“Per ogni vendita che manchiamo perché siamo troppo persistenti, ne mancheremo cento perché non lo saremo abbastanza”.
Chi è chiamato a guidare un team di consulenti e commerciali sa che il successo nella conversione di clienti potenziali, soprattutto di lead in entrata, richiede persistenza.
Consideriamo queste statistiche:
1. Il consulente – commerciale medio fa solo 2 tentativi per raggiungere un potenziale cliente.
2. L’80% delle vendite richiede 5 tentativi di follow-up dopo una riunione, incontro con il prospect.
3. Il 44% dei consulenti – commerciali abbandona il lead dopo 1 solo tentativo di follow-up.
Perché le persone si arrendono così facilmente?
Passare a qualcosa di nuovo è per certi versi più interessante che chiamare le stesse persone con lo stesso messaggio.
E questo è il problema: fare sempre la stessa cosa.
Applichiamo anche ai follow up la Regola del 3:
Se non permettiamo al nostro interlocutore di abituarsi a noi permetteremo alla frenesia della nostra ansia da prestazione di prendere il sopravvento.
Cosa fa di un venditore un top performer?
Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?
In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .
si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!
Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà, potete chiamare lo 02.498.70.21
chiedendo di Oliviero Castellani
o inviare una mail
Leggiamo spesso degli atteggiamenti, delle abilità, delle competenze e dei valori seguiti dai professionisti della vendita, ed è sempre un bene migliorarsi grazie alle loro best practices.
Tuttavia, è altrettanto utile osservare cosa evitano di fare, così da poterci allontanare da pratiche controproducenti, caso mai ci appartenessero, o ne fossimo tentati.
Eccone alcune che sarebbe meglio abbandonare.
Prospect, Clienti e Sponsor fanno quello che fanno per le loro ragioni, non per le nostre, e cercare di cambiarle è come affermare che ci sia qualcosa di sbagliato in loro.
Comprendiamole, facciamo domande appropriate e diamo loro le quelle informazioni che potrebbero aiutarle a modificare da se stesse il proprio punto di vista e, di conseguenza, le proprie azioni.
È normale desiderare di essere piacevoli e andare d’accordo con tutti.
Non succederà mai, potremo piacere a molte persone, ma non a tutte, perciò, resistiamo all’impulso di voler essere apprezzati da tutti; l’essere camaleontici, e la continua ricerca del consenso, porteranno a inevitabili delusioni.
Piuttosto concentriamoci su quegli interlocutori più vicini ai nostri valori, o al nostro cliente ideale.
Gli errori non sono fallimenti, potrebbero esserlo se non si impara nulla da loro e non si cambia ciò che non funziona.
Ogni singola azione ha un risultato: se non telefoniamo a freddo, se non effettuiamo chiamate di follow up, ecc., tutto ciò genererà risultati, risultati che probabilmente non vorremmo.
Riflettiamo sul perché le cose sono andate in un certo modo e cerchiamo come potremmo fare diversamente in futuro: cambiare se stessi è possibile se ci facciamo le domande appropriate e siamo disposti a modificare il nostro punto di vista.
Non è mai colpa nostra quando le cose vanno male, e puntiamo il dito verso qualcuno, qualcosa o entrambi.
Cercare giustificazioni e vedersi come vittime, ci costringerà a diventare più negativi e amareggiati.
Le cose vanno come devono andare, sono le onde della vita.
Se ci fosse la possibilità, chiediamo a chi vorremmo “accusare” perché non ci siamo “incontrati”, potremmo imparare qualcosa, evitando di voler scendere dal mondo.
Spesso le attività di training e coaching, che si tratti di auto-formazione fatta dal singolo, piuttosto che di formazione aziendale, vengono messe in atto quando sono evidenti stati di crisi e malessere.
Non rendere sistematiche le possibilità di crescita e sviluppo, e l’intervenire come palliativo, rallenta i progressi e genera una maggior pressione su chi deve vendere, proprio perché chiamato a rincorrere le richieste dei clienti che cambiano, e si sviluppano, rapidamente con il passare del tempo.
