IKEA style e il suo effetto nella vendita consultiva

di Oliviero Castellani

Il fondatore di Ikea, Ingvar Kamprad, inventò mobili flat pack dopo aver notato un signore che cercava di togliere le gambe del tavolo prima di caricarlo nella sua Volvo.

Creando IKEA, Kamprad ha cambiato la dinamica del mercato di massa dando vita al processo psicologico chiamato  “The IKEA Effect”, processo che descrive il valore più elevato che il consumatore attribuisce a prodotti che, in parte, ha contribuito a creare.

Mi piace definire la consulenza e la vendita come processi di cambiamento, che molto spesso, accompagnano il cliente con quei sentimenti di “paura” e “incertezza” legati alla possibilità di un acquisto sbagliato.

Il compito di consulenti commerciali e venditori è gestire questo cambiamento, portando il cliente da “A” a “B” con competenza, empatia e determinazione.

Quando costruiamo una proposta, abbiamo due scelte:

  1. Il consulente/venditore costruisce l’intera vendita

    Questo è il classico approccio adottato dalla maggioranza dei venditori e dei consulenti commerciali; fatta eccezione per la risposta ad alcune domande, e l’eventuale feedback, il cliente non fa praticamente nulla.

    Chi “vende” scopre i criteri di acquisto, utilizza tali informazioni per formulare una proposta, ottiene il consenso e chiude l’affare.

    Il 90-100% dell’attività è svolta dal proponente.

  2. L’acquirente aiuta attivamente a costruire la vendita (l’effetto IKEA)

    Questo è quando diamo parte della responsabilità della vendita al cliente stesso, anziché fare tutto da soli; è l’equivalente del cliente che si rimbocca le maniche e che aiuta a costruire il suo guardaroba.

Nelle cosiddette trattative complesse, e/o articolate, l’effetto IKEA si esprime al meglio, perché progettare e definire una soluzione insieme al cliente genera coinvolgimento e condivisione, consentendo di valutare – in itinere – pro e contro del cambiamento non solo dal punto di vista del prodotto o della soluzione, ma anche dell’impatto che il nostro intervento avrà sulla sua organizzazione e sul suo business, piuttosto che sulla sua vita e sulla sua famiglia.

Dipende sempre dal cliente che abbiamo di fronte.

A volte un acquirente ha solo bisogno di risolvere rapidamente un problema, in questo caso l’effetto IKEA potrebbe essere controproducente.

Altre volte potremmo avere a che fare con persone incerte, che hanno bisogno di essere rassicurate: in questo caso l’effetto IKEA potrebbe essere perfetto.

Ecco due scenari riconducibili a due differenti richieste relative ad attività di public speaking:

  • Cliente A:

    Vuole che il consulente prepari unicamente “scaletta e slide” degli argomenti che saranno oggetto del suo intervento. Se la scaletta è coerente, e le slide hanno i giusti riferimenti ed effetti, questo cliente sarà soddisfatto del lavoro e del materiale che gli sono stati forniti per raggiungere i suoi obiettivi.

  • Cliente B:

    Il cliente non vuole solo “scaletta e slide”, ma chiede di essere aiutato nel creare un’apertura ad effetto, a interagire col pubblico, a progettare l’intervento passo passo, all’essere supportato fuori campo da un suggeritore, ecc.  Nella soddisfazione di questo cliente “scaletta e slide” avranno un peso marginale,  saranno invece determinanti il sostegno e il supporto ricevuti grazie al nostro effetto IKEA.

Il punto è l'essere consapevoli di quale approccio funziona meglio per ogni cliente.

Non si tratta di noi, si tratta di lui.

Cercare di collaborare con il cliente sbagliato potrebbe essere un disastro.

Allo stesso modo, cercare la “soluzione rapida” con qualcuno che è incerto, potrebbe essere una mossa fatale.

Una cosa è vera: applicare l’effetto IKEA nelle giuste circostanze significa godere di partnership più forti e redditizie che resisteranno alla prova del tempo e della concorrenza.

Siete interessati a un metodo che aiuti a condividere idee e soluzioni in modo che vendano?

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Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà,  potete chiamare lo 02.498.70.21
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Feedback e Manager

di Oliviero Castellani

In un approfondimento apparso in Harvard Business Review si sostiene che il feedback, sia positivo che negativo, è essenziale per aiutare i manager a migliorare le loro qualità, e affrontare le loro “debolezze”, in modo che possano eccellere nella leadership, sottolineando che:

Un feedback duro non aiuta le persone a prosperare ed eccellere.

