Approccio: quando ci chiedono “cosa fai”?

In fase di approccio ci sono molti modi per rispondere alla domanda “cosa fai”?

La risposta ha il potere di creare, o distruggere, la nostra occasione di fare la giusta impressione con un potenziale cliente.

Ogni persona, venditore o manager, ha il suo stile di approccio, e tra questi ve ne sono alcuni che respingono inevitabilmente l’interlocutore, altri che ne ottengono attenzione e interesse.

Nel primo caso ricadono modi che possono tranquillamente essere definiti di “approccio autoreferenziale”; fanno leva su referenze, citazioni, ecc. e possono essere riassunti nella frasi che seguono:

“. . . Io lavoro solo con le migliori aziende del settore. Elite e Snob sono tra i miei principali clienti, ma potrei citare anche Big Level e The Best e sono a stretto contatto con top manager  come Rico Migliore, Lira Denaro e Gennaro Tantaroba, dei quali avrà sicuramente sentito parlare. Gestiamo i loro sistemi finanziari (dipende dal settore in cui il nostro eroe opera) in particolare nel business dei micro-finanziamenti internazionali. “

” . . . mi occupo da oltre 20 anni di . . . e lavoro per . . . primaria società internazionale che . . . .”

Impressionante vero? 

Se si vuole far di tutto per essere sicuri che gli altri capiscano quanto siamo importanti, non stiamo sbagliando una virgola, e non ci stiamo facendo mancare niente nel nostro repertorio autocelebrativo.

Il problema è che questo tipo di approccio è quantomeno scoraggiante; in genere gli altri non gradiscono le situazioni in cui, chi si presenta loro, ama mostrare la propria superiorità intellettuale o la propria elitarietà.

Di fronte a gente pomposa, di solito, ci si ritira con garbo.

Un vecchio proverbio recita “chi si loda, si imbroda“:

Nel mondo del business, come  da più parti viene ricordato, agli altri non interessa chi siamo o cosa facciamo in senso assoluto, ma in senso relativo, ovvero se chi siamo, e cosa facciamo, può essere loro utile.

Come potrebbe essere formulato un approccio che possa invogliare il prospect a prestare attenzione e avere interesse a ciò che diciamo?

Concentrandoci sui loro bisogni, problemi e preoccupazioni. 

Ecco alcuni piccoli esempi:

 – ” Supporto persone che quotidianamente promuovono prodotti e i servizi di . . . per favorirne-migliorarne i risultati di vendita” 

 – “Aiuto le piccole imprese a concludere contratti  importanti con i grandi clienti corporate.”

 – “Offro soluzioni e strumenti che  permettono ai miei clienti di non avere conseguenze economiche qualora determinati imprevisti dovessero manifestarsi in ambito personale-familiare-professionale-aziendale

– “Aiuto i miei clienti a costruirsi un futuro economicamente tranquillo, indirizzando i loro risparmo in strumenti utili a realizzare i loro progetti”

Questi sono alcuni esempi di approccio che ho visto realizzare con successo. 

Tutti mettono al centro il cliente e i suoi bisogni, tutti offrono argomenti utili stimolare eventuali domande e conseguenti discussioni, che è esattamente quello dovremmo volere quando qualcuno ci chiede “cosa fai”?

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

Per maggiori informazioni, per un incontro conoscitivo, per definire come l’intervento possa allinearsi alla vostra realtà,  potete chiamare lo 02.498.70.21 chiedendo di Oliviero Castellani o inviare una mail

Prospect: trovare i decisori aziendali

Parlando di prospect, se vogliamo avere la possibilità di partire col piede giusto quando ci avviciniamo a un nuovo cliente azienda, dobbiamo sforzarci di entrare in contatto con interlocutori in grado di decidere, o quantomeno nella posizione di poter influenzare  chi è deputato a prendere la decisione.

Potrà sembrare banale, ma la prima cosa da fare è individuare le persone che occupano i ruoli che vorremmo avvicinare o, meglio ancora, che all’interno di quell’azienda possono essere i nostri riferimenti diretti.

Non tutte le aziende hanno la stessa struttura e la stessa gerarchia decisionale e , quando si chiama per chiedere a chi ci si può rivolgere, molte di esse hanno una serie di filtri che non ci permettono nemmeno di conoscere il nome di chi potremmo contattare.

Fortunatamente viviamo nell’epoca in cui le persone amano comunicarsi al mondo e il web è il principale strumento che utilizzano per dare voce a ciò che hanno da dire.

