“Sono soddisfatto del mio fornitore” non è un’obiezione

Molti, se non troppi, venditori si sentono confusi, frustrati, sconfitti da quella che ritengono essere un’obiezione quasi insormontabile “sono soddisfatto del mio attuale fornitore-venditore; è da anni che facciamo affari insieme e non vedo motivo di cambiare“.

Ma questa non è un’obiezione, è un dato di fatto che dovrebbe essere previsto.

Purtroppo si vive nell’illusione che gli altri siano lì ad aspettarci.

Pensate veramente che il prospect sia lì, senza un fornitore o un venditore, ad aspettare la vostra chiamata?

Non pensate che, se fosse infelice della sua attuale controparte, molto probabilmente avrebbe già fatto qualcosa al riguardo, magari chiamando voi o un vostro concorrente?

Che i prospect possano essere soddisfatti di coloro con cui lavorano lo si dovrebbe supporre ancor prima di mettersi in contatto, purtroppo i più sperano di sentirsi dire proprio il contrario.

Se ci si sente dire “ho già un fornitore e non vedo motivo di cambiare” è sufficiente rispondere “certo, questo lo immaginavo, così come credo che lei sia soddisfatto“, evitando i terreni paludosi del proporsi immediatamente come possibile alternativa.

Spostare la conversazione dal “loro fornitore” al motivo della chiamata è compito del venditore, non del prospect.

Perché chiamate?

Per conoscerlo, per farvi conoscere, per vendere, per capire come sceglie i suoi fornitori, o per cos’altro?

Chiedetegli il tempo per un breve incontro in cui dare informazioni che potrebbero essergli utili, dichiarando apertamente che, se anche non lavorerete insieme, sarete comunque “felici” di poter condividere le vostre idee con lui.

D’altronde una porta può essere chiusa a tripla mandata, ma anche no.

È sufficiente ricordarsi che gli insoddisfatti, a differenza delle persone soddisfatte, fanno normalmente più fatica a lasciare entrare chi si propone loro come alternativa alla propria insoddisfazione.

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Preparare buone domande

Probabilmente avrete sentito dire, fin quasi alla nausea, che essere un buon ascoltatore è la chiave per avere successo nelle vendite. 
Pur essendo d’accordo che saper ascoltare sia essenziale, permettetemi di sottolineare che, nella vendita,  la capacità di fare 
buone domande è ancora più importante.
Perché?
Si dice che il cervello non sia in grado di fare due cose contemporaneamente, per cui, secondo questa affermazione, o si ascolta, o si pensa alle domande da porre.
Quindi, per quanto sia fondamentale ascoltare il prospect, se non porrete le domande giuste, tutto quello che otterrete sarà una conversazione che probabilmente rinsalderà la relazione, ma che non farà avanzare di un passo il processo di vendita.
L’unico modo per avere una conversazione di valore che permetta di ascoltare e dare attenzione al prospect, è quello di pianificare le vostre domande prima dell’incontro.
Preparate quello che vorreste chiedere al prospect circa la sua situazione attuale, gli eventuali problemi, le prospettive di sviluppo e le sfide che dovrà affrontare nel prossimo periodo.
Pensate a domande che potrebbero realmente farlo riflettere, portandolo a considerare, e pensare, cose nuove.
Scrivete le domande e portatele con voi all’incontro. 
Incontrando il prospect sarà sufficiente dire: “In occasione del nostro incontro ho scritto un paio di domande che credo possano esserci di aiuto . . . .” 
Non ho mai incontrato un prospect che non considerasse professionale tale comportamento.
Grazie al fatto di esservi preparati,  potrete rilassarvi e ascoltare davvero.