  • In effetti, una critica efficace deve essere espressa con rispetto e attenzione. Commenti frequenti, o esclusivamente negativi, potrebbero innescare reazioni difensive che, offuscando le percezioni, smorzerebbero la motivazione.

Il feedback positivo è fondamentale per l'apprendimento.

  • Le persone spesso notano rapidamente cosa c’è che non va, ma è altrettanto importante prestare attenzione e fornire input su ciò che sta funzionando.

Dire a qualcuno come risolvere un problema è spesso l'approccio sbagliato.

  • Meglio sarebbe promuovere una maggior consapevolezza, ponendo domande che, stimolando la riflessione, indirizzino le persone nell’esplorazione e nella sperimentazione.

Per quanto un feedback fornito da un essere umano non sarà mai “puramente” obiettivo, sapere come gli altri la vedono, e la vivono, è incredibilmente prezioso, poiché le persone prendono decisioni (su chi ascoltare, con chi collaborare, di chi fidarsi, chi supportare e promuovere) in base alle loro percezioni.

Vi è una scuola di pensiero che invita a concentrarsi solo sui “punti di forza” (feedback positivi), perché le critiche (feedback negativi), per quanto costruttive, non aiutano le persone a eccellere, ostacolandone l’apprendimento.

In realtà, concentrarsi solo sui punti di forza, significa indurre a credere che non ci siano aree in cui dover migliorare, con il possibile rischio di compromettere l’efficacia dell’organizzazione.

Quindi, invece di incoraggiare le persone a evitare i feedback negativi, dovremmo concentrarci su come fornire feedback negativi nel modo più neutro possibile.

Descrivere l’accaduto (fatto e comportamento) e le conseguenze (impatto) che si sono registrate.

Ecco un esempio: “Nella riunione di questa mattina,, mentre stavamo discutendo le strategie per promuovere la nuova campagna, hai interrotto Marina mentre parlava e le hai detto: “Questa idea non funzionerà mai”, prima che avesse la possibilità di finire. Da quel momento lei si è zittita, ed anche Franco, solitamente partecipativo, ha scelto di non condividere le proprie idee, preferendo inviarmi una nota con le sue osservazioni”.

Tale feedback non è giudicante, non è generalizzato e non attacca il comportamento.

Evidenziando il fatto, e le sue conseguenze, è possibile che il feedback negativo venga ascoltato e considerato, piuttosto che rifiutato sulla difensiva.

Aiutiamo manager, consulenti e commerciali nel qualificare e rendere personale ogni interazione

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Sales Management: lo spreco dei contatti di vendita

di Oliviero Castellani

“Per ogni vendita che manchiamo perché siamo troppo persistenti, ne mancheremo cento perché non lo saremo abbastanza”.

Chi è chiamato a guidare un team di consulenti e commerciali sa che il successo nella conversione di clienti potenziali, soprattutto di lead in entrata, richiede persistenza.

Clienti potenziali e lead in entrata sono come l'oro, ma per la maggior parte dei “professionisti nell’offerta di soluzioni alle imprese” questi contatti vengono considerati "morti" dopo una o due chiamate di follow-up andate a vuoto.

Consideriamo queste statistiche:

1. Il consulente – commerciale medio fa solo 2 tentativi per raggiungere un potenziale cliente.

2. L’80% delle vendite richiede 5 tentativi di follow-up dopo una riunione, incontro con il prospect.

3. Il 44% dei consulenti – commerciali abbandona il lead dopo 1 solo tentativo di follow-up.

Perché le persone si arrendono così facilmente?

Consulenti e professionisti della vendita hanno alti livelli di energia, ma basse soglie di noia.

Passare a qualcosa di nuovo è per certi versi più interessante che chiamare le stesse persone con lo stesso messaggio.

E questo è il problema: fare sempre la stessa cosa.

In PR3 abbiamo 30 anni di esperienza nell'aiutare il sales management e i team di vendita a seguire con successo i lead.