Utilizzare i social business come Linkedin (ricerca avanzata per ruolo o titolo) è sicuramente il mezzo più veloce quantomeno per trovare i nominativi che possono fare al caso nostro; contattarli e relazionarsi con loro è tutta un’altra storia, ma sapere con chi dovremmo interloquire è già un ottimo inizio.

Il sito web del cliente potenziale può essere utile in quanto alcune aziende mettono organigrammi o persone di riferimento, ma più le aziende sono grandi, più le informazioni di nostro interesse sono difficili da individuare.

Ci sono poi i servizi a pagamento che però, in Italia, soffrono di un grado di obsolescenza elevato.

Personalmente, esauriti i primi due step, telefono direttamente all’azienda per chiedere il nominativo di riferimento; devo dire che negli anni ho affinato un approccio che, il più delle volte, mi permette di ottenere ciò che sto cercando.

Questi modi per individuare i decisori, semplici, immediati, e alla portata di tutti che non sempre vengono utilizzati profittevolmente dagli addetti ai lavori i quali tendono a prediligere la telefonata al buio (quella che personalmente utilizzo come ultima risorsa) convinti di guadagnare tempo, fare più telefonate, e quindi di essere più efficienti nel generare opportunità.

Eppure chi lavora con metodo fa meno telefonate, ma con nominativi mirati, migliorando non solo la propria efficienza, ma anche l’efficacia nel contatto

Come direbbe il saggio “sapere una cosa, ma non farla, è come non saperla“.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

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Vendere: quando la relazione non basta

Vendere richiede sempre maggiori competenze e orientamento al problem solving.

Penso che nei prossimi anni vedremo presto la perdita totale di venditori simpatici.

Perché? 

Semplicemente perchè i clienti (siano essi privati o decisori aziendali) non hanno assolutamente tempo, né interesse, per lavorare con venditori che hanno l’obiettivo principale di costruire relazioni e fornire un ottimo servizio.

Vogliono lavorare con professionisti esperti capaci di offrire loro, costantemente, risposte e soluzioni ad alto valore.

Per evitare l’estinzione soprattutto nel B2B, i venditori relazionali, per intenderci quelli che si affidano ai microsegnali per generare empatia, o a magiche parole magnetiche, devono affinare le proprie competenze personali nei settori pertinenti ai loro clienti.

Devono saper offrire idee, intuizioni e informazioni che aiutino i loro interlocutori nel raggiungere i loro obiettivi aziendali.

Certo le soluzioni offerte grazie ai propri prodotti o servizi hanno la loro rilevanza, ma essere “empatici relazionatori” già oggi, per molti interlocutori, non è più sufficiente.

La gente è stanca dei visitatori professionali, ne è tempestata giorno e notte. 

Se devono dar retta a qualcuno occorre che quest’ultimo sappia differenziarsi offrendo loro un motivo più che valido per ottenerne l’attenzione e il tempo.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

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Closing: sollecitare le opportunità in sospeso

Pensiamo a quei prospect, a quelle opportunità in sospeso, che vorremmo portare a “closing” questo mese.

Siamo sicuri di portarle tutte a chiusura nei tempi che ci siamo prefissati, o che abbiamo concordato con loro?

Se così fosse dovremmo chiederci come mai il 60% delle trattative, e quindi delle persone con cui siamo in affari, che ci aspettiamo di chiudere entro i termini prefissati, non si trasformano in “closing”.

Non stanno considerando altre offerte, e nemmeno stanno pensando di rivolgersi a un nostro competitor,  semplicemente si stanno chiedendo se davvero ha senso cambiare dando seguito all’acquisto e, in molti casi, dovendo decidere e risolvere da soli dubbi e problemi sorti dopo il nostro incontro, scelgono di non modificare il proprio status quo.

Le nostre opportunità per aumentare i tassi di “closing” stanno nel concentrarci proprio sul 60% degli indecisi, che troppo spesso abbandoniamo a loro stessi.

Facciamoci due domande essenziali

  1. Come posso aiutarli a capire che non modificare lo status quo fa perdere loro possibilità e opportunità? Le persone non amano perdere, e questo potrebbe spostare la loro decisione a nostro favore.
  2. Come possiamo facilitare la loro decisione? Riducendo il loro rischio d’acquisto e quindi riducendo la loro paura di sbagliare, semplificando il processo e quindi semplificandogli la vita, potremo migliorare i risultati, e recuperare una parte, se non buona parte, delle proposte pending.

Quindi, piuttosto che correre fuori a caccia di nuove vendite, diamo un’occhiata seria a quelle che abbiamo in sospeso. 

