LA DINAMICA DELLA MOTIVAZIONE

Non è irragionevole sostenere che la domanda fondamentale in psicologia sia: perché la gente fa quel che fa?

Sembra chiaro che parte del comportamento umano è guidata da scopi, vale a dire diretta a raggiungere uno scopo o un risultato. Sicché ci comportiamo in una determinata maniera perché vogliamo raggiungere qualche risultato. Premiamo una serie di tasti sulla macchina per scrivere perché vogliamo scrivere una lettera. Mangiamo perché abbiamo fame e vogliamo ridurre questo stimolo. Andiamo all’università
perché vogliamo ottenere una laurea.

Le ragioni, o gli scopi, che appaiono dirigere il nostro comportamento, sono i nostri motivi e i risultati che il nostro comportamento sembra diretto a raggiungere sono i nostri obiettivi. Questo concetto di motivazione, per quanto possa apparire semplice si è dimostrato molto difficile da analizzare sperimentalmente.

Parte del problema è che le stesse azioni o gli stessi comportamenti possono essere coerenti con motivi molto differenti.

Un venditore può ridere alla nostra barzelletta perché è divertito o perché vuole venderci qualcosa. Un uomo invitato a un ricevimento può accettare un bicchiere di vino perché ne apprezza il gusto, o ricerca l’effetto rilassante dell’alcol, o è assetato, o non vuol sembrare diverso dagli altri. Senza contare che i suoi motivi possono essere una mescolanza di queste possibilità.
Un altro problema nello studiare i motivi di determinati comportamenti è che la gente può essere del tutto inconsapevole delle ragioni soggiacenti alle proprie azioni.

È possibile credere di stare facendo qualcosa per una ragione quando, in realtà, il vero motivo è un altro.

I motivi inconsci, in effetti, sono stati posti da Sigmund Freud al centro della sua teoria della motivazione umana.

Una donna potrebbe credere consciamente, di aspirare alla presidenza di un’azienda perché è un lavoro ben remunerato, mentre il suo motivo reale potrebbe essere il desiderio di mostrare che può eguagliare il padre, morto da tempo, nella riuscita sociale.

Anche i motivi di un atto semplice come quello di mangiare possono essere difficili da cogliere: l’adulto che mangia un gelato è semplicemente affamato o sta compensando la propria solitudine con la ricompensa che la madre usava dargli quando era bambino?

Un certo orientamento allo studio della motivazione umana sottolinea i bisogni biologici fondamentali che condividiamo con gli animali. Alla luce dei meccanismi fisiologici che condividiamo con essi, si può dire molto del mangiare, del bere, e della sessualità; tuttavia, anche queste attività umane sono fortemente influenzate dall’apprendimento.

In questa sede esamineremo diverse forme della motivazione umana; da quelle chiaramente collegate ai bisogni biologici, a quelle che sembrano specificamente umane e molto distanti da qualunque ovvio bisogno biologico.

Prima di procedere, sarà utile soffermarsi su alcuni punti fondamentali che sono emersi dai primi tentativi di studiare la motivazione umana.

Gli esseri umani sono sempre stati interessati alla questione di che cosa ci spinga a compiere determinate azioni. La dottrina dominante, dai tempi di Platone e Aristotele fino a tutto il Medio Evo, e probabilmente ancora oggi, è che la mente controlla il comportamento, e che gli esseri umani sono liberi di scegliere che cosa fare.

Benché le nostre decisioni possano essere influenzate da stimoli esterni e da bisogni  desideri interni, le nostre azioni sono controllate dalla ragione.

Questa concezione è nota come dottrina del libero arbitrio.

Già al tempo di Platone vi erano persone contrarie all’idea del libero arbitrio. Il filosofo greco Democrito sosteneva che in natura tutti gli eventi risultano da concatenazioni inflessibili di cause ed effetti e che, se si conoscessero tutte le leggi di causa ed effetto, sarebbe possibile predire il comportamento della gente non meno che i moti degli oggetti inanimati. Questa dottrina è detta determinismo.

La concezione deterministica divenne più popolare dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie di Charles Darwin [1859]. Se gli esseri umani e gli animali hanno la stessa origine ancestrale e sono perciò strettamente connessi biologicamente, sembra ragionevole assumere che il comportamento umano – al pari del comportamento animale – è soggetto alle leggi di causa ed effetto.

Anche su questo tema, in psicologia abbiamo presenti molti diversi orientamenti.

Dal punto di vista, ad esempio, comportamentista di uno scienziato quale B. F. Skinner, una volta specificato in che modo l’ambiente etermina il comportamento si è detto tutto quel che c’e da dire sulla motivazione.

A molti, invece, le teorie legate all’idea di “libero arbitrio” appaiono più consone alla dignità umana di quanto lo siano le dottrine deterministiche.

Quanti di noi, in ultima analisi, sono disposti a credere che le nostre azioni sono determinate soltanto dall’ambiente?

E tuttavia Skinner sostiene con forza che, in realtà, il mito del libero arbitrio è estremamente pericoloso per la completa realizzazione del potenziale umano. Secondo Skinner, solo quando accettiamo il fatto che buona parte del nostro comportamento è controllata da politici, pubblicitari e altri manipolatori sociali, possiamo cominciare a elaborare democraticamente delle leggi che limitino questa manipolazione
interessata.

Una prospettiva psicologica

Il tema della motivazione, dunque, è ampio, complesso e discusso. La motivazione può essere infatti postulata in ogni attività psichica, da quelle più elementari e automatiche (percezione, apprendimento etc.) a quelle più strutturate (lavoro, amore, impegno etc.). Tale pervasività è stata giudicata negativamente da alcune scuole, che sono giunte fino anche ad eliminare il concetto di motivazione dalle loro concezioni
(scuole “oggettive” del behaviourismo americano o della reflessologia russa, correnti sociologistiche etc.).

Il concetto di motivazione si riferisce in particolare alla spiegazione dei fenomeni e non alla loro mera descrizione, al perché e non al cosa o al come, alle cause e non agli effetti, all’interpretazione (pur secondo modelli differenti) dei fenomeni e non alla loro semplice rilevazione.

Una motivazione è un processo che sollecita l’organismo all’azione, o che la sostiene e la indirizza una volta che l’organismo sia stato attivato.