Applichiamo anche ai follow up la Regola del 3:

  1. Variare il tempo – Un direttore vendite raccontò che gli standard aziendali richiedevano di contattare un cliente potenziale 6 volte prima di arrendersi. … tutti nello stesso giorno? tutti alla stessa ora in giorni diversi? E se provassimo a variare giorni e orari?
  2. Fare messaggi diversi – Aguzzare l’ingegno uccide la noia. Perseverare non è ripetere le stesse azioni finché non funzionano con qualcuno, ma modificare e migliorare le proprie azioni perché funzionino con chi ci interessa ingaggiare.
  3. Connettersi con più canali – Non risponde, lasciamo uno o più messaggi vocali nella sua segreteria, ma se è il caso proponiamoci anche per sms, whatsapp, email, linkedin o qualunque alternativa si possa considerare.

Se non permettiamo al nostro interlocutore di abituarsi a noi permetteremo alla frenesia della nostra ansia da prestazione di prendere il sopravvento.

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2 segreti fondamentali per una vendita di successo

di Oliviero Castellani

Cosa significa cattiva reputazione, e perché ci sono commerciali B2B che fanno di tutto per meritarsela?

Probabilmente, perché la maggior parte di loro – ancora oggi nel 2022 – fa leva sulla “vendita push”.

Molti non si preoccupano se per noi, o l’interlocutore, è un buon momento; per il solo fatto che ci hanno di fronte (di persona o telefonicamente) danno per acquisito che il nostro tempo sia loro!

Altri non parlano con noi di noi, cercano – quasi esclusivamente – di “venderci” i loro perché.

Altri ancora fingono di interessarsi a noi, ci fanno un paio di domande solo per trovare nelle nostre risposte un aggancio per il loro “sproloquio”.

Fingere di ascoltare, o ascoltare in modo distorsivo, è quello che viene maggiormente rimproverato loro.

Senza cadere nella didattica, e nella retorica, il primo segreto per non finire nel club dei “bad reputation” è definire i criteri per comprendere se siamo di fronte a un “cliente ideale”.

Cliente ideale è chi ha bisogni e/o problemi riconosciuti e che noi possiamo risolvere.

Cliente ideale è chi trae sensibile impatto dalle conseguenze di un problema risolto/non risolto e che noi siamo in grado di affrontare.

Cliente ideale è chi ha l’autorità per decidere, o per influenzare chi decide.

Non possiamo vendere tutto a tutti, dobbiamo imparare a qualificare, e squalificare i nostri interlocutori, se vogliamo evitare di essere considerati come “molesti piazzisti”

Secondo segretorendere personale qualunque nostra presentazione (di noi stessi, di cosa possiamo fare per loro, della nostra proposta, ecc.)

Questo significa adattarci al nostro cliente, attivo o potenziale che sia, e alle sue sfide.

Quindi, che si tratti della fase di consulenza, o di quella transattiva, il tutto si riduce più al chiedere e capire, che raccontare e persuadere.

Non occorre avere un modo speciale di parlare, con parole intelligenti e un linguaggio fantasioso.

Dobbiamo esprimere la capacità di avere conversazioni naturali e libere con le “persone giuste”.

Dovremmo vendere nel modo in cui vorremmo comprare.

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Idee: le grandi idee non si vendono da sole

di Oliviero Castellani

A proposito di saper vendere idee, vi racconterò due storie simili, ma profondamente differenti nei loro epiloghi.

Mario, per quanto relativamente giovane, aveva sviluppato una solida reputazione quale consulente per impianti di produzione di energia, grazie alla sua capacità di formulare proposte innovative e vincenti.

Ma aveva il limite di non coinvolgere i clienti nella costruzione delle soluzioni; il suo atteggiamento era più simile a quello di un “guru” che dimostrava abilmente il sapere e le conoscenzema che lasciava i propri interlocutori quasi sempre soli a trarre le conclusioni e a riempire quegli spazi vuoti che potevano rendere concreto il risultato tangibile che, grazie quanto da lui  proposto, avrebbero conseguito.

Non aveva realizzato che le grandi idee, soprattutto se innovative, non si vendono da sole, convinto che la qualità del suo lavoro si vendesse da sé.

Questo lo portava a chiudere molti meno affari di quanti le sue abilità di problem solver meritassero, e a perdere qualche cliente.

Giovanni aveva compreso l’importanza del vendere l'idea o, se preferiamo, farla comprare.

Preparava ogni meeting con lo scopo di coinvolgere il cliente affinché si sentisse parte nel processo di costruzione, e condivisione, della proposta.