Il nostro 60% ha in sospeso un acquisto e quindi un cambiamento e possiamo aiutarla a decidere per il meglio.

La nostra passività ci porterà quasi sicuramente a perdere l’opportunità.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

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Venditori consulenziali

Venditori attenti, e al passo con il cambiamento, cercano la collaborazione dei clienti conversando con loro. 

Più che far leva su presentazioni ad effetto cercano un approccio consulenziale, volto a conoscere la realtà del cliente.

Quando fanno una presentazione lo fanno in modo interattivo e collaborativo, ricordando che più gli interessi di chi compra saranno centrali, più le loro attività di consulenziali agevolranno il momento in cui dovranno, da venditori professionali, entrare nel vivo della fase negoziale.

La predisposizione a collaborare, per quanto elemento potente e convincente, è spesso sottoutilizzata.

Ancora oggi troppi venditori sembrano prestigiatori pronti ad estrarre il coniglio dal cilindro per influenzare il processo decisionale, e di acquisto, della controparte.. 

I venditori capaci di realizzare una partnership con i propri interlocutori possono:

  • instaurare una relazione di fiducia;
  • approfondire la comprensione dei loro bisogni e delle loro necessità;
  • rafforzare la percezione di qualità e di applicabilità delle soluzioni proposte
  • condividere intuizioni e nuove idee
  • posizionarsi nella mente dell’acquirente differenziandosi dai concorrenti  (proprio perché la maggior parte dei venditori non collabora con chi compra)

Vendere a freddo, senza interagire e generare un minimo di “confidenza” con chi compra, richiama l’immagine di venditori simili a gladiatori che, posti davanti all’imperatore, attendono il verdetto (pollice alto o basso).

Non dovrebbe essere così, e non deve essere così.

Proprio perchè, come dicevamo, la predisposizione a collaborare, per quanto elemento potente e convincente, è spesso sottoutilizzata, quando chi vende riesce a instaurare una conversazione collaborativa con chi compra, può migliorarne il processo d’acquisto e influenzarne le decisioni.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

Cosa spinge chi compra a scegliere un fornitore piuttosto che un’altro?

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Trattativa in fase di stallo?

Ogni venditore, o consulente alle vendite, sa cosa significa l’esperienza frustrante di un accordo in fase di stallo.

Un detto recita “le cose lunghe sono serpi” e, anche se il desiderio principale di ogni commerciale è quello di rivitalizzare – rilanciare la trattativa in stand by, vi è un dubbio che a un certo punto affiora “meglio lasciar perdere, non sprechiamo ancora tempo ed energia, e passiamo ad altro”.

Ma fare questo significa veramente cercare un’occasione o una nuova opportunità?

Dipende.

In ogni caso la prima cosa da fare è verificare se l’accordo in fase di stallo è qualificato, e se il nostro interlocutore risponde a questi criteri:

  1. Ha un bisogno e ne è consapevole?
  2. Ha l’autorità per decidere e ha la possibilità di acquistare?
  3. È una sua priorità (problema o miglioria)?
  4. Ha fiducia in noi e nella nostra organizzazione?
  5. Ci ascolterà?

Se ci troviamo di fronte a una situazione qualificata, è sciocco non riprendere il processo di vendita.

Ma come evitare di cadere nella trappola di manifestare apertamente la nostra ansia da prestazione?

Inviandogli qualcosa che abbia per lui un valore immediato

Anziché cercare di forzare la risposta del “cliente potenziale”, l’invio di un articolo, di una notizia del nostro blog, di un’informazione che potrebbe essergli preziosa, possono dar vita a una “conversazione produttiva”, grazie alla quale tornare in gioco.

Ottenendo la sua attenzione

Il nostro cliente è, come la maggior parte delle persone, occupato e ha una casella di posta  molto probabilmente intasata dai più svariati messaggi.

Fare qualcosa che porta a perdersi, anziché riconnettersi, è un attimo.

A volte scrivere una nota (a mano o al pc) e recapitarla all’indirizzo del nostro interlocutore potrebbe fare la differenza.

Riconsiderare-considerare gli altri contatti dell’organizzazione

C’è sempre la possibilità che l’organizzazione del “cliente potenziale” possa davvero trarre beneficio dalla nostra soluzione, ma che non si stia parlando con l’interlocutore migliore per fare leva sulla decisione finale.

Se un accordo è in stallo, ma ci sono i presupposti perché sia buono per entrambe le parti,  è bene ricercare ulteriori contatti che potrebbero aiutarci a “far girare la palla” (LinkedIn potrebbe essere utile per una ricerca mirata).