Esistono diverse modellistiche motivazionali, che risentono dell’influenza di diverse weltanschauungen filosofiche.

a) Modelli intellettualistici: motivazione come “tendenza dominante” della soggettività cosciente, come “libera volontà” (Asch, Kulpe, etc.).

b) Modelli biologici: motivazione come “stato organico di bisogno” che tende al ristabilimento dell’omeostasi1 di base, col conseguente arresto
della stimolazione (Miller, Hull, Woodworth, etc.).

c) Modelli psico-socio-antropologici: motivazione come risultato della azione della matrice culturale e sociale, intesa come insieme di reazioni
all’ambiente apprese durante l’evoluzione (Kardiner e la “personalità di base”2, Mead, Benedict, etc.).

d) Modelli istintivisti: motivazione come “istinto” inteso in senso umano, come base costituita da una o più forze automatiche ed inconsapevoli, intrinseche alla costituzione del soggetto, non apprese, ma al massimo modificate dalle abitudini apprese (gli “istinti ed abiti” di James, le “hormé” di McDougall, i “meccanismi innati di sganciamento” di Lorenz, etc.).

e) Modelli psicosociali: motivazione come bisogno di sentirsi in sintonia col gruppo di riferimento, di dare e ricevere i diversi segnali di appartenenza (Newcomb, Bales, etc.).

In gran parte delle concezioni appena elencate manca, tuttavia, una soddisfacente organizzazione dinamica dei dati raccolti.

1 Si intende per omeòstasi il mantenimento della costanza delle relazioni e/o degli equilibri nei processi corporei (ad es. la glicemia, o il mantenimento degli equilibri salini nel plasma sanguigno).

2 Abraham Kardiner intende con tale termine “quella configurazione della personalità che è partecipata dalla maggior parte dei membri di una società, come risultato di esperienze della prima infanzia che essi hanno in comune”. La forma di motivazione che si sviluppa in essa determinerebbe a sua volta le istituzioni sociali secondarie. All’interno di questi modelli ricorrono anche termini come “ruolo”, “atteggiamento sociale”, etc.
In particolare hanno “fallito”:

1. per eccesso quelli che hanno creduto di poter risolvere il problema della motivazione proponendo liste più o meno lunghe di “motivi fondamentali”. Basta ricordare gli istinti di W. James, le propensioni native di W. McDougall, i “comportamenti innati” di E. L. Thorndike, i “driver” di E. C. Tolman, i “bisogni” di H. Murray, i “tratti” di R. Cattell, i 20 “bisogni fondamentali” di H. Piéron (da quello respiratorio
a quello della compagnia), etc. Tutti questi autori hanno cercato di integrare la loro lista di motivi fondamentali con i motivi acquisiti, ma non riescono a superare una classificazione di tipo puramente descrittivo;
2. per difetto quelli che hanno ricondotto tutte le motivazioni allo schema semplicistico della riduzione ad un solo bisogno fisiologico, primario, capace di dare origine a tutti i motivi secondari attraverso un processo di condizionamento ambientale. Questa teoria si rifà necessariamente al concetto di riflesso condizionato, ma non si adatta nemmeno a spiegare tutte le motivazioni riscontrabili nell’animale, e soprattutto non spiega la ricchezza e la qualità dei motivi propriamente umani. Tale osservazione vale, oltre che per la teoria fisiologica di C. Hull, anche per tutte le altre teorie “moniste” della motivazione, che cioè pongono in una sola variabile l’origine di tutti i motivi; come quella di S. Freud della libido, quella di A. Adler che la pone nella “volontà di potenza”, quella di K. Horney (“bisogno di sicurezza”), di C, Goldstein (“self-actualization”), di C. Rogers (“bisogno della integrità personale”), di P. Lecky (“self-consistency”) e di H. Mowrer (“ansietà di base”).
La panoramica appena vista è molto ridotta rispetto alla mole di proposte reperibili, a causa della necessità di trascurare gli elenchi che descrivono (specie in USA) i vari aspetti, o meccanismi, o motivi “fisiologici” (caldo e freddo, sete, dolore, sonno, condotta parentale e sessuale, etc.).

I meccanismi citati certamente esistono, ma non sono “vincolanti” già negli animali, e persino per molti behaviouristi; la motivazione umana mostra poi come caratteristica generale una forte indipendenza dalla sfera degli schemi innati e fisiologici.

Un modello psicodinamico

Vediamo allora un modello sincretico, che tenta di essere articolato e contemporaneamente organizzato dinamicamente in una unità significativa.

Esso coniuga motivi presenti sia negli animali che nell’uomo con altri, tipici solo dell’essere umano. I primi sono definibili in termini di motivi omeostatici (distinti in innati ed acquisiti) e di motivi anti-omeostatici, esplorativi e di associazione (anch’essi innati ed acquisiti). I secondi sono i motivi conoscitivi e di valore (a loro volta innati ed acquisiti).

