire. Da quel momento lei si è zittita, ed anche Franco, solitamente partecipativo, ha scelto di non condividere le proprie idee, preferendo inviarmi una nota con le sue osservazioni”.

Tale feedback non è giudicante, non è generalizzato e non attacca il comportamento.

Evidenziando il fatto, e le sue conseguenze, è possibile che il feedback negativo venga ascoltato e considerato, piuttosto che rifiutato sulla difensiva.

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