Avete richieste su come “preparare buone domande per un’efficace processo di vendita“? contattateci

Non è solo questione di prezzo

In quasi tutti i programmi di formazione alla vendita si fa leva sull’importanza di qualificare i propri prospect e di accertarsi che abbiano un budget a disposizione perché, se non ce l’hanno, è segno che, probabilmente, non hanno intenzione di acquistare.
Ma questo non è sempre vero.
Qualche tempo fa un mio amico, che offre supporto  per il posizionamento sul web e sui social media, mi ha raccontato il metodo che utilizza per agganciare potenziali clienti, molto semplice e, a detta sua, quasi efficace.
Visitare il sito, rilevare i punti deboli (anche in riferimento ai social media), mandare una mail al “prospect” sottolineando quanto riscontrato, e nella quale chiedere se è interessato a saperne di più, proponendo un incontro.
Tutto liscio fino a quando non doveva affrontare la questione cruciale della gestione del prezzo e, di conseguenza, dell’impegno del cliente.
Se era lui a fare il prezzo – ed era congruo – il più delle volte si trovava a dover gestire estenuanti tira e molla col cliente, e se tentava l’approccio con una richiesta più alta, per gestire lo sconto da una posizione più favorevole, rischiava di non iniziare nemmeno la trattativa.
Aveva anche tentato la strada di chiedere ai clienti quanto era il budget che avrebbero potuto mettere a disposizione per il progetto, ma questa richiesta creava ulteriori impasse in quanto, i clienti, pur rendendosi conto della necessità di mettere mano al sito, non avevano la più pallida idea di quanto potesse costare, per cui si tornava alla modalità trattativa di prezzo.
Mi ha chiesto se potevo dargli una mano, e con piacere l’ho fatto.
Gli ho spiegato che il nostro cervello non prende decisioni in termini assoluti, ma deve avere dei punti di riferimento.

Daniel Kahneman nel suo libro “pensieri lenti e veloci” dimostra che il nostro cervello ha due sistemi, il sistema “uno” veloce che da subito la risposta, il sistema “due” un po’ più lento, razionale . . . il problema è che il sistema uno ci frega quasi sempre.
In altre parole ho suggerito al mio amico di articolare la sua proposta secondo alcuni 
criteri che gli permettessero di far riflettere il cliente, coinvolgendolo nella definizione della soluzione e del prezzo per lui più adeguati.
A quanto pare, ora, le cose vanno meglio e i tassi di chiusura sono sensibilmente  aumentati.

Avete domande su come “articolare con efficacia il prezzo“? contattateci

Venditori e cambiamento

Durante una congiuntura difficile, se non decisamente problematica, i vostri venditori, così come i loro concorrenti, si trovano a dover affrontare clienti che non hanno intenzione di fare alcun cambiamento e tendono a rinviare gli acquisti.

Diversamente, in periodi di congiuntura favorevole, è possibile che gli stessi clienti mettano i vostri venditori a confronto con quelli di un’altra azienda che vende prodotti e servizi simili.

A comportamenti di acquisto così diversi, le competenze a cui i venditori devono ricorrere sono differenti.

Durante periodi di congiuntura favorevole è possibile produrre risultati accettabili grazie alle proprie abilità nella presentazione, nella differenziazione e nella chiusura.

Nelle fasi di contrazione, tuttavia, le competenze in cui viene richiesta un migliore l’efficacia sono la prospezione, lo sviluppo della clientela, e il realizzare – far apprezzare  – la propria value proposition al cliente.

Possiamo affermare che ogni vendita di successo è la conseguenza della capacità di saper porre in essere una serie di comportamenti differenti (come si fa qualcosa), e attività conseguenti (quante volte viene eseguito un comportamento), a seconda del contesto, e delle circostanze, in cui ci si trova a operare.

Purtroppo molti sales manager agiscono quasi sempre a posteriori,  limitandosi a gestire le proprie risorse in funzione dei risultati, intervenendo con coaching approssimativi, nella speranza di porre rapidamente rimedio a una situazione non soddisfacente.

È come se, questi responsabili, cercassero di gestire i risultati alla stregua di un automobilista che procede guardando unicamente nello specchietto retrovisore.

È  probabile, se non certo, che rimarranno sempre sorpresi nell’entrare  in collisione con qualcosa di inaspettato. 