• I motivi omeostatici innati sono quelli fisiologici di cui si è detto, fame sete, bisogno di scaldarsi etc. Quelli omeostatici acquisiti riguardano oggetti “neutri” che divengono mezzi per ottenere altri oggetti che a loro volta soddisfano direttamente bisogni biologici: pensiamo, nell’uomo a particolari abitudini, come il vizio del fumo, le tossicodipendenze etc.
• I motivi antiomeostatici riguardano una sfera di “bisogni di stimolazione dell’organismo”, in assenza di ogni bisogno omeostatico; ad es. la curiosità delle scimmie (McDougall) o dello stesso bambino, la tendenza a disfare ed esplorare meccanismi (scimmie di Harlow e ratti di Montgomery), l’intollerabilità umana delle situazioni di deprivazione sensoriale (Hebb e altri). Si tratta di bisogni di “eccitamento” che sono primari quanto i bisogni di abolizione dell’eccitamento stesso. Essi si esprimono per di più, a livello primario, in attività esploratrici e si
possono, quindi, chiamare motivi esploratorî: essi stanno probabilmente alla base dei bisogni di associazione. Passando a livello dei motivi antiomeostatici acquisiti, possiamo indicare questi ultimi come motivazioni psicosociali3, in prospettiva ampia. In tali motivazioni agiscono anche, in subordine, le spinte omeostatiche viste precedentemente, per una sorta di catena delle acquisizioni, una relazione dinamica fra i vari tipi di motivazione.
• I motivi conoscitivi e di valore sono tendenze a conoscere e regolare gli oggetti e le persone circostanti, in profondità. Fondano il bisogno di elaborare progetti, anticipando la realtà anche prima di conoscerla (condotta anticipatoria). Non è solo intolleranza delle situazioni prive di stimolo (antiomeostasi), ma una speciale qualità di funzioni psichiche. Configurano un fenomeno tipicamente umano: solo l’uomo si propone, vuole, si rappresenta conoscitivamente le cose, le persone, gli oggetti, se stesso, in complesse relazioni; l’uomo “pensa”, è capace
di volere in astratto una data realtà prima di attuarla in concreto e l’attuazione dipende dalla rappresentazione precedente. Ciò richiede delle capacità 3 Esempio di motivazioni sociali è la cosiddetta “triade di McClelland”, cioè i tre Needs: need for affiliation, need for power, need for achievement. Per affiliazione si intende il bisogno che si manifesta nella ricerca della compagnia, nel desiderio di essere amato ed accettato dagli altri, in quello di essere integrato in un gruppo, di avere appoggio e protezione; per potere si intende il bisogno che spinge a salire quanto più in alto possibile nella gerarchia del gruppo in cui si vive, a giungere a posizioni che permettano il controllo di molti mezzi e di molti uomini; per riuscita si intende il bisogno che si manifesta nella tendenza a compiere le imprese in modo migliore di quanto fatto dagli altri, a cimentarsi
preferibilmente in quelle caratterizzate da qualche connotazione di eccellenza. Altri autori coinvolti nella definizione di queste motivazioni sono Hawthorne, Redl, Adorno e la “personalità autoritaria”, Lewin e il “livello di aspirazione”, etc. rappresentativo-conoscitive perfettamente sviluppate, per cui uno stimolo può agire anche quando non è più presente e le motivazioni possono essere largamente indipendenti dallo stato organico: la motivazione esiste al livello della conoscenza e questa diviene il fine dell’azione motivata.
I motivi conoscitivi e di valore, a livello acquisito, sfociano nelle motivazioni personali di ordine superiore, ideale, civile, etico, religioso, politico, come anche gastronomico, estetico, tecnico, lavorativo sportivo, etc. Tutte, al limite, possono divenirlo, se interiorizzate personalmente a livello di valori fatti propri, autonomamente partecipati, intrinsecamente rielaborati, continuamente ridiscussi,
disponibili al cambiamento nel multiforme contatto con la realtà, reciprocamente arricchente. Vengono anche chiamate motivazioni integrative dell’Io: hanno un carattere peculiarmente umano e sono elaborate intorno al concetto di sé.

Il modello di cui stiamo parlando, messo a punto originariamente da Leonardo Ancona e dalla sua scuola, ripreso e sviluppato da G. Trentini, si articola sulla base di un approccio psicologico, definibile come psicodinamico, che, nello studiare e considerare le motivazioni, è direttamente o indirettamente (ma pur sempre in modo saldo) collegato con lo sviluppo delle correnti di pensiero derivate dalla psicoanalisi.

Esso conferisce il primato alla dinamica soggettiva e intersoggettiva profonda dell’individuo, con particolare attenzione al suo livello emozionale di funzionamento.

L’approccio psicodinamico fa riferimento a tre principi cardine, ordinabili secondo il modello suddetto, che può essere sinteticamente richiamato come segue:
A. Il Principio del Piacere immediato, inteso come impronta fondante del processo primario cui sono riferibili ed afferiscono tutti gli impulsi originari, tutte le modalità di tipo infantile, narcisistico-primarie, di gratificazione immediata e completa di ogni vicissitudine dei bisogni: il fatidico “tutto e subito”. In termini di processo, il valore è il seguire l’impulso via via nascente. Il livello motivazionale che ad esso corrisponde può essere sottoarticolato in due versanti: quello puramente innato e quello in qualche modo e misura influenzato dal contesto spazio-temporale.
B. Il Principio di Realtà, inteso come fondamento istituzionale del processo secondario cui sono riferibili ed afferiscono tutte le spinte mutuate dall’ambiente, tutte le modalità controllate e sociali di accendere e vivere le motivazioni, tutti i bisogni di gratificazione convenzionale e contingente, narcisistico-secondaria, eteronoma, eterodiretta: il fatidico “secondo le indicazioni e i flussi dell’adattività”. In termini di processo, il valore è adeguarsi e rinforzare la realtà.
Anche il livello motivazionale che corrisponde a questo secondo principio cardine e ordine si compone articolatamente di due versanti: quello per così dire totalmente “naturale” dei bisogni esplorativi, delle spinte alla rottura degli equilibri omeostatici eventualmente raggiunti, e quello del tutto analogo ma propriamente appreso o comunque derivato dall’ambiente fisico, umano e socio-economico-culturale circostante, per misurarsi e confrontarsi con esso. Nell’insieme, per l’intervento di questo principio, riscontriamo un agire che tiene conto della realtà esterna (con i suoi vincoli, le sue risorse, i suoi riti e le sue norme-valori): l’individuo ha ormai appreso la capacità di controllare le pulsioni primarie e di armonizzare, concertare, reprimere, dilazionare nel tempo e nello spazio il loro soddisfacimento, in funzione della realtà.
C. Il Principio di Valore, inteso come fondamento della capacità di elaborare e superare, da parte dell’individuo, anche il Principio di Realtà. Ad esso sono riferibili ed afferiscono le modalità personali di gratificazione dei bisogni (che inglobano anche quelli primari e secondari), quelle autonome e autentiche, post-narcisistiche, donative, di autorealizzazione ostativa, emotivamente mature, oggettuali: il fatidico “l’adattività
è attiva e non passiva, è in subordine all’ideale dell’io, nonché in sintonia critica con i partners significativi delle relazioni interpersonali e gruppali”. In termini di processo, il valore è ogni ideale personale. Anche il terzo livello motivazionale, quello che corrisponde a questo Principio dei Valori, deriva articolatamente da una duplice matrice: quella della spinta naturale ai processi di conoscenza, alla progettazione e programmazione anticipatoria, da un lato, e quella costituita dagli Ideali personali gradualmente formatisi e maturati intrasoggettivamente
e intersoggettivamente, dall’altro.