Follow up periodici possono favorire un efficace miglioramento, serenità e risultati.
Cosa fa di un venditore un top performer?
Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?
In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .
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È ormai inequivocabile che l’inizio della trattativa ne da l’impronta, influenzando il successo, o meno, di una vendita.
Se l’obiettivo di chi vende è unicamente concentrarsi su cosa dire per poter chiudere la vendita, molto probabilmente si ritroverà nei guai; per creare valore dobbiamo spenderci in una puntuale fase di qualificazione, detta anche fase di scoperta.
Un professionista delle vendite sa che i clienti e i prospect non vedono il valore in ciò che lui dice, ma in ciò che loro stessi dicono e pensano.
Ecco perché è fondamentale fare le domande giuste per comprendere quale soluzione può avere veramente valore per quei prospect o clienti: se il risultato che siamo in grado di offrire è quello atteso dal nostri interlocutori, la nostra offerta sarà percepita come oro.
Qualificarsi significa adoperarsi nel cercare di trovare quegli elementi che ci convincano, e convincano il nostro interlocutore, che la nostra soluzione è sicuramente quella giusta.
(S)qualificare è un approccio controintuitivo che può essere sintetizzato in questo quesito <<Se me lo consente vorrei farle alcune domande per capire se la soluzione che penso di proporle sia adatta alla sua realtà>>.
Questo è l’approccio migliore in assoluto perché trasmette credibilità da parte del venditore, aiutando prospect e clienti a determinare se avere una conversazione con chi vende avrà senso anche per loro.
Quando un cliente ci chiederà <<perché dovrei fare affari con lei?>>, anziché cercare di stupirlo con effetti speciali, proviamo a dire <<comprendo la sua richiesta, se mi permette di farle un paio di domande mi aiuterà a capire se potrò esserle utile, o se è meglio che non le prenda più tempo di quello che mi sta concedendo>>.
Parte della conversazione di “(s)qualifica” riguarderà le sfide (obiettivi, problemi, necessità, ecc.) che stanno influenzando l’attività, e/o la vita, del potenziale cliente e capirne i pro e i contro dell’avverarsi o meno di una situazione favorevole, piuttosto che dall’evitare o meno una situazione sfavorevole.
Il valore di una soluzione è determinato dalla dimensione dell’impatto (economico ed emotivo) del conseguire un obiettivo, o del risolvere un problema: non un centesimo di più, non un centesimo di meno.
Più definiremo l’impatto, più entreremo nel mondo del cliente, più saremo credibili e “comprabili”.
La sfida che siamo chiamati a risolvere è prioritaria?
Coinvolge personalmente il cliente?
Dove non ci sono priorità e/o impegno personale non c’é vendita.
Se l’impatto del non raggiungimento di un obiettivo, o della non soluzione di una problematica verrà ritenuto accettabile, non ci saranno né impegno, né vendita.
Queste sono le chiavi per assicurarci di trasformare il tentativo di qualificarsi, nella volontà di qualificare (squalificare) indirizzando al meglio il proprio tempo e le proprie energie nell’avvio di una conversazione di vendita.
Cosa fa di un venditore un top performer?
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Investimenti più elevati e cicli di vendita più lunghi rispetto al B2C fanno affermare che vendere alle aziende è sì più redditizio, ma meno facile, del vendere ai consumatori e che, un approccio sbagliato, ha raramente margini di recupero.
Per ogni professionista B2B, è essenziale sviluppare un processo di vendita che funzioni bene per la sua attività, per i suoi clienti (attivi e potenziali) e per gli obiettivi generali.
Ci sono molte opinioni su cosa fare per promuovere con successo una vendita B2B, e che, in molti casi, restano semplicemente opinioni.
L’esperienza di lavoro con team di vendita B2B ci offre 9 chiavi per raggiungere il successo nella complessità dei fattori che influenzano il business di oggi.
Tutti i venditori parlano di valore, ma pochi sono in grado di trasferirlo, e farlo percepire, davvero bene.
Per generare valore, è necessario disporre di un piano per crearlo.