In questi casi occorre tatto così da non offendere il contatto originale

Se consideriamo questo approccio troppo rischioso, possiamo cercare di suggerire al nostro contatto di vedere insieme chi altro nell’organizzazione potremmo coinvolgere per sbrogliare la situazione;  non si sa mai, potrebbe anche essere contento di avere qualcuno che lo aiuti dall’interno.

Rendere più facile la vita al prospect

Anche se il nostro contatto ha l’autorità per decidere, è possibile che debba condividere tale decisione con altri membri dell’organizzazione; oggi i sistemi decisionali sono più complessi, così come il numero delle persone coinvolte.

Possiamo aiutare il nostro contatto nel convincere gli altri decisori, attraverso un report mirato, un business case o con la nostra presenza a una presentazione collegiale face to face.

Se il compito del nostro “sponsor” è quello di convincere gli altri all’accordo, facilitargli la “vita” è il minimo che possiamo fare per lui.

Quattro semplici azioni alla portata, e molto probabilmente a conoscenza, di tutti, ma troppo spesso tralasciate, dimenticate, sottovalutate.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

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Vendere: 2 scelte “no stress + efficacia”

Vendere richiede serenità, eppure quante volte ci sentiamo pressati, quasi superati dalle incombenze e dalle urgenze, al punto da chiederci se ce la faremo a fare tutto.

E allora cominciamo ad allungare le nostre giornate, guardiamo le mail alle 7 del mattino se non a notte fonda, mangiamo qualcosa al volo riducendo a pochi minuti la nostra ora di pranzo, e, nella maggior parte dei casi, a fine giornata ci sembra di non aver fatto nulla.

Ci sono persone che amano questa sensazione di “instabile pienezza” e si creano impegni per non avere vuoti, ce ne sono altre che, se potessero fare a meno di un po’ di stress e dedicarsi un po’ più a se stesse, chiederebbero immediatamente “dove devo firmare“?

Io sono tra le seconde, pigro per natura, iperattivo per necessità, ho imparato a focalizzare il mio “fare” per ridurre il mio stress, e aumentare la mia efficacia come venditore.

Innanzitutto ho ridefinito, riducendola, l’ampiezza del mio target; in passato puntavo alle aziende in funzione del loro fatturato e della loro struttura convinto che lavorare per una piccola azienda costasse la stessa fatica che doverlo fare per un committente importante, con la differenza che il “grande” garantiva commesse più sostanziose.

Oggi il mercato è differente e se la pensassi ancora così, probabilmente avrei seri problemi di business.

Perciò mi sono focalizzato non più sui numeri, ma sulle possibilità di successo, ovvero definendo come, e con quali clienti, posso fare veramente la differenza rendendomi utile a migliorare concretamente la loro situazione.

Risultato? Meno chiamate e contatti più mirati e produttivi per vendere con minor ansia da prestazione.

Contestualmente mi sono focalizzato su come poter rendere sempre più di qualità il tempo che i miei interlocutori mi dedicano.

Investo il mio tempo nel prepararmi su di loro e sul loro business, sulle domande che mi possono aiutare a comprendere meglio le motivazioni e le priorità di chi ho davanti.

Il risultato? Meno prospect a cui vendere, ma con un miglior tasso di chiusura e importi interessanti.

Non essere di natura iperattiva mi permesso di concentrarmi sull’efficienza utile a migliorare la mia efficacia, riducendo lo stress di chi sembra perennemente costretto a inseguire e inseguirsi, guadagnandomi il tempo di godermi le cose divertenti della vita quali essere marito, padre e nonno.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona,e sta già funzionando per altri!

Cosa fa di un venditore un top performer?

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Concorrenza: se il cliente ha già un fornitore

Immaginiamo la situazione:

Otteniamo finalmente un incontro (faccia a faccia o telefonico) con un “grande cliente”, qualcuno che risponde pienamente al nostro profilo ideale, ma a un certo punto della conversazione, mentre stiamo cercando di dare il meglio di noi stessi, il nostro interlocutore ci gela dicendoci “siamo già a posto” oppure “lavoriamo già con“!

Cosa facciamo a questo punto?

Molti commerciali abbozzano un sorriso, in alcuni casi tentano una leggera insistenza, per poi educatamente dire qualcosa come: “Grazie per la chiacchierata” o “Capisco,  è stato un piacere” e spostarsi al prossimo “cliente potenziale“.

Prendere questo come un “no per sempre“, per il semplice fatto che il nostro interlocutore sta già lavorando con un concorrente, potrebbe significare perdere un’ottima opportunità di vendita, anche se non immediata.