I migliori sales manager sanno che, per quanto i fattori congiunturali non possano essere gestiti a priori, il supportare i comportamenti e le attività di chi vende, nei differenti cicli economici, può essere fatto, così da contribuire concretamente nel sostenere il proprio team  e i risultati conseguenti.

Avete domande su come aiutare le vostre persone di vendita “in questi periodi di contrazione“? contattateci

Quando dicono “ci devo pensare”

Quando incontro gruppi di venditori cerco sempre di capire come cercano di “avere l’attenzione” dei propri prospect e quali limiti riscontrano nel cercare di riscuoterne l'”interesse” o  la loro “adesione“.
La maggior parte di loro ha seri problemi nel “recall” di clienti potenziali, che rinviano la decisione,  con argomentazioni più o meno
veritiere, a un momento successivo.
La domanda che mi rivolgono è “perché un prospect (ma anche un cliente) che mi dice <<ci sentiamo la prossima settimana . . . ci devo pensare, mi richiami>>, quando lo richiamo non lo trovo mai“?
Se chiedo “quanti di voi hanno il sospetto che <<il mi richiami, ci sentiamo più avanti>> sia un modo gentile per dire non mi interessa”, la maggior parte annuisce.
Se poi aggiungo “quanti di voi hanno il coraggio di fare una domanda di controllo immediata per verificare l’onestà intellettuale della controparte“, emerge che in pochi la fanno.
Alcuni hanno paura di apparire scortesi o invadenti, altri si illudono che il tempo possa giocare a loro favore, altri ancora guardano con lo sguardo interrogativo del “ma cosa vuoi chiedere, è tempo perso“.

Rispetto sempre qualunque risposta, perché fa parte del vissuto delle persone che incontro, ma mi permetto di  far loro osservare la scomoda realtà per la quale, in ogni caso,  stanno unicamente prolungando ciò che l’istinto ha già trasformato in “frustrazione” o “sofferenza“.
Cercare di  
allontanare, quando  scomodo,  il “momento della verità”,  è tra i fattori comuni  della maggior  parte dei  venditori che , vivendo il “NO”  come una sconfitta, preferiscono il limbo del “forse“.

Quando Albert Einstein parlava della follia, la definiva in questo modo: “fare la stessa cosa più volte, in attesa di risultati diversi“.
Quindi perchè continuare con comportamenti di vendita inefficaci, nella speranza di risultati diversi?
Se, al rinvio della decisione da parte del cliente, non c’è quasi mai un seguito, forse, prima che del prospect, il problema è del venditore.
Quando quella che si ottiene è una risposta  vaga, la speranza di riuscire comunque a programmare un’altra chiamata, o un incontro faccia a faccia, diventa secondaria.
Risulta fondamentale riaprire la discussione per verificare, con ragionevole “certezza”, se il rinvio è legato a un reale interesse, o a una “scusa gentile“.
Chiediamo la possibilità di fare un’ultima domanda, utilizziamola per capire cosa gli impedisce di decidere in quel momento, e magari scoprire un mondo che va dal non ho abbastanza soldi, al sentirò altri fornitori . . . . . dal devo parlarne con . . ., al non mi interessa.
Il “ci devo pensare” è una medaglia a due facce, da una parte rappresenta il fallimento della trattativa, dall’altra l’opportunità; in entrambi i casi impegnarsi a gestirlo con efficacia è sicuramente utile per le trattative a venire.

Avete domande su come aiutare le vostre persone di vendita “nel saper destare e riconoscere l’interesse nei propri prospects“? contattateci

Anche se non lavoreremo insieme, saremo felici di confrontarci e condividere le nostre idee senza impegno.

Fare le domande giuste aiuta a vendere?

Porsi e porre le domande giuste è la chiave per ottenere le risposte giuste, ovvero le informazioni utili. 

L’esperienza di trainer e coach mi ha insegnato che gli “addetti alle vendite” (di settori, complessità e professionalità differenti) impegnano la maggior parte del loro tempo, nella trattativa, nel profondersi in informazioni e spiegazioni finalizzate cercando di convincere, e persuadere, chi hanno di fronte, e molto meno nel fare domande al fine di capire e conoscere il  processo decisionale di chi vorrebbero influenzare.