Se un cliente ragiona in funzione dei suoi problemi e del GAP da colmare (dove si trova e dove vorrebbe essere) è chiaro che il valore è, più che nella soluzione, nel risultato che percepisce.
Prendiamo carta e penna e focalizziamo un Cliente con il quale vorremmo ampliare il nostro portafoglio.
Individuiamo un’esigenza specifica (se sono più di una, concentriamoci sulla prioritaria) che potremmo soddisfare con il prodotto – o il servizio – che vorremmo acquistasse.
Se abbiamo colleghi che hanno già affrontato con successo esigenze simili, organizziamo un brainstorming utile per approcciare l’account desiderato.
Generiamo e annotiamo idee che abbiano valore e siano utili a sostenere una conversazione.
Creiamo un solido piano strategico cominciando dai clienti esistenti (opportunità non sfruttate).
Ciò che maggiormente differenzia i venditori di successo, dagli altri, è la capacità di stare sul pezzo e di portare nuove idee e suggerimenti spendibili al tavolo della conversazione.
I Clienti hanno spesso bisogno di un confronto che permetta loro di allargare gli orizzonti, grazie a qualcuno che li capisca e che possano percepire come “autorevole.
Ecco uno dei segreti, che poi segreto non è, per aumentare il nostro valore ai loro occhi e generare nuove opportunità con gli account esistenti.
I “compratori” scelgono venditori che sono:
La capacità di offrire informazioni e collaborare col cliente sono i principali fattori distintivi del venditore di successo
Qualcuno direbbe “niente di nuovo sotto il sole”, ma chiediamoci “secondo i nostri clienti lo stiamo facendo bene”?
Il rischio gioca un ruolo importante nel processo decisionale di chi compra.
Ogni cambiamento comporta dei rischi.
Gli acquirenti sono naturalmente scettici e molti sono rimasti scottati in passato.
Il nostro obiettivo è rassicurarli, riducendo al minimo il loro disagio di dover decidere (rischio d’acquisto) e le resistenze che ne derivano.
Il B2B pullula di comitati di acquisto, c’è il rischio di cadere in balia “della sindrome dell’animale dalle molte teste“, ma è anche vero che, in ogni team di acquisto, vi è una persona che ha una profonda influenza sulla decisione finale: il decisore chiave.
Individuiamolo e dedichiamogli un’attenzione speciale.
Cerchiamo di passare del tempo con loro per ispirarli con idee e suggerimenti che supportino la nostra soluzione.
Le opportunità ci aspettano, ma dobbiamo essere proattivi, perché non ci cadranno in mano da sole.
Cerchiamo e troviamo chi effettua investimenti strategici con maggiore frequenza ed è aperto a cambiare-integrare i fornitori.
Avviciniamoci alle conversazioni offrendo suggerimenti ed idee che generino valore.
Per ottenere il massimo successo nelle vendite B2B, è necessario massimizzare il tempo e sostenere la motivazione.
Una miglior efficienza influenza la nostra efficacia.
Guardiamo dove spendiamo il nostro tempo, e dove vorremmo-dovremmo spenderlo.
C’è corrispondenza, c’è distanza?
Prima capiamo dove sta andando il nostro tempo, prima possiamo iniziare a ridefinirlo.
Le 3 principali capacità di vendita possedute dai venditori più performanti sono:
Cosa fa di un venditore un top performer?
Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?
In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .
si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!
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resilienza
curiosità
disciplina
intraprendenza
pensiero strategico
Venditori selezionati, addestrati e affiancati a centinaia nel corso degli ultimi dieci anni – alcuni buoni e altri no, alcuni eccezionali.
Tra le domande più ricorrenti c’è “venditori si nasce o si diventa”?, domanda che ci porta ad analizzare ciò che esattamente differenzia i migliori venditori dagli altri.
Evitando di addentrarci nella psicologia, o nel dibattito sociologico, sulla natura del “venditore con la V maiuscola”, possiamo tranquillamente affermare che buona parte delle sue abilità sono sicuramente radicate nel talento naturale.