Il suo modo per creare una connessione era molto semplice: presentare idee e soluzioni lentamente, sostenerle con solide argomentazioni razionali ed emotive, facendo richiami e riferimenti a esperienze, analoghe, collegando il tutto agli obiettivi di business del cliente.

Ho avuto l’occasione di affiancare sia Mario, che Giovanni.

I tassi di conversione erano a favore di Giovanni, anche se le sue soluzioni erano, a volte, meno brillanti.

Non dimenticherò quando il CEO di un “colosso europeo” disse a Giovanni che aveva scelto lui, non perché la sua proposta fosse la migliore, o la più conveniente, ma perché era rimasto impressionato da come Giovanni, a differenza di altri, non aveva utilizzato parole in libertà, ma  misurato e sostenuto ogni passo della soluzione, convincendolo che era lui il partner di cui aveva bisogno.

Ecco perché saper vendere (far comprare) un’idea, è più importante che averla, ed è quello che, pur con una certa fatica, Mario comprese e cominciò a fare.

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Connettersi a prospect e clienti

by Oliviero Castellani

Connettersi: se vuoi catturare un pesce devi pensare come un pesce.

Quando era un bambino, Mario adorava andare a pescare con il padre, si sono sempre divertiti molto.

L’unica cosa poco divertente, per Mario, era che poteva pescare tutto il giorno senza riuscire a catturare nulla.

Aveva una domanda incessante, “Cosa sto facendo di sbagliato?”

Il padre rispondeva sempre allo stesso modo:

"Se vuoi catturare un pesce, devi pensare come un pesce".

Ma lui non era un pesce!

Diventato più grande cominciò a leggere, partecipare a seminari sulla pesca e frequentare circoli di pescatori.

Mentre si prendeva il tempo per imparare e capire, diventò molto più efficace nell’arte della pesca.

Più tardi, entrando nel mondo Assicurativo, sentì il suo primo capo dire: “Anche se ognuno di noi ha responsabilità diverse in questa azienda, abbiamo tutti bisogno di pensare come venditori “.

Ma suo padre non aveva mai detto una sola volta: “Se vuoi catturare un pesce devi pensare come un pescatore”.

Quello che disse fu: “Devi pensare come un pesce” e questo lo fece riflettere.

La storia di Mario ha influenzato e affinato il mio lavoro di formatore e relatore negli anni.

Ho quasi esclusivamente a che fare con prestazioni di vendita e redditività aziendale in ambito B2B, B2C e B2B2C.

Cerco di trasferire aa Agenti, Funzionari Commerciali, Key Account Manager, l’importanza di smettere di pensare come venditori, e di iniziare a pensare come pensano i clienti!

Ma cosa vogliono i clienti?

In fin dei conti quello che vogliamo noi, quando ci togliamo l’abito del venditore e vestiamo i loro panni.

Vogliono che qualcuno li aiuti a superare i problemi e identificare le opportunità che permettano di raggiungere gli obiettivi, trovando la giusta soluzione, così da consentire loro di poter conseguire i risultati desiderati.

Certo, questa non è sempre la cosa più naturale da fare.

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Obiezioni: l’assertività aiuta a gestirle?

by Oliviero Castellani

Possiamo utilizzare l’assertività, volendo la provocazione, per gestire le obiezioni.

Viene detto che i venditori che mancano di assertività perdono molte opportunità, e questo perché, giocando di rimessa, sperano che il cliente – titubante o non convinto – possa rassicurarsi, convincersi, e decidere da solo a nostro favore.

Chiediamoci <<quante vendite abbiamo perso perché non abbiamo provato “veramente” a superare le resistenze e chiudere, lasciando l’iniziativa al cliente>>?

D’altra parte, anche l’eccesso di assertività potrebbe essere controproducente.

Come in tutte le cose, quando vogliamo prenderci un rischio, ci vuole buon senso.

Al fine di evitare giri di parole mi limiterò a un paio di esempi significativi tra i tanti che, in quanto feedback, mi sono stati riferiti dai partecipanti nelle diverse sessioni del sales training modulare <<come negoziare la soluzione e ottenere l’accordo>>.

Un Sales Manager dovette gestire un prospect che opponeva resistenza dicendo <<Perché dovrei avere a che fare con lei? Lavoro con gli stessi fornitori da oltre 20 anni>>.