Eppure i clienti sono, nella maggior parte dei casi, persone che devono decidere se dar seguito, o meno, a un “desiderio” d’acquisto, e non sempre quello che il venditore presenta corrisponde alla loro “visione del mondo“, e questo può generare non poche resistenze.

Le persone cambiano quando lo vogliono, o quando sono “costrette” a cambiare, e non in funzione del fatto che, chi vende, valuti favorevolmente i vantaggi che sta offrendo loro; quelli possono aver valore nel momento in cui, chi compra, decide di voler dar risposta a un bisogno, o a una necessità, che, dal suo punto di vista, non può più aspettare.

Per sapere sapere se un cliente (potenziale o attivo) sia veramente orientato al cambiamento, e quindi all’acquisto, è necessario porre le “domande giuste” per poter capire se, quello di cui stiamo parlando, è qualcosa a cui “deve o vuole” far fronte, e se sta prendendo in considerazione eventuali alternative, piuttosto che le conseguenze di una mancata, o inadeguata, soluzione.

Altrettanto importante è il confronto in funzione dell’impegno economico e finanziario; dal budget, alle effettive disponibilità, a quanto il clienta pensa di dover-poter investire per risolvere il problema (che si  tratti di una sofisticata piattaforma tecnologica, o di un piano pensionistico).

Non ultimo comprendere se chi abbiamo davanti è il solo decisore, piuttosto che l’influenzatore o lo sponsor dell’eventuale acquisto; ci sono situazioni complesse che implicano il “convincimento” di più attori del processo negoziale (si pensi alle vendite con più decisori di alto livello, piuttosto che a un’eredità in cui fratelli e sorelle, ognuno con una propria famiglia, devono accordarsi su come dividere, o cosa fare, dei beni ereditati).

Immagino che chi legge sappia già, con ogni probabilità, tutto questo, ecco il perché della domanda “Se tu potessi migliorare qualcosa nel tuo approccio alla vendita,  per portarla più rapidamente a chiusura, e con margini più elevati, cosa vorresti migliorare?”.

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Motivare i venditori nei momenti difficili

Nei momenti difficili, una cosa che come Responsabili Vendite non dovremmo assolutamente fare, è discriminare le persone del nostro team di vendita, dividendole in “buoni e cattivi” venditori.

In condizioni normali non è difficile essere un leader misurato ed equilibrato, ma in questi tempi difficili, in cui molti responsabili vendite (dal manager, al supervisore) si sentono come sulle montagne russe, quai avessero solo sulle proprie spalle il peso e il carico di “successi e fallimenti”, c’è la tendenza ad essere tesi e stressati, con le inevitabili conseguenze.
Ognuno di noi è ciò che è, ma ciò che siamo può modificarsi in periodi particolarmente stressanti, dando vita anche
 a comportamenti di gestione incoerente agli occhi altrui, il che può essere molto demotivante per alcuni membri della nostra squadra.

Facciamo attenzione alle nostre parole e al linguaggio del corpo, in modo da non palesare le nostre preferenze. 

Ogni team ha venditori A e venditori B.

Anche se il venditore B non contribuisce ai volumi e ai margini come il venditore A, il venditore B sta ancora contribuendo ai nostri risultati. 

Un osservatore neutrale non dovrebbe essere in grado di determinare, dalle nostre parole e dalle nostre azioni, che abbiamo delle preferenze circa i membri del nostro team.

Una parte significativa della motivazione di un venditore deriva dal senso di appartenenza e, finchè fa parte della squadra merita, nonostante tutto, il nostro rispetto.
Ogni componente del team ha esigenze diverse, un venditore può avere bisogno di coaching nella gestione delle obiezioni, un altro potrebbe avere bisogno di un riconoscimento positivo, mentre un terzo potrebbe aver bisogno del nostro aiuto nella definizione degli obiettivi personali. 
L’azione specifica può essere differente, ma ogni azione ha un tema comune …… il nostro impegno per il successo di ogni venditore del team.