L’ultimo dei tre principi riguarda più puntualmente e precisamente la sfera dei “valori”, ed è quello che si afferma e cresce dopo ed attraverso il meccanismo di “appropriazione” della realtà, cioè dopo un consistente processo per così dire digestivo e metabolico, di sintesi personale, che ogni persona fa in modo unico, originale, creativo, irripetibile tra le motivazioni primarie e quelle secondarie. Il che accade appunto man mano che l’individuo passa. Mano a mano, gradualmente, senza soluzione di continuità, dall’omeòstasi all’antiomeostasi alla valorialità, intese come “centratura” del declinarsi esistenziale:
Dal pensiero primario… …al pensiero secondario… …al pensiero valoriale

Tutto e subito Rinvio e/o rinuncia
Progettazione anticipatoria Impulsività e immediatezza
Autocontrollo e controllo del mondo Interdipendenza col mondo
P. Piacere immediato P. di Realtà P. dei Valori
Pensiero magico Feed-back dalla realtà Innovazione sulla realtà
Onnipotenza predatoria Lavoro intellettuale e manuale
Creatività/Donatività autentica
Narcisismo primario e
secondario Dominio/Successo Autonomia (non indipendenza)
La sfera dei valori indicabile anche come degli Ideali Personali pertiene cioè alla maturata capacità dell’individuo sia di elaborare che di agire, congruentemente, in modo autonomo e personale, la sintesi tra primario e secondario, tra “interno” ed “esterno”, tra natura e cultura. E non importa in fondo se e quanto questo pertenga al livello conscio e/o a quello inconscio delle attività psichiche: sulla scena di entrambi i
livelli, in effetti, le forze in gioco sono inestricabilmente e iperdinamicamente chiamate a svolgere, ciascuna, la propria parte. Ne usciranno certo anche delle “cognizioni”

o dei “convincimenti” su ciò che è personalmente o socialmente desiderabile e preferibile; ma bisogna cercare di andare al di là di tale superficie pur reale. Secondo la prospettiva psicodinamica, il valore può essere dunque indicato come il vissuto personale di ciò che è da perseguire irrinunciabilmente sul lungo termine. In questo senso, come già detto, la sfera dei valori pertiene alla capacità dell’individuo
di costruire plasticamente in modo autonomo e personale una gerarchia interiore non razionalizzata e non necessariamente consapevole delle proprie motivazioni: una gerarchia ideale in grado di subordinare, incanalare e conglobare (non eliminare o reprimere!) anche i livelli primario e secondario della dinamica motivazionale, in un quadro funzionale armonico che veda nei “valori personali” il fulcro del sistema.

Il diario

La parola diario deriva dal latino diarium e ha la stessa radice della parola dies, che significa“giorno”. Un diario, infatti, si scrive quasi quotidianamente.

Anche il diario come l’autobiografia è un testo soggettivo, in quanto i pensieri, le esperienze, i problemi dell’autore ne sono al centro.

Come nell’autobiografia, narratore e protagonista coincidono, tuttavia, a differenza dell’autobiografia, l’autore non scrive per un destinatario esterno, ma per sé stesso, ciò è confermato dal fatto che quasi sempre la pubblicazione di questi testi è postuma, ossia avviene alla morte dell’autore.

 

Il linguaggio utilizzato è informale, cioè colloquiale, semplice, a volte le annotazioni sono frammentarie, prive di unità e organicità, proprio perché il diario personale non è pensato per la lettura da parte di un pubblico.

I tempi verbali più usati sono:

• il presente per le riflessioni;

•il passato prossimo per le narrazioni perché i fatti registrati sono accaduti da poco tempo.

Ma che cosa spinge a scrivere un diario? Probabilmente il bisogno di guardarsi dentro, di comprendere sé stessi, di fissare nel tempo fatti e riflessioni e soprattutto di comunicare i propri pensieri a qualcuno (il diario è spesso concepito come un amico immaginario) che non possa giudicarci per come realmente siamo.

Le caratteristiche formali del diario sono:

• la data, che si appone in alto a destra; qualche volta essa è accompagnata dall’indicazione dell’ora e del luogo;

• l’intestazione, ossia il nome dell’amico immaginario a cui ci si rivolge;

•una parte centrale di riflessione o narrazione di fatti;

•il congedo, cioè i saluti e la firma.

 

Accrescere la Motivazione del Personale Stimolando la Passione per il Lavoro

Creare motivazione nel personale è uno degli strumenti del coaching, che consiste principalmente nel creare condizioni tali da stimolare alti livelli di prestazioni lavorative. Un modo per ottenere ciò è quello di stimolare le passione per il lavoro nelle persone. A volte risulta difficile associare il concetto di passione con quello di lavoro; un approfondimento di questo tema offre degli spunti d’azione e sviluppo interessanti . La passione può essere definita come un intenso coinvolgimento e un forte desiderio per una determinata attività. Il termine “passione” viene maggiormente usato per riferirsi a ciò che le persone desiderano riguardo alla loro vita sentimentale, ma, certamente, il significato di questa parola si estende ben oltre. Quando si incontrano persone che nutrono una passione per qualche loro interesse o per il lavoro, il loro entusiasmo spesso è così contagioso che ne veniamo attratti e potremmo ascoltarli parlare per ore della loro attività, anche se questa non è di particolare interesse per noi. Spesso, la passione per qualcosa , può condurre le persone ad alti livelli di prestazione.
Molte persone sono appassionate di uno, o più, dei seguenti ambiti lavorativi:

  • Conseguire una certa specializzazione: In alcune persone Lei potrà trovare una certa sete di conoscenza. Che l’acquisizione di quest’ultima avvenga attraverso una ricerca personale, oppure attraverso opportunità di ulteriore formazione professionale, spesso non ha molta importanza. Ciò che conta è avere l’opportunità di espandere la propria conoscenza e fare in modo che questa venga utilizzata come fonte di competenza specifica.Essere un esperto in materia significa essere quella persona a cui gli altri si rivolgono per un consiglio o che rappresenta l’intero gruppo di lavoro nel corso di eventi particolari, relativi al campo di cui si è esperti. In qualsiasi modo ci si avvalga di questa competenza particolare, essere in grado di imparare e condividere la propria conoscenza con gli altri è ciò che stimola la passione di queste persone. In qualità di manager Lei deve voler utilizzare questa passione.
  • Insegnare agli altri: Alcune persone amano trovarsi di fronte ad un gruppo, piccolo o grande che sia, per condurre corsi di formazione. Talvolta, unitamente alla passione di conseguire una determinata specializzazione, questa passione deriva dal fascino di trovarsi come su un palcoscenico, al centro dell’attività formativa. Per altre persone, invece, soprattutto per gli impiegati di lunga data, il fatto di trovarsi ad insegnare ai nuovi arrivati e ad aiutarli a raggiungere un ritmo di lavoro veloce, rappresenta un incarico molto gradito. Sia che l’insegnamento avvenga attraverso parametri formali che informali, sia che sia diretto ad un gruppo oppure ad un singolo individuo, l’opportunità di insegnare agli altri spesso è ciò che alimenta la passione per il lavoro di alcuni impiegati.
  • Esprimere la propria creatività: Avere l’opportunità di esprimere la propria creatività è un altro fattore che può incrementare la passione per il lavoro delle persone. Talvolta la creatività può risultare nell’ essere in grado di recepire idee nuove e agire in conformità ad esse, oppure nel sapere concepire prodotti e procedimenti nuovi, sviluppare una campagna per riunire o coinvolgere gli altri, o scrivere materiale di una certa importanza che gli altri leggano volentieri.