Solitamente in questi casi aveva l’abitudine di infervorarsi in un soliloquio nel quale cercava di impressionare l’interlocutore magnificando se stesso, il suo brand e la bontà dei prodotti che era in grado d’offrire.

Quella volta provò a dire <<comprendo il suo punto di vista, ma se mi permette di farle un paio di domande capirò, dalle sue risposte, se potrò esserle utile o se è meglio che non le prenda più tempo di quello che mi sta concedendo>>.

Il prospect acconsentì, cominciò a raccontarsi, ed in seguito divenne cliente.

Fortuna del principiante? È possibile.

Un Key Account Manager si sentì dire “no” da un cliente perché <<riteneva quanto propostogli troppo distante dalle sue abitudini di acquisto>>.

Di solito, in questi casi, tentava di convincere il cliente tecnicamente, rispiegando la sua proposta, “esaltandone” i punti di forza.

Quella volta provò a dire <<la capisco, nei suoi panni avrei dei dubbi anch’io, se me lo permette le racconto di un paio di clienti che pur avendo le sue stesse abitudini e riserve, hanno scelto di prendere in considerazione una proposta come quella che le ho appena fatto>>.

Il cliente, probabilmente curioso di vedere dove andasse a parare il venditore, acconsentì.

Questi riassunse brevemente lo stato dell’arte del cliente riferendolo all’esempio che stava facendo, e trasformò l’argomentazione tecnica in una presentazione discorsiva dei vantaggi presentandoglieli come il valore percepito da quei 2 clienti, che, da refrattari proprio come lo era lui era, decisero di prendere in considerazione la soluzione proposta.

Trasformò le proprie argomentazioni da tecniche a empatiche.

A quel punto il cliente, pur riducendo l’impegno d’acquisto di circa la metà, accettò di provare la novità.

Fortuna del principiante? È possibile.

Una buona metodologia offre un approccio strategico ad ogni fase del processo di vendita, un po’ di assertività e di fiducia in se stessi possono fare il resto.

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Clienti: guadagnare la loro fiducia

by Oliviero Castellani

La fiducia è spesso il fattore differenziante in una vendita, e per quanto sia una misura intangibile della relazione, ha risultati aziendali molto tangibili.

È la somma di fattori quali l’accessibilità, l’affidabilità e la credibilità che un professionista della vendita deve riuscire a trasmettere al proprio interlocutore sin dal primo impatto.

Ci sono sei passaggi che ogni consulente dovrebbe seguire nel processo di vendita per stabilire, e mantenere, una solida relazione.

1 Prepararsi ad ogni interazione

L’interazione iniziale è la più critica, poiché abbiamo circa 19 – 34 secondi per “fare colpo”.

La maggior parte dei professionisti non è abituata a preparare la “propria entrata in scena”, generando nel prospect l’impressione di un dejavu, ovvero di sembrare l’ennesima “presentazione fotocopia”.

Fare ricerche, impostare un piano di “pre contatto”, preparare domande intelligenti che invoglino il prospect a conversare, dipende da come ci dedichiamo alla preparazione.

Prepararsi significa ragionare da problem solver, anziché promuovere semplicemente un prodotto o un servizio.

Formare il proprio team al processo di vendita consultivo, significa predisporre le proprie persone a generare quella fiducia che aumenterà i tassi di chiusura e le “partnership” di lungo termine.

2 Creare un rapporto immediato

Oggi ci vogliono molto più di un approccio “simpatico” o “carismatico” per fare impressione su un prospect, e anche su un cliente che, avvalendosi di più fornitori, non ci ha ancora scelto come “riferimento principale”.

Le decisioni dei nostri interlocutori sono influenzate dall’esperienza che hanno “relazionandosi” con noi.

Ognuno ha una storia che riflette attraverso i comportamenti; riconoscere o non riconoscere, ed adattarsi o non adattarsi, a come vorrebbero essere “trattati” decide, soprattutto quando parliamo di offerte similari o percepite come tali, del successo, o meno, dei nostri sforzi.

La differenza tra una “conversazione confidenziale” ed una “conversazione formale” risiede nella nostra capacità di saper leggere chi abbiamo di fronte e adeguarci di conseguenza.

Formare il proprio team perché possa realizzare conversazioni confidenziali, ne migliorerà le capacità di ascolto e comunicazione, stabilendo sin dalla prima interazione le basi per relazioni “di fiducia” durature.