Se avete domande circa i metodi,  i sistemi e gli  strumenti per la “sales transformation e la motivazione della rete di vendita” contattateci

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Vuoi vendere velocemente? Rallenta

La priorità di molti venditori è, solitamente, chiudere in fretta, come se di fronte avessero controparti disponibili a un acquisto d’impulso.
E poco importa che a ruoli invertiti, cioè quando sono loro stessi a trovarsi nei panni del compratore, la cosa che detestano di più, è che gli si metta fretta.
Rallentare il processo di vendita, per chi ha paura che il cliente possa cambiare idea o che, peggio ancora, possa rivolgersi a un concorrente, potrebbe sembrare un’idea folle.
Eppure se a queste persone chiediamo “ritieni sia importante, per poter trarre il massimo da una trattativa, capire il processo d’acquisto del cliente?” risponderanno quasi tutti “certamente“!
Kevin Davis nel suo libro “Slow Down, Sell Faster” sostiene che il segreto per vendere più velocemente sta nel rallentare la vendita.

Egli sconsiglia di vendere in base al proprio processo di vendita,  aiutando invece il cliente ad acquistare in base al proprio processo di acquisto.
Ci invita, inoltre, a sviluppare le competenze necessarie, identificando 8 ruoli che il venditore dovrebbe interpretare nelle diverse fasi del processo di acquisto-vendita.

Gli 8 ruoli del venditore:

  1. Lo studente: colui che vuole capire il cliente e l’azienda che rappresenta, e come i propri prodotti o servizi potrebbero andare bene;
  2. Il dottore: così da poter efficacemente diagnosticare le reali esigenze della controparte;
  3. L’architetto: definendo progetti e elaborando soluzioni orientate al cliente;
  4. Il coach: per analizzare la concorrenza e sviluppare una proposta capace di ottenere il favore del cliente;
  5. Il terapeuta: ovvero colui che gestisce il rischio d’acquisto, comprende le “paure” del compratore e lo rassicura;
  6. Il negoziatore: capace di offrire il proprio impegno per ottenere l’impegno del cliente;
  7. Il Maestro: insegna al cliente come ottenere il maggior valore dalla soluzione;
  8. L’agricoltore: coltivare la soddisfazione del cliente, perseguendone la fidelizzazione.

Qualcuno sorriderà dopo aver letto questi “abbinamenti“, qualcun’altro li considererà “le solite americanate“, e altri troveranno il tutto banale.
Questo è possibile, ma a prescindere dal fatto che l’esemplificazione figurata di Davis può avere un suo perchè, è altrettanto vero che, in un mondo che va di corsa, e con le pressioni che le persone dedicate alla vendita devono sopportare, confondere la fretta con la velocità è più facile di quanto si pensi
.
Come abbiamo detto, se, quando da venditori ci trasformiamo in compratori, non ci piace che ci facciano fretta e vogliamo essere sicuri di fare la scelta giusta, perchè dovremmo pensare che gli altri non dovrebbero comportarsi esattamente come noi?

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Diamo i numeri?

Con il mio team, abbiamo avuto l’occasione di incontrare, confrontandoci, venditori di settori differenti (Banche, Assicurazioni, Finanziarie, Energia, Macchine Agricole, Componenti Elettronici, Chimica, Meccanica) e con tipologia di clientela e modalità di vendita altrettanto differenti.