Le opportunità per usufruire della creatività delle persone sono illimitate nel campo lavorativo. Per Lei che esercita il ruolo di manager, il trucco consiste nell’incoraggiare -e non reprimere- quei membri del Suo staff che sono in grado di ideare e incrementare sforzi lavorativi protesi al nuovo o al diverso, specie se questi possono avere un impatto positivo. Riguardo quelle persone che si entusiasmano di fronte alla possibilità di esprimere la propria creatività, lasci che la esprimano. Stabilisca i parametri necessari e poi conceda agli impiegati piena libertà di agire secondo le loro buone idee, che Lei non deve necessariamente suggerire. Ciò che Lei deve fare è lasciare che i Suoi impiegati procedano con le loro idee e riconoscere i miglioramenti che essi producono grazie alle loro azioni creative.

  • Risolvere i problemi: Alcune persone hanno la capacità di trattare con problemi di difficile soluzione e di elaborarli attentamente fino ad un espediente risolutivo. Richiedete loro di applicare questa abilità nel trovare la soluzione ai problemi e la loro passione per il lavoro si innalzerà. Questa caratteristica la si può notare spesso tra gli impiegati di ambito tecnico, capaci di lavorare per ore ed ore finchè non trovano la giusta soluzione ad un problema, ma il desiderio di risolvere i problemi è una passione che trascende la posizione lavorativa. Il giusto atteggiamento che Lei deve assumere, come manager, è quello di riconoscere che ci sono dei problemi da risolvere e, quindi, permettere agli impiegati che intendono addentrarsi nel processo risolutivo di ottenere l’incarico.
  • Aiutare gli altri: Per alcune persone, avere l’opportunità di aiutare gli altri nel loro lavoro è una cosa molto gratificante. In questi casi Lei può vedere impiegati dedicarsi completamente al loro lavoro perché, facendo questo, vedono che altri ne traggono vantaggio. Talvolta, utilizzare questa preziosa passione è di una facilità estrema, come chiedere ad una persona dello staff di aiutare un nuovo impiegato, oppure di dare un aiuto extra in un particolare progetto, o di rappresentare il gruppo di lavoro in qualche occasione utile agli altri. Qualsiasi occasione o esigenza si presenti, la bella sensazione che si prova quando si viene ringraziati per qualcosa diventa una gratificazione che dà ulteriore energia a questa passione. Vedere che gli altri traggono beneficio dal servizio apportato è già di per sé un riconoscimento.
  • Apportare il proprio contributo: Questo ambito alimenta la passione di quelle persone che vogliono che il loro lavoro costituisca una differenza positiva: contribuendo ad una squadra di lavoro di successo, creando un modo migliore per fare le cose ed essendo così d’aiuto per altri, o svolgendo del lavoro che possa essere di supporto per una degna causa. Molte persone, quando constatano di aver fornito un buon contributo e sperimentano la sensazione di realizzazione che deriva dall’aver svolto bene il proprio lavoro, ingranano la quarta.

Talvolta, creare l’opportunità per alimentare una passione, può comportare di incrementarne altre allo stesso tempo. Per esempio, se Lei chiede ad un membro del Suo staff, di contribuire ad uno speciale progetto di squadra ed il suo lavoro è positivo, la squadra avrà successo. Questa persona sarà motivata non solo dal fatto di aver contribuito al lavoro di squadra, ma anche perché il suo supporto ha costituito una differenza significativa.

  • Assumere dei rischi: Le persone che si appassionano al lavoro attraverso l’assunzione di rischi sono quelle che amano lavorare come agenti di borsa o intraprendere speculazioni in cui la possibilità di successo è equivalente a quella di fallimento. Quando gli altri dicono “Non abbiamo mai fatto in questo modo prima d’ora”, oppure “Non so se potrà funzionare in questo caso”, esse invece sono pronti ad agire. Se viene fornita a loro la possibilità, queste persone possono muoversi come intraprendenti arrampicatori di montagne.

Definisca con chiarezza i parametri da rispettare con questi impiegati e poi li lasci liberi di agire. Potranno incontrare qualche ostacolo lungo la loro strada, ma la loro passione per il rischio e per il successo che da esso può derivare li aiuterà a non perdersi. Il Suo ruolo, quando sfrutta questa passione, è quello di fornire supporto ed eliminare ostacoli burocratici sul loro cammino.

Si ricordi che Lei, in qualità di manager, ha il ruolo di individuare prima che cosa crea passione per ognuno dei Suoi impiegati, e poi di lavorare per generare opportunità che consentano di utilizzare questa passione e fornire il supporto necessario. Una volta che inizierà a gestire le persone in questo modo si renderà conto quanto la motivazione che viene da dentro sia una leva essenziale per produrre risultati di rilievo.