3 Fare domande in ogni fase (dall’apertura, alla pre-chiusura)

Chi si prepara al contatto, ovvero fa i compiti a casa, dovrebbe avere un set di “domande riformulabili” utili e spendibili a seconda dei differenti momenti di qualunque conversazione commerciale.

Ci sono domande per conoscere, domande per approfondire, domande per coinvolgere e influenzare, da spendere in ogni fase del “processo di vendita”; è grazie al formulare domande “intelligenti” che dimostriamo la profonda e crescente conoscenza, comprensione e curiosità alle necessità, ai desideri, alle aspettative e ai problemi del nostro cliente potenziale.

Formare le proprie persone a porre domande intelligenti per conoscere e approfondire, permetterà loro di consigliare soluzioni che verranno percepite da prospect e clienti come proposte di valore.

4 Porgere suggerimenti su misura

Se abbiamo fatto domande intelligenti, e abbiamo ben compreso il “punto di vista e come decide”, possiamo sottoporre idee, o dare suggerimenti su misura, che offrano il massimo valore per la situazione di chi abbiamo di fronte.

Più i consigli saranno chiari e mirati, maggiore sarà la fiducia che prospect, e clienti, avranno nella soluzione proposta, e nel consulente commerciale che l’ha formulata.

Una raccomandazione su misura guadagna più fiducia di una soluzione standard.

5 Fare il backup delle nostre affermazioni - raccomandazioni

Durante la fase di “condivisione e pre accordo” il consulente alle vendite non può limitarsi a “valorizzare” la sua soluzione, deve essere in grado di supportare le proprie affermazioni con prove.

Che si tratti di referenze di altri clienti, casi di studio, ROI, ecc. queste dimostrazioni di valore a sostegno della nostra soluzione aiuteranno prospect e clienti a compiere il passo finale.

6 Esercitare un’integrità impeccabile

Un processo di vendita consultivo non è manipolativo per natura.

L’obiettivo del consulente dovrebbe essere quello di mantenere l’attenzione sul proprio interlocutore e consigliare solo una soluzione che lo aiuti ad avvicinarsi al raggiungimento degli obiettivi dichiarati.

Porre sin dalla prima interazione le basi per una relazione di fiducia, e mantenere tale fiducia nel tempo, aumenterà i nostri affari, sia grazie a “closing” ripetitivi e aggiuntivi, che a referrals di qualità.

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Cliente: ha sempre ragione?

by Oliviero Castellani

Chi ha a che fare quotidianamente con i “professionisti della vendita” può facilmente identificarne l’indole: vecchia scuola, nuova scuola, adattiva.

Per il venditore vecchia scuola il successo dipende solo da "lui", per quello nuova scuola dipende dal compratore, per l’adattivo dipende da entrambi.

Semplifichiamo.

I venditori della vecchia scuola sono improntati a chiudere la vendita ad ogni costo, facendo tutto il necessario per realizzarla, anche cavalcando una voluta opacità: “vendere e poi barcamenarsi”.

In altre parole, venditori concentrati su se stessi, sulla soddisfazione dei propri bisogni e su quelli delle loro aziende, spesso a scapito dei loro clienti e delle loro necessità.

I venditori della nuova scuola si sono concentrati sul cliente, e sono definiti “cliente centrici”.

Gli sono stati inculcati concetti quali: “hai due orecchie e una bocca, quindi dovresti ascoltare il doppio di quanto si parla” – “concentrarsi sul cliente e sulle sue esigenze” – “il cliente ha sempre ragione”, ecc.

Ma oggi, più che mai, il cliente non ha sempre ragione.

Concentrarsi troppo su di lui può essere altrettanto negativo del concentrarsi troppo su se stessi: risultati diversi, ma altrettanto pessimi.

I venditori “cliente centrici” sprecano un sacco di tempo su esigenze, e spesso capricci, del compratore, perdendo di vista il risultato personale ed economico.

Il venditore adattivo, così come l’imprenditore, ha a cuore i propri clienti, le loro esigenze – desideri – aspettative, ma ha anche a cuore se stesso, le proprie esigenze e aspettative.

Questo riguarda il potenziale di successo, ovvero quanto le richieste del cliente siano adattabili con i prodotti-servizi della propria azienda, e quindi in linea tra loro

Seguire questo metodo, è l’unico modo logico per vendere.