Tuttavia, anche il tennista più talentuoso, non vince ogni anno i master, e se vuole rimanere al top deve svolgere un duro lavoro quotidiano per sviluppare, e affinare, le proprie capacità vincenti.
Lo stesso vale per le vendite.
Osservando da circa 30 anni i professionisti della vendita, ho delineato quelli che penso possano essere i 5 tratti chiave di un venditore di successo:
La resilienza è importante in qualsiasi professione, impresa, sport, e in qualsiasi situazione in cui si è costretti, per la maggior parte del tempo, ad agire al di fuori della propria zona di comfort.
Nelle vendite, ci sono molti alti e bassi (i “no” sono più dei “si”), e anche i migliori venditori possono trovarsi in difficoltà nel corso della loro carriera.
Sono soggetti al mercato, a cambiamenti che possono colpire anche più clienti nello stesso periodo, congiunture economiche, ecc.
Tutto ciò è inevitabile.
Un venditore resiliente è qualcuno che ha la capacità di alzare il telefono, e fare con fiducia la chiamata successiva, dopo aver ricevuto, poco prima, un trattamento “decisamente scoraggiante” dal suo ultimo interlocutore.
Nessuno è più irritante di chi finge di interessarsi a me, o alla mia attività, ma purtroppo ci sono presunti guru che, tra ricalchi e rispecchiamenti, insegnano proprio a fingere.
Sempre le stesse domande, sempre le stesse battute, sempre gli stessi complimenti.
Allo stesso tempo, soprattutto nel B2B, i venditori di maggior successo, sono quelli bravi a farsi i fatti del cliente, approfondendo il problema utile a mettere sul tavolo la soluzione.
Per entrare in profondità, però, ci vuole molto di più di una pur ben congegnata checklist di domande.
Per fare questo ci vogliono un’innata curiosità, sincero interesse all’ascolto, utili a costruire un rapporto di fiducia.
Venditori così si percepiscono al volo, sono curiosi, ma mai invadenti, fanno domande di approfondimento mirate e appropriate, dicono come la pensano, ma sono molto attenti al nostro punto di vista; sanno che il protagonista è il proprio interlocutore, non la loro performance.
Le persone che hanno questo dono tendono ad abbracciare l’affermazione
“si hanno due orecchie e una bocca per una ragione, utilizziamole in proporzione“.
Un grande venditore ha bisogno della disciplina per evitare di essere risucchiato nel buco nero della compiacenza di ciò che sa far bene.
La prospezione è noiosa e difficile, così come aggiungere valore a una base di clienti potenziali , piuttosto che definire azioni strategiche per penetrare nuovi account.
Di fronte a queste attività necessarie, e alle loro difficoltà, un venditore che manca di autodisciplina, farà semplicemente le cose facili, attento al non uscire dalla propria zona di comfort, e non quelle più complicate, ma utili, per raggiungere i risultati desiderati.
Certamente un certo livello di disciplina deve far parte del bagaglio di tutti i venditori sin dall’inizio della carriera, tuttavia, i professionisti delle vendite di maggior successo, sono coloro che comprendono la relazione tra i loro risultati e la loro capacità di eseguire quotidianamente le attività necessarie (e di solito più difficili) del proprio lavoro.
Osservare un “venditore strategico” nel bel mezzo di un tentativo accordo, è come guardare un maestro di scacchi mentre gioca: non si muove senza pensare almeno a cinque passi avanti.
Anche se qualche azione può sembrare affrettata, o non pensata a fondo, è quasi sempre certo che la mossa sia stata calcolata con attenzione.
Le complessità nel B2B sono però maggiori di quelle di una partita a scacchi.
Negli scacchi conosciamo tutti i giocatori, che cosa possono (e non possono) fare e, cosa più importante, conosciamo sia il loro obiettivo, che il campo di gioco.
Essere strategici nel processo di vendita richiede un’accurata considerazione di tutti i fatti, dei differenti punti di vista, di messaggi spesso contraddittori, del fatto che tutte le persone sono diverse (ognuna con la propria agenda e le proprie priorità, solitamente non allineate con le nostre).
Se poi per la stessa attività abbiamo più decisori . . . .