SCOPRIRE SE STESSI

La scoperta di sé può essere riconosciuta come una funzione psichica complessa che si va sviluppando (come tutte le funzioni) in rapporto con qualità personali e familiari che vengono modificate dalle esperienze e dai vissuti.
Si basa su:
– capacità di riconoscere in sé le modalità di resistere alle difficoltà suscitate nel rapporto con la quotidianità e la realtà esterna;
– possibilità di verificare i cambiamenti personali che si vanno organizzando;
– non limitarsi a subire le proprie risposte istintive, ma di valutarle nella loro valenza positiva e/o negativa, in modo da adattarle sempre più alla realtà.
Queste osservazioni fanno pensare a meccanismi di resilienza che abbiamo già messi in relazione con l’organizzazione libidica, emotiva, affettiva, intuitiva e razionale. La resilienza si va modificando in rapporto con i meccanismi mentali messi in atto in diversi momenti dello sviluppo psichico.
Saper investire in qualità è caratteristica delle persone di successo che sanno anticipare la comprensione del futuro e che posseggono una capacità speciale che li differenzia dalla “massa” degli Altri.
Nello scenario di crisi che dobbiamo affrontare e spesso anche subire, diventa sempre più necessario esplorare e comprendere le nostre potenzialità, le competenze ed i ricorsi psico-mentali interni che permettono di trovare altre opzioni. La “necessità” umana più importante ed emergente sta diventando quella di saper cambiare i paradigmi, la preparazione culturale, l’addestramento per la vita.
Pensare, sentire ed agire in modo “adeguato” ed in sintonia con i nostri principi ed i nostri valori, serve per arrivare a nuovi e più adeguati disimpegni di vita, a organizzare modelli operativi che ora si fondano sulle basi della Timologia e della Resilienza.
Queste funzioni psichiche che agiscono nell’oggi per il domani, aumentano drasticamente le capacità di difesa e di organizzazione psico-affettiva, entrando nei processi di relazione interpersonale. Si tratta di ridisegnare radicalmente e creativamente la nostra condotta, le percezioni, il sistema rappresentazionale, le attitudini per una forma simpatica, empatica e poetica della vita, incorporando cosciente- ed incoscientemente le molteplici informazioni che ci giungono dall’esterno, con l’obiettivo non solo di raggiungere miglioramenti, ma di produrre un “senso quantico di evenienze, una rottura di barriere che per tanti anni ci hanno inibiti, che hanno contribuito formalmente alla nostra formazione personale e professionale. Il modello per lo sviluppo personale riguarda tecniche che insegnano il rispetto per come percepiamo la realtà, per come ci relazioniamo e comunichiamo ed anche per come scopriamo i nessi più idonei per superare le difficoltà (resilienza), per raggiungere le nostre mete, per rispettare i nostri valori ed affrontare le nostre stesse sfide per la mente.

LA VOLONTÀ CHE SPOSTA LE MONTAGNE . . . CONOSCERE PER CONOSCERSI
.. Ricorda che dobbiamo essere sempre noi stessi a dare il primo passo se non vogliamo essere schiavi delle decisioni altrui.
.. Vivere il mistero dell’amicizia che sa dare di più proprio nei momenti di maggiore difficoltà.
.. Non credere che razionalmente possiamo risolvere tutto: la mente comprende le apparenze; solo con l’amore si può arrivare a conoscere il vero significato delle cose.
.. Non credere mai di avere fatto troppo perché il risultato non si raggiunge solamente con lo sforzo.
.. Credere in se stessi, nelle proprie potenzialità e nelle capacità che si sviluppano con l’applicazione, la volontà ed un indomito coraggio.
.. Vivere positivamente la percezione che con l’aiuto dell’Altro si possono raggiungere obiettivi insperati ed anche una maggior pienezza di sé.
.. Ricordare sempre che se ci lasciamo guidare dai “bisogni”, ci troveremo sempre nell’impossibilità di conoscere la nostra verità più intima.
.. Bisogna credere nelle proprie verità se si vuole comprendere le verità altrui.
.. Le vere scelte, quelle che portano a raggiungere le vette più alte, nascono dalla  volontà che guida il cammino verso gli obiettivi.
.. Dobbiamo vivere coscientemente che lavorare in gruppo rende molto di più che sforzarsi da soli.
.. La vera schiavitù è lasciarsi dominare da sensi di onnipotenza e da prevenzioni egocentriche.
.. Chi cede la prima volta cercherà mille giustificazioni per coprire tutte le disillusioni successive.
.. Chi guarda sempre in basso rischia di non vedere mai il cielo … neppure quando è sereno.
.. La grandezza dell’uomo sta nel riuscire a credere nella forza che sprigiona la collaborazione.
.. Sentirsi parte di un progetto è il vero mezzo per credere in se stessi ed essere certi del risultato.
.. La vera amicizia non è solo un sentimento rivolto verso l’Altro perché è anche un aprirsi alle esperienze più elevate.
.. Non credere mai d’aver esaurito il tempo: spesso facciamo in un minuto quello che non abbiamo raggiunto in una vita.
.. L’amicizia sa far cambiare gli obiettivi e spesso anche il “destino”.
.. Credere ed amare sono sempre delle opportunità che riempiono di significato le ore della speranza.
.. Più fai e più ti rendi conto che sempre manca qualcosa: la saggezza sta nella mano di chi ti accompagna.
.. Il lavoro indefesso dà senso di potere, ma i grandi obiettivi si raggiungono “… insieme”!
.. Non aspettare che qualcuno ti dica “… seguimi!”; metti sempre davanti i tuoi desideri!
.. Credere in un obiettivo è già essere alla metà del cammino!
.. Quello che fa la ragione in un anno, lo fa la volontà in un solo giorno!
.. Se riempiamo la vita di “sogno” scopriamo l’immensità delle nostre potenzialità
.. Mettere i sogni nelle palme delle mani è creare la grandezza del futuro!
.. La migliore strategia non è saper fare mille cose, ma farne poche senza perder tempo per guardare le chimere!
.. La creatività non è dispersione, ma saper cogliere un senso sempre più profondo ed un obiettivo sempre più completo.
.. Non ingannare mai se stessi per non rischiare di cercare di ingannare gli altri.
..• stare insieme significa … agire insieme
..• farsi conoscere piuttosto che farsi approvare
..• non è sufficiente sapere per essere felici
..• se vuoi essere te-stesso, considera se vale la pena essere diversi
..• poni sempre davanti a te il motto per la vita: IO POSSO
..• per sapere chi sei … guardati negli altri
..• ricorda che tu sei molto di più delle tue sconfitte, ma anche … delle vittorie
..• crea ogni giorno una speranza nuova
..• per “amare” qualcosa devi … viverne la mancanza come insopportabile
..• “amare” è riempire l’Altro di Valori
..• “amare” è desiderare perché se ne sente la mancanza
..• Ricordare che la “verità” sta sempre nell’occhio dell’Altro.
..• la volontà segue sempre quello che hai già desiderato
..• partecipare è il fondamento per attivare un cambiamento
..• le migliori idee non hanno valore se non le fai conoscere!
..• Aspettare il momento favorevole non è mai tempo sprecato.
..• Credere in noi stessi è la migliore strategia per scoprire un amico.
..• La “povertà di un amico” è il fallimento delle nostre potenzialità.