La vendita è, in definitiva, trovare persone o aziende che sono in linea con ciò che vendiamo, e quindi mostrare loro che possiamo aiutarli a ottenere il risultato che desiderano.

Questo è esattamente ciò che fa il venditore adattivo.

Vendere non è cercare di ottenere più soldi da quante più persone possiamo, e non è sovra servire i clienti e sprecare tutto il nostro tempo con persone che non compreranno mai da noi.

Nel nostro programma di “vendita consultiva” imparerete come:

  • diventare “venditori adattivi”
  • smettere di perdere tempo
  • vedere la vendita in un modo diverso
  • iniziare a bilanciare le proprie esigenze e quelle del cliente …
  • … per vedere se le sue richieste sono in linea con ciò che vendiamo

I clienti inadatti richiedono maggior assistenza, si agitano ed hanno alti tassi di abbandono, danno vita a recensioni e passaparola negativi.

Un cliente “in linea” aumenta le possibilità di vendita e di successiva fidelizzazione.

Perché questo è ciò che veramente conta!

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Venditori: cosa non fanno i migliori

by Oliviero Castellani

Leggiamo spesso degli atteggiamenti, delle abilità, delle competenze e dei valori seguiti dai professionisti della vendita, ed è sempre un bene migliorarsi grazie alle loro best practices.

Tuttavia, è altrettanto utile osservare cosa evitano di fare, così da poterci allontanare da pratiche controproducenti, caso mai ci appartenessero, o ne fossimo tentati.

Eccone alcune che sarebbe meglio abbandonare.

Voler cambiare l'altra persona

Prospect, Clienti e Sponsor fanno quello che fanno per le loro ragioni, non per le nostre, e cercare di cambiarle è come affermare che ci sia qualcosa di sbagliato in loro.

Comprendiamole, facciamo domande appropriate e diamo loro le quelle informazioni che potrebbero aiutarle a modificare da se stesse il proprio punto di vista e, di conseguenza, le proprie azioni.

Cercare di accontentare tutti

È normale desiderare di essere piacevoli e andare d’accordo con tutti.

Non succederà mai, potremo piacere a molte persone, ma non a tutte, perciò, resistiamo all’impulso di voler essere apprezzati da tutti; l’essere camaleontici, e la continua ricerca del consenso, porteranno a inevitabili delusioni.

Piuttosto concentriamoci su quegli interlocutori più vicini ai nostri valori, o al nostro cliente ideale.

Dimenticare di imparare dai propri errori

Gli errori non sono fallimenti, potrebbero esserlo se non si impara nulla da loro e non si cambia ciò che non funziona.

Ogni singola azione ha un risultato: se non telefoniamo a freddo, se non effettuiamo chiamate di follow up, ecc., tutto ciò genererà risultati, risultati che probabilmente non vorremmo.

Riflettiamo sul perché le cose sono andate in un certo modo e cerchiamo come potremmo fare diversamente in futuro: cambiare se stessi è possibile se ci facciamo le domande appropriate e siamo disposti a modificare il nostro punto di vista.

Vedersi come vittime

Non è mai colpa nostra quando le cose vanno male, e puntiamo il dito verso qualcuno, qualcosa o entrambi.

Cercare giustificazioni e vedersi come vittime, ci costringerà a diventare più negativi e amareggiati.

Le cose vanno come devono andare, sono le onde della vita.

Se ci fosse la possibilità, chiediamo a chi vorremmo “accusare” perché non ci siamo “incontrati”, potremmo imparare qualcosa, evitando di voler scendere dal mondo.

Trascurare crescita e sviluppo personale

Spesso le attività di training e coaching, che si tratti di auto-formazione fatta dal singolo, piuttosto che di formazione aziendale, vengono messe in atto quando sono evidenti stati di crisi e malessere.

Non rendere sistematiche le possibilità di crescita e sviluppo, e l’intervenire come palliativo, rallenta i progressi e genera una maggior pressione su chi deve vendere, proprio perché chiamato a rincorrere le richieste dei clienti che cambiano, e si sviluppano, rapidamente con il passare del tempo.

Follow up periodici possono favorire un efficace miglioramento, serenità e risultati.

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . . 
si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

 

Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà,  potete chiamare lo 02.498.70.21
chiedendo di Oliviero Castellani
o inviare una mail