Non è irragionevole sostenere che la domanda fondamentale in psicologia sia: perché la gente fa quel che fa?
Sembra chiaro che parte del comportamento umano è guidata da scopi, vale a dire diretta a raggiungere uno scopo o un risultato. Sicché ci comportiamo in una determinata maniera perché vogliamo raggiungere qualche risultato. Premiamo una serie di tasti sulla macchina per scrivere perché vogliamo scrivere una lettera. Mangiamo perché abbiamo fame e vogliamo ridurre questo stimolo. Andiamo all’università
perché vogliamo ottenere una laurea.
Le ragioni, o gli scopi, che appaiono dirigere il nostro comportamento, sono i nostri motivi e i risultati che il nostro comportamento sembra diretto a raggiungere sono i nostri obiettivi. Questo concetto di motivazione, per quanto possa apparire semplice si è dimostrato molto difficile da analizzare sperimentalmente.
Parte del problema è che le stesse azioni o gli stessi comportamenti possono essere coerenti con motivi molto differenti.
Un venditore può ridere alla nostra barzelletta perché è divertito o perché vuole venderci qualcosa. Un uomo invitato a un ricevimento può accettare un bicchiere di vino perché ne apprezza il gusto, o ricerca l’effetto rilassante dell’alcol, o è assetato, o non vuol sembrare diverso dagli altri. Senza contare che i suoi motivi possono essere una mescolanza di queste possibilità.
Un altro problema nello studiare i motivi di determinati comportamenti è che la gente può essere del tutto inconsapevole delle ragioni soggiacenti alle proprie azioni.
È possibile credere di stare facendo qualcosa per una ragione quando, in realtà, il vero motivo è un altro.
I motivi inconsci, in effetti, sono stati posti da Sigmund Freud al centro della sua teoria della motivazione umana.
Una donna potrebbe credere consciamente, di aspirare alla presidenza di un’azienda perché è un lavoro ben remunerato, mentre il suo motivo reale potrebbe essere il desiderio di mostrare che può eguagliare il padre, morto da tempo, nella riuscita sociale.
Anche i motivi di un atto semplice come quello di mangiare possono essere difficili da cogliere: l’adulto che mangia un gelato è semplicemente affamato o sta compensando la propria solitudine con la ricompensa che la madre usava dargli quando era bambino?
Un certo orientamento allo studio della motivazione umana sottolinea i bisogni biologici fondamentali che condividiamo con gli animali. Alla luce dei meccanismi fisiologici che condividiamo con essi, si può dire molto del mangiare, del bere, e della sessualità; tuttavia, anche queste attività umane sono fortemente influenzate dall’apprendimento.
In questa sede esamineremo diverse forme della motivazione umana; da quelle chiaramente collegate ai bisogni biologici, a quelle che sembrano specificamente umane e molto distanti da qualunque ovvio bisogno biologico.
Prima di procedere, sarà utile soffermarsi su alcuni punti fondamentali che sono emersi dai primi tentativi di studiare la motivazione umana.
Gli esseri umani sono sempre stati interessati alla questione di che cosa ci spinga a compiere determinate azioni. La dottrina dominante, dai tempi di Platone e Aristotele fino a tutto il Medio Evo, e probabilmente ancora oggi, è che la mente controlla il comportamento, e che gli esseri umani sono liberi di scegliere che cosa fare.
Benché le nostre decisioni possano essere influenzate da stimoli esterni e da bisogni desideri interni, le nostre azioni sono controllate dalla ragione.
Questa concezione è nota come dottrina del libero arbitrio.
Già al tempo di Platone vi erano persone contrarie all’idea del libero arbitrio. Il filosofo greco Democrito sosteneva che in natura tutti gli eventi risultano da concatenazioni inflessibili di cause ed effetti e che, se si conoscessero tutte le leggi di causa ed effetto, sarebbe possibile predire il comportamento della gente non meno che i moti degli oggetti inanimati. Questa dottrina è detta determinismo.
La concezione deterministica divenne più popolare dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie di Charles Darwin [1859]. Se gli esseri umani e gli animali hanno la stessa origine ancestrale e sono perciò strettamente connessi biologicamente, sembra ragionevole assumere che il comportamento umano – al pari del comportamento animale – è soggetto alle leggi di causa ed effetto.
Anche su questo tema, in psicologia abbiamo presenti molti diversi orientamenti.
Dal punto di vista, ad esempio, comportamentista di uno scienziato quale B. F. Skinner, una volta specificato in che modo l’ambiente etermina il comportamento si è detto tutto quel che c’e da dire sulla motivazione.
A molti, invece, le teorie legate all’idea di “libero arbitrio” appaiono più consone alla dignità umana di quanto lo siano le dottrine deterministiche.
Quanti di noi, in ultima analisi, sono disposti a credere che le nostre azioni sono determinate soltanto dall’ambiente?
E tuttavia Skinner sostiene con forza che, in realtà, il mito del libero arbitrio è estremamente pericoloso per la completa realizzazione del potenziale umano. Secondo Skinner, solo quando accettiamo il fatto che buona parte del nostro comportamento è controllata da politici, pubblicitari e altri manipolatori sociali, possiamo cominciare a elaborare democraticamente delle leggi che limitino questa manipolazione
interessata.
Una prospettiva psicologica
Il tema della motivazione, dunque, è ampio, complesso e discusso. La motivazione può essere infatti postulata in ogni attività psichica, da quelle più elementari e automatiche (percezione, apprendimento etc.) a quelle più strutturate (lavoro, amore, impegno etc.). Tale pervasività è stata giudicata negativamente da alcune scuole, che sono giunte fino anche ad eliminare il concetto di motivazione dalle loro concezioni
(scuole “oggettive” del behaviourismo americano o della reflessologia russa, correnti sociologistiche etc.).
Il concetto di motivazione si riferisce in particolare alla spiegazione dei fenomeni e non alla loro mera descrizione, al perché e non al cosa o al come, alle cause e non agli effetti, all’interpretazione (pur secondo modelli differenti) dei fenomeni e non alla loro semplice rilevazione.
Una motivazione è un processo che sollecita l’organismo all’azione, o che la sostiene e la indirizza una volta che l’organismo sia stato attivato.
Esistono diverse modellistiche motivazionali, che risentono dell’influenza di diverse weltanschauungen filosofiche.
a) Modelli intellettualistici: motivazione come “tendenza dominante” della soggettività cosciente, come “libera volontà” (Asch, Kulpe, etc.).
b) Modelli biologici: motivazione come “stato organico di bisogno” che tende al ristabilimento dell’omeostasi1 di base, col conseguente arresto
della stimolazione (Miller, Hull, Woodworth, etc