 

 

Comprendere le nostre paure

È il primo passo fondamentale per affrontarle. Vi presentiamo un sondaggio esclusivo sulle angosce più diffuse e le riflessioni stimolanti di una filosofa. Speranza e paura. Queste due parole si alternano ormai nelle conversazioni con amici e conoscenti. Il mondo sembra una grande incubatrice di nuove paure, che paralizzano e rendono difficile guardare al futuro con fiducia. La paura si annida dappertutto, può essere un attentato terroristico, un terromoto, una recessione in borsa, un nuovo virus. O, ancora, la minaccia del nucleare, il degrado ambientale, la manipolazione genetica del corpo, cresce un sentimento di insicurezza, generata dalla percezione della perdita di controllo sugli eventi che caratterizza l’eta globale. Accanto a queste inquietudini pubbliche si aggiungono le preoccupazioni e l’insicurezza che riguardano la nostra soggettività. Le nostre paure quotidiane, piccole e grandi. La paura di ammalarsi, di perdere il lavoro, di rimanere soli, di invecchiare. Che ognuno di noi vive in modo più o meno intenso. Ne abbiamo parlato con la filosofa Elena Pulcini. Una riflessione stimolante che ci aiuta a decriptare le nostre paure, e farle diventare una forza essenziale per la nostra vita. Perché ciascuno di noi ha vere ragioni di credere in se stesso e avere fiducia nell’avvenire.

Conoscere i propri bisogni

Potremmo avere il lavoro migliore e più pagato del mondo, ma se sentiamo di preferire qualcosa di meno accattivante e remunerativo, non prospereremo, così come non può finire bene una storia d’amore con la persona sbagliata: non possiamo avere il vero successo se ci troviamo in situazioni contrastanti con le nostre esigenze intime.
Talvolta, identificare ciò che preferiamo, è un processo per tentativi ed errori.
Quando siamo inquieti e insoddisfatti, quando, seppur tutti gli altri ci dicono che abbiamo una vita invidiabile, ci sentiamo come in un vestito estremamente stretto, questo è il momento in cui occorre, come diceva Allen Ginsberg “seguire il proprio chiaro di luna interiore”.

 

In altre parole è il momento di dar retta al proprio “cuore”, più che alla propria “testa”, cercando quello che può renderci felici, certi che al tempo stesso ci darà prosperità.
Il nostro cuore è la nostra forza vitale e non solo perché pompa il sangue nel nostro corpo, il nostro cuore, “spiritualmente”, racchiude la nostra motivazione, ospita l’ispirazione e la passione.
Occorre capire come possiamo dare il meglio a noi stessi ed agli altri.
Rispondersi alle domande che seguono può aiutare a considerare i diversi fattori che influenzano la nostra vita ed il nostro senso di maggiore o minore appagamento.
1. Lavoro meglio da solo o in gruppo?
2. Mi piace sperimentare il nuovo o sono per la routine?
3. Apprezzo un orario flessibile o mi trovo meglio con uno schema fisso?
4. Le figure autorevoli (superiore, guida, genitore) mi riescono gradite oppure ne farei a meno?
5. Preferisco incarichi diversi o sempre dello stesso tipo?
6. Ascolto le opinioni altrui o seguo il mio istinto?
7. Rispettare gli orari mi riesce facile o mi causa problemi?
8. Sul lavoro rendo di più al mattino, al pomeriggio o a notte fonda?
9. La stimolazione visiva è importante per me?
10. Sono più a mio agio in un ambiente frenetico o in uno calmo?
11. Sento di avere più energia all’aperto o al chiuso?
12. Sono più attivo o contemplativo?
Alcune di queste domande (che non pretendono di essere esaustive) considerano le nostre abitudini, altre le nostre preferenze, altre ancora la nostra personalità, ma sono tutte importanti nella valutazione della strada giusta da scegliere; lavorare, e vivere, nelle condizioni per noi migliori e più congeniali, elimina i fattori negativi ed interrompe il nostro senso di instabilità.
Determinare cosa è meglio per noi è parte del sapere chi siamo.
Una volta che ci saremo riusciti, potremo creare la situazione ideale per soddisfarci e raggiungere i nostri obiettivi …. o, quantomeno, provarci.

Socializzazione

Il processo di socializzazione è il processo sociale di trasmissione e di interiorizzazione delle informazioni sulla realtà e sull’immaginario sociale (l’insieme di valori, ruoli, norme, aspettative e credenze) attraverso pratiche e istituzioni dell’organismo sociale.
La socializzazione si distingue in due fasi: la socializzazione primaria che avviene nell’infanzia e la socializzazione secondaria, meno intensa ma più diffusa, che ha luogo ogni volta che l’individuo entra in contatto con nuovi contesti del mondo oggettivo.
Le interpretazioni attorno al processo di socializzazione sono diverse: alcune sottolineano la sua funzione primaria di controllo sociale, come la corrente funzionalista, per la quale il processo è una sequenza lineare dove l’individuo si conforma all’ordine sociale. La socializzazione primaria è così il processo iniziale attraverso il quale gli individui acquisiscono le competenze di base per entrare in società (gli agenti sono: la scuola, la famiglia, gli istituti religiosi, etc.); mentre la socializzazione secondaria è l’insieme di pratiche che permettono l’acquisizione di competenze specialistiche e di ruoli diversificati che formano la differenziazione sociale. Gli agenti di questa seconda fase sono: il gruppo dei pari, l’ambiente di lavoro, la famiglia, i mezzi di comunicazione, etc.
Altre si concentrano sull’approccio critico di trasmissione della gerarchia sociale, come l’approccio marxista o quello più recente di Pierre Bourdieu, dove la socializzazione è vista in relazione alla trasmissione dei codici culturali della classe di appartenenza. La socializzazione dunque è una sovrastruttura che replica la struttura economica di base della società e contribuisce a mantenerla.
Altre ancora, come gli interazionisti simbolici, considerano la socializzazione come il processo mediante il quale avviene lo sviluppo psichico e comportamentale dell’individuo in contesti determinati dall’influenza degli altri. Al centro di questo processo, l’elemento centrale è il linguaggio, sia come trasmissione sia come contenuto della socializzazione, in quanto depositario dell’esperienza delle generazioni passate, la quale viene così attinta oggettivamente e che ogni coscienza individuale recepisce e fa propria.