Se il prospect ci dice che sta già lavorando con un concorrente per una necessità che avremmo potuto soddisfare, significa che un domani potrebbe prendere in considerazione anche un nuovo fornitore qualora ne vedesse, e ne riconoscesse, il valore di chi può essere in grado di soddisfare le sue richieste.

Che cosa si può fare per iniziare a costruire il rapporto e “piantare il seme” per un’opportunità futura?

  1. “Informarsi sui criteri che il cliente utilizza nello scegliere e mantenere un fornitore” Non dev’essere un’intervista di vendita, ma una conversazione che inviti il cliente a parlare. Sulla base di quello che ci verrà detto potremmo scoprire zone in cui ci potrebbero essere problemi con l’attuale fornitore, o nella soluzione che sta utilizzando. Potrebbero esserci anche più fornitori il che potrebbe aumentare le probabilità, e accorciare il timing, per poter entrare in gioco.
  2. “Chiedere se c’è qualcosa in cui gli piacerebbe migliorare” Per indurre il prospect a pensare a eventuali nuove idee, o cambiamenti, in ciò che potrebbe non soddisfare pienamente le sue aspettative, piuttosto che indurlo a vedere le cose in un modo diverso.
  3. “Come fate …? Che cosa succede quando …?” Fare domande proprio su ciò in cui si pensa di poter dare risposte migliori del concorrente, e quindi avere maggiori punti di forza. Per chi è nella formazione potrebbe essere “misurare l’efficacia dei risultati d’aula a distanza di tempo”, “il metodo e i timing di apprendimento”, “la pragmaticità e l’immediata applicazione di quanto appreso”, ecc. Confrontarsi su argomenti  legati al prodotto, al servizio, all’assistenza, alle procedure, ecc. può portare l’interlocutore a mettere a confronto ciò che ha e ciè che dovrebbe o potrebbe avere.
  4. “Quando si tratta di un <argomento importante> offrirsi per un feedback.” Offrire un feed back o una propria lettura di come  “si potrebbe fare“,  permette al cliente di sperimentare in prima persona cosa vuol dire lavorare con noi, e cominciare a costruire un rapporto che potrebbe esserci molto utile quando il “compratore potenziale” prenderà in considerazione un nuovo fornitore. 

La prossima volta che un compratore ci dirà: “stiamo già lavorando con . . .” anziché ritirarci, adoperiamoci a costruire da subito una “relazione commerciale; persistendo e perseverando potremo acquisire nel tempo nuovi clienti perchè, prima o poi, qualcuno cambia o aggiunge un nuovo fornitore.

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Telemarketing: ecco come Max chiama a freddo

Si chiama Max ed è tra i migliori che conosco nel chiamare freddo nel telemarketing B2B. 

Supera più filtri di chiunque altro, e genera contatti, e incontri, con persone che non hanno mai sentito parlare di lui.

Si può essere come Max? 

Certamente, ecco come fa : 

1)    Max è autorevole e sicuro di sé, non balbetta, mantiene un tono di voce confidenziale, ma allo stesso tempo professionale, sia quando si presenta, che quando chiede di parlare con . . . conquistandosi il diritto di essere ascoltato.

Se gli chiedono il motivo della chiamata, non ci gira intorno raccontando improbabili “favole dell’orso”, ma afferma le sue intenzioni con semplicità e chiarezza.

2)    Max non ha fretta, si prende il tempo per capire la situazione del cliente, non cerca di chiudere velocemente, ma di capire come decide il suo interlocutore, a quali necessità dà la priorità; è per questo che le sue chiamate si trasformano spesso in conversazioni.

3)    Max fa parlare il cliente, gli pone domande intelligenti, e non parla di prodotti o programmi, ma di risultati.

Cerca di capire le sfide del cliente e di come può aiutarlo nell’affrontarle.

4)    Max conosce il valore di quello che sta vendendo, non ha paura di essere messo da parte, non si fa “bloccare” dalle obiezioni che il cliente solleva, ne riconosce il fondamento ed è sempre pronto ad ascoltare e argomentare.

5)    Max non parla di concetti astratti, ma di fatti e risultati tangibili.

Max è un ragazzo intelligente, ma non era nato per essere tra i migliori interpreti della chiamata a freddo.

Max ha imparato un metodo che gli permette di rinnovarsi costantemente rimanendo al passo con un mondo che cambia.

Ogni team di vendita, proprio come Max, può migliorare  i propri risultati di contatto a freddo con “clienti potenziali che non ci conoscono” acquisendo il metodo che fa di Max uno dei migliori nelle chiamate a freddo.

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