Eppure quando parliamo di prospect, tentatata vendita e presidio del cliente che ci rimanda ad un’altra occasione, alcune abitudini non conoscono barriere.
Ce ne rendiamo conto ogni volta che analizziamo i risultati dei questionari d’ingresso da noi utilizzati per avere un feed back immediato, utile a individuare le aree di maggior debolezza delle persone che ci vengono affidate, al fine di ottimizzare il risultato da perseguire.
Questa analisi (che prende in esame un lasso di tempo di circa 12 mesi), pur nascendo da riscontri di diverse centinaia di venditori,  non pretende di avere valore statistico o scientifico, ma semplicemente far riflettere sul perchè della necessità di una sales transformation se si “vuole essere – mantenersi – tornare ad essere” competitivi.
Sembra incredibile, ma, quando un cliente rimanda la decisione (e quindi non ha espresso rifiuti categorici o out out), 1 trattativa su 2 non ha seguito per decisione del venditore.
Se a quanto appena detto aggiungiamo che solo 1 venditore su 3 ricontatta sistematicamente almeno una volta il cliente, e che sono molti meno (poco più della metà) quelli che approcciano un terzo tentativo, ci possiamo rendere conto di quanto lavoro vada sprecato.

Perchè questi numeri?
Perchè, secondo molti degli intervistati, il cliente, oggi, sa cosa vuole.

Se si hanno il prodotto e il prezzo giusti, se si è capito cosa sta cercando e gli si spiega bene quello che gli stiamo vendendo, e lui non compra, i motivi vanno ricercati quasi sempre nelle sue possibilità di spesa o delle migliori offerte fatte da un altro fornitore“.
Tutti convengono che il cliente è oggi più informato, ma quasi nessuno cerca di avere informazioni da lui, se non quelle strettamente necessarie per capire di cosa potrebbe aver bisogno, salvo poi rimanere basiti, se non addirittura offesi, quando quest’ultimo sceglie proposte differenti dalla nostra.
Quasi tutte le “survey” fatte nei più disparati settori, compresa la vendita al dettaglio, affermano che circa il 70-80% delle vendite vengono effettuate dal terzo contatto in poi; vi è da dire che vi è anche chi dice dal 6° contatto in poi, e chi contesta entrambe le affermazioni.
Resta il fatto che la gran parte delle vendite, soprattutto se finanziariamente importanti, o complesse, non si chiudono al primo tentativo.

Il guaio è che i tre, o più, contatti non sono necessariamente quelli che un venditore ha con un cliente, ma sono, il più delle volte, quelli che un cliente ha con tre venditori, uno dei quali decide, a differenza dei suoi competitor, di non fermarsi al primo tentativo.
Tina Turner in “simply the best” cantava, “Sei semplicemente il migliore, meglio di tutto il resto -. Meglio di chiunque altro, chiunque altro io abbia mai incontrato” .
Tutti i venditori, agenti, funzionari commerciali, rappresentanti, ecc., disponibili sul mercato, vorrebbero poter vendere come nessun altro, essere il migliore ogni giorno.
Tutte le aziende vorrebbero assicurarsi un gruppo di venditori capace di rafforzare i risultati di vendita soprattutto in momenti come questi.
Purtroppo in pochi pensano alla vendita come a un processo che parte da un prospect (se non addirittura da una lead generation)  e che non finisce con la chiusura, o meno, di quella che, il più delle volte, è solo una fase di una trattativa più lunga e sempre meno immediata nelle decisioni che contano.

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5 domande chiave per un responsabile vendite

Nonostante tutte le differenze (prodotti, settore, ambiente competitivo, clienti, ecc.) i team di vendita condividono alcune esigenze fondamentali, rispondendo alle quali ogni responsabile vendite può  ottenere alti livelli di motivazione e impegno dalle proprie persone.

Una squadra ben gestita fa più vendite e ha margini più elevati, rispetto a una squadra mal gestita o lasciata a se stessa.

Per indirizzare, e verificare lo stato dell’arte, delle competenze essenziali, che sales manager e team leader dovrebbero possedere, e nelle quali dovrebbero investire per potersi garantire un’efficace gestione del team, è sufficiente rispondere a cinque semplici domande.

Nell’ebook 5 domande per dare e avere il massimo dal Team di Vendita” vengono analizzate pragmaticamente le competenze chiave che un responsabile vendite deve avere se vuole gestire e guidare con efficacia un team performante.

Per saperne di più sui concetti condivisi all’interno di questo ebook e su come possiamo aiutarvi ad  affrontare questi problemi contattateci