Perché la gente compra

Alla gente non piace farsi vendere qualcosa, ma adora comprare.
(Dale Carnegie)

L’esperto venditore sa che il suo compito principale è creare un’atmosfera che invogli la gente a comprare; se siamo simpatici, affidabili, ispiriamo sicurezza, infondiamo fiducia, allora è possibile che acquistino da noi.
La domanda “Perché la gente compra” è mille volte più importante di “Come devo vendere”!
Le aziende spendono tante ore e tanti soldi per insegnare ai propri dipendenti “come vendere”, e non un solo minuto su “perché la gente compra”.

 

Magari crediamo di sapere perché la gente compra, ma non facciamo nulla per capirlo appieno. I primi segnali d’allarme che dovrebbero dimostrarci che non abbiamo idea del perché la gente compra sono:
a) Riceviamo obiezioni sul prezzo
b) Dobbiamo inviare (rinnovare) continuamente offerte e proposte
c) Ci dicono che sono soddisfatti del loro attuale fornitore
d) Nessuno ci richiama
e) Ci lamentiamo che l’economia ristagna e influenza il nostro business
Se tutto questo ci è familiare ….. riflettiamo.
Ora presenterò una serie di risposte alla domanda “Perché la gente compra” …. Nulla di trascendentale, ma le ho sentite dalla viva voce di clienti di tutti i tipi.
1) Mi piace il venditore (la simpatia è l’elemento fondamentale in un rapporto di vendita; se piaci ispiri fiducia, la fiducia porta all’acquisto, l’acquisto porta ad un rapporto)
2) Capisco ciò che sto comprando
3) Avverto qualcosa in più nella persona e nell’azienda da cui compro
4) Percepisco il valore del prodotto che sto acquistando
5) Credo al venditore
6) Ho fiducia nel venditore
7) Mi affido al venditore
8) Mi trovo bene con il venditore
9) Sento che i suoi prodotti e servizi corrispondono alle mie esigenze
10) Il prezzo sembra buono, ma non necessariamente il più basso
11) Ho l’impressione che il suo prodotto o servizio aumenterà la mia produttività
12) Ho l’impressione che il suo prodotto o servizio aumenterà i miei guadagni
13) Ho l’impressione che il venditore cerchi di aiutarmi a migliorare i miei affari per migliorare anche i propri. Il venditore è una risorsa preziosa per me.
Vendere????? Ricordati, il tuo cliente vuole comprare!!!! (J. Gitomer)
Per scalare la vetta del “successo” nelle vendite in quale direzione ci stiamo muovendo?
Diamoci un valido suggerimento: per raggiungere la vetta dobbiamo metterci il cuore nel nostro lavoro.

Sviluppare la Follorwership per esercitare la Leadership

 DOWNLOAD SCHEDA – Follorwership e Leadership

Area di riferimento
Management
Obiettivi dell’intervento
Sviluppare la followership non solo prepara a esercitare al meglio la leadership, ma consente di conoscere se stessi – sviluppare il senso di responsabilità sia nell’esecuzione, che nella proposizione – prendere confidenza con il proprio superiore, anticipando le sue richieste – comprendere meglio il proprio ruolo – essere un membro del team, ma non uno yes man.
L’intervento si propone di migliorare le seguenti aree critiche di successo:
a.      Relazione tra leadership e autorità
b.      Risposta immediata e spirito di iniziativa
c.       Osservare e riconoscere i principali fenomeni della dinamica di gruppo
d.      Capire i bisogni del gruppo e come soddisfarli

Realizzato e realizzabile per
Manager, quadri e team leader
Timing
3 moduli della durata di 1 giornata (a distanza di 3/4 settimane l'uno dall'altro)
Modalità d’erogazione
Didattica interattiva.
Erogabile per gruppi composti da un minimo di 4 partecipanti, sino a un massimo di 12 partecipanti.
Principali argomenti
La relazione leader (Capo) follower (Collaboratore);
Consapevolezza e gestione di sé;
Consapevolezza sociale;
Gestione delle relazioni interpersonali (comportamenti accettabili e inaccettabili);
Gli stili della leadership;
Dal riconoscimento alla soluzione di problemi concreti;
Il leader come manager e il leader come coach;
Organizzare riunioni efficaci, motivanti e coinvolgenti – partecipare attivamente;
Management e coaching pragmatici;
La gestione delle criticità e dei conflitti;
Ricevere una delega, dare una delega: cosa fare e cosa non fare;
Team Building.

Nota a margine: in questa scheda è unicamente rappresentata una “traccia di sintesi” in quanto ogni nostro intervento è sempre personalizzato in funzione della esigenze del Cliente (obiettivi, contesto, circostanze, risorse coinvolte, timing, risultati attesi).

Le nostre attività si sviluppano coerentemente ai contesti esperienziali dei partecipanti.

Per valutare una proposta di progetto di formazione su misura: o.castellani@pr3online.it

Parla con la voce del leader (come generare impatto in ogni comunicazione)

DOWNLOAD SCHEDA – Parla con la voce del leader

Area di riferimento
Management e Relationship's Dynamics
Obiettivi dell’intervento
Permettere l’efficace utilizzo della “comunicazione” a più livelli, con particolare riferimento alla gestione delle risorse e alla collaborazione tra i manager stessi.
Condividere azioni e comportamenti utili  alle prerogative manageriali, allo sviluppo della leadership nella gestione delle situazioni critiche e/o conflittuali.
Realizzato e realizzabile per
Top management, middle management, quadri intermedi, responsabili di unità periferiche
Timing
2 moduli della durata di 1 giornata (il secondo a distanza di 2/3 settimane dal primo)
Modalità d’erogazione
Work shop intervallato da momenti formativi e di light coaching.
Erogabile per gruppi composti da un minimo di 4 partecipanti, sino a un massimo di 12 partecipanti.
Se richiesto, a questa attività potrà seguire un coaching ad personam.
Principali argomenti
Verifica, confronto e condivisione delle aree di forza e di miglioramento personale;
Autovalutazione delle proprie attitudini relazionali e manageriali;
Management – Leadership – Coaching;
Comunicare per gestire e motivare le controparti;
Management e coaching pragmatici;
La gestione delle criticità e dei conflitti.

Nota a margine: in questa scheda è unicamente rappresentata una “traccia di sintesi” in quanto ogni nostro intervento è sempre personalizzato in funzione della esigenze del Cliente (obiettivi, contesto, circostanze, risorse coinvolte, timing, risultati attesi).

Le nostre attività si sviluppano coerentemente ai contesti esperienziali dei partecipanti.

Per valutare una proposta di progetto di formazione su misura: o.castellani@pr3online.it