I venditori migliori hanno abilità e intuizioni strategiche utili a muoversi efficacemente con ogni persona coinvolta nel processo decisionale del prospect.
Alcuni dei venditori più efficaci e intraprendenti hanno iniziato in piccole realtà, dove il livello di supporto ottenuto dall’azienda era decisamente inferiore a quello generalmente riscontrabile in un’impresa dimensionata e strutturata.
L’intraprendenza è ciò che li ha sostenuti nel fare le cose e chiudere le offerte.
Conoscono le domande e le obiezioni e si preparano per affrontarle, o anticiparle, sapendo che sarà grazie al superamento di questi problemi e che potranno spostare, di un ulteriore passo, la trattativa verso la chiusura.
I grandi venditori sono come i grandi cuochi “hanno le loro ricette e ne cercano sempre di nuove, ma sono molto attenti alle richieste delle persone che frequentano la loro sala da pranzo“.
Se una di queste ricette sarà un successo la riproporranno quando riceveranno una richiesta simile, ovvero la tireranno fuori di tanto in tanto per qualche cliente particolare.
Pur non creando questi pasti da zero ogni volta, verranno apprezzati dai clienti come coloro che sono attenti, e sanno dare risposta, alle loro esigenze e desideri.
Cosa fa di un venditore un top performer?
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si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!
Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà, potete chiamare lo 02.498.70.21 chiedendo di Oliviero Castellani o inviare una mail
Come venditori abbiamo i nostri strumenti di lavoro (pc, tablet, smartphone) sistematicamente online e grazie a questo, nonostante le buone intenzioni, ci distraiamo facilmente.
In una giornata tipo, quante volte sentiamo l’inconfondibile suono che annuncia l’arrivo di una mail, e quante volte sospendiamo quello che stiamo facendo per controllare la posta?
Pensando che possa essere la risposta, piuttosto che la richiesta, di un cliente attivo o potenziale, dobbiamo controllare.
Invece è una newsletter accattivante per cui darle uno sguardo è inevitabile, così come lo è ciccare su un link contenuto nell’articolo.
Da qui al finire su facebook o linkedin, piuttosto che su youtube, è un attimo.
Volevamo solo controllare una mail, e abbiamo deviato brutalmente.
Riprendere ciò che abbiamo interrotto, e ricominciare, richiede più tempo di quello che ci sarebbe servito se non ci fossimo distratti.
Chia ha adottato la modalità di aprire il programma solo in determinati momenti della giornata (controllare, rispondere, richiudere) dichiara di averci guadagnato in concentrazione.
In definitiva nessuno perde una vendita solo perché un cliente deve attendere una risposta per un’oretta o due.
Basterebbe provare una settimana per verificare la riduzione della maggior parte delle distrazioni, migliorando sensibilmente la nostra efficienza.
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Abbiamo tutti i nostri punti ciechi, è normale.
Ma ciò che ci ingabbia, e ci illude, è il pensare di essere migliori (più bravi, capaci, ecc.) di quanto lo siamo veramente, finendo col sopravvalutarci, sottovalutando gli altri.
Tutto questo è dovuto, secondo Dunning e Kruger, a una distorsione cognitiva:
A causa di tale distorsione, individui poco – o pseudo – esperti in un campo, tendono a sopravvalutare le proprie abilità, definendosi esperti di quel tema, o argomento, dimostrandosi il più delle volte estremamente supponenti.
I test condotti da Dunning e Kruger indicano che l’unico modo grazie al quale questi individui possono rendersi conto della loro “pseudo competenza – conoscenza” è un addestramento che li porti a riflettere sulla mancanza di abilità proprio sugli argomenti in cui si credono “migliori”.
Questa distorsione cognitiva è presente anche nelle risorse commerciali (persone di contatto e di vendita) chiamate a generare valore nel gestire e conquistare clienti e prospect nel settore della Formazione Professionale.
..avendo una spiccata distorsione cognitiva, tendono a deresponsabilizzarsi ogni volta che le cose non vanno per il verso giusto.
Ce ne sono altre “curiose” che provano e riprovano, vedendo l’ostacolo come un’opportunità, e non come un limite.
C’è chi dice “mandare mail non funziona più, le caselle di posta sono intasate, ci avranno messi in spam o black list, ecc.” e c’è chi, semplicemente, prova a cambiarne l’oggetto, piuttosto che la prima frase, la lunghezza o il layout.
C’è chi, con prospect e clienti, continua a ripetere la stessa presentazione, a fare le stesse domande, per poi dire “i clienti sono indecisi, c’è crisi, rinviano gli acquisti, conta solo il prezzo, ecc.”
E c’è chi si confronta con i colleghi e anche con i concorrenti, chi prova a utilizzare business case pertinenti per “mostrare una visione” al prospect … chi studia, si informa e sperimenta.
Di fronte agli ostacoli, vogliono scoprire cosa li sta causando.
Sono spinti, e aiutati, a diventare migliori, più intelligenti e più strategici.
..Ed è per questo che ci riescono!
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Vendere soluzioni tecnologiche, dati e servizi correlati al settore finanziario, vede processi di vendita più complessi e cicli di vendita più lunghi rispetto alla maggior parte di altri segmenti aziendali.
Una “vendita complessa”, solitamente impatta su più unità aziendali, coinvolge più decisori (spesso un comitato) alla ricerca di maggiori opzioni, include accordi di lungo periodo e risolve bisogni strategici o forti criticità.
Sempre più le nuove tecnologie, e i modelli di business, stanno dando vita a una fase in cui, per le società finanziarie, la valutazione efficace delle aziende e dei programmi di gestione dei fornitori sta diventando sempre più importante.
Il settore finanziario è strettamente regolamentato, le decisioni di acquisto sono ponderate in termini di opzioni “sicure” e “solide”, e necessita di interlocutori in grado di “rassicurare e confermare” di poter mantenere i risultati che stanno promettendo.
Coloro che sono in grado di dimostrare una “leadership di pensiero”, ancorché di marca, avranno maggiori probabilità di influenzare le persone ad agire.
Essere un leader di pensiero significa saper discutere di questioni che riguardano il settore in cui si sta cerando di vendere, dimostrando il valore delle proprie intuizioni.
Coloro che eccellono nella vendita complessa sono in grado di dimostrare sia un ritorno sull’investimento (ROI), sia i “vantaggi convincenti” dell’investimento.
Essere una scelta “rassicurante” significa anche percepire che chi vende e la sua azienda sono e saranno leader di settore per gli anni a venire.
Il rischio per chi “decide l’acquisto” in una transazione complessa può essere enorme, e può influenzarne, nel bene e nel male, la carriera futura
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Se vogliamo influenzare chi compra dobbiamo ascoltarlo attentamente, non c’è libro, corso, articolo di vendita che non sottolinei questo concetto.
Capire il compratore ci consente di avere informazioni che, correttamente rielaborate, consentiranno di produrre argomentazioni e presentazioni “efficaci”.
Aldilà del marketing, dei funnel, degli script e via dicendo, influenzare si riduce quasi sempre a una situazione one to one.
Avevo circa 25 anni quando, durante una sessione di formazione, appresi questo concetto che è tutt’oggi mio “le risposte e le soluzioni sono sempre nelle parole del cliente”, perché lui sa ciò che vuole e ciò che non vuole, dove si trova e dove vorrebbe trovarsi.
Ma perché un cliente possa dirci i suoi problemi, e raccontarci i suoi desideri, deve sentirsi – prima di tutto – a proprio agio nel “parlare e trattare” con noi.
Per quanto una trattativa si si riduca molto spesso a “prezzo/costo e funzionalità”, mettere il nostro interlocutore nella condizione di aprirsi con noi, permette di conoscere il “valore” che egli stesso attribuisce alla situazione e alla possibile soluzione.
Cosa stanno cercando, qual è l’esperienza o la situazione ideale per loro, qual è il gap che li separa da dove vorrebbero essere?
Possiamo aiutarli a risolvere una necessità o un problema, piuttosto che migliorare uno status quo non completamente soddisfacente, o che sta cambiando per fattori indipendenti da chi abbiamo di fronte?
L’abilità di chi pone le domande è farlo in modo da esercitare la propria influenza, evitando di formulare quelle a risposta predeterminata (a meno che non si tratti di un momento di verifica) al fine di non scadere nella manipolazione, sia essa realmente tentata o semplicemente percepita.
Se vogliamo evitare, a chi stiamo cercando di coinvolgere, un’esperienza frustrante, offriamogli l’opportunità di parlare con delle sue opinioni, del suo punto di vista: lasciamogli allargare l’orizzonte.
Più saremo “imparziali” nel nostro ascolto, più qualificheremo o squalificheremo clienti e situazioni nell’interesse di tutti.
Inserire nel nostro percorso di vendita comportamenti tipici del “marketing”, ci permetterà di realizzare una vera “vendita consultiva”, incanalando con naturalezza il nostro prospect verso di noi.
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Comunicare è saper ascoltare, saper porre domande e saper argomentare (presentare).
Alla domanda “in quale di queste tre competenze ti senti più forte?” riceveremo risposte diverse a seconda del venditore (e della persona) che ci troveremo di fronte.
Quella più semplice da migliorare è la capacità di saper presentare le proprie argomentazioni. Peccato che le capacità di presentare sia, tra le tre, quella minor impatto per i nostri risultati, non è che non serva, ma essendo in fondo alla catena, dovrebbe essere la naturale conseguenza dell’aver ben esercitato le prime due.
Purtroppo l’andare velocemente in presentazione è la scelta più gettonata dai “venditori meno sicuri”, così come da quelli orientati prevalentemente, se non unicamente, al proprio interesse; presentare è per molti “commerciali” una vera e propria zona di comfort.
Nessuno ama essere definito un cattivo ascoltatore, anche chi fa fatica al solo dover sentire.
Le vere abilità del comunicatore efficace, di colui che può fare la differenza, risiedono nel saper immaginare e porre “buone domande”.
Le buone domande possono influenzare significativamente sia la qualità delle risposte e del conseguente ascolto, nonché le successive argomentazioni di un’eventuale presentazione.
Sono buone domande quelle motivano il nostro interlocutore ad investire il proprio tempo nel conversare in profondità con noi.
Si dice che domandare è lecito e rispondere sia cortesia, ma una risposta di pura cortesia è spesso figlia di una cattiva domanda, di disagio o dubbi dell’interlocutore nei nostri confronti, del suo non volersi mostrare pienamente, di una sua autodifesa da chi è li per vendergli qualcosa.
Le risposte di cortesia non portano solitamente a niente.
Ci sono casi in cui i clienti dichiarano senza reticenze se ritengono vi siano eventuali aree di cambiamento e miglioramento legate alle loro situazione (familiare o aziendale), o correlate al contesto in cui si trovano (sociale, economico, di settore, ecc.) ma rimanendo sempre sul generale, senza mai entrare nel vivo della loro situazione, senza dichiarare bisogni o problemi specifici, senza manifestare urgenze o priorità.
Per molti venditori questo è sufficiente per fare una proposta, ma proporre in queste situazioni è quantomeno azzardato, vi è il forte rischio di lavorare per qualcun altro.
Fortunatamente vi sono coloro con i quali riusciamo ad entrare in empatia, che percepiscono un nostro sincero interesse nel metterci nei loro panni, e che sono, di conseguenza, disposti ad aprirsi e a rispondere alle nostre domande di follow up approfondite.
Possiamo chiedere “come vede il suo mercato nel prossimo periodo”, o “come pensa di far fronte ai cambiamenti che stanno interessando il suo settore..”, oppure “ho notato che questi cambiamenti.. stanno interessando il suo settore.. immagino siano alla sua attenzione, posso chiederle se e come stanno influendo sulle sue priorità..”
Premesso che in tutti e tre i casi avremo anticipato al cliente che gli stiamo facendo una domanda per capire se e come potremmo essergli utili, quale delle tre ha più possibilità di mettere il cliente nella condizione di aprirsi e darci risposte veramente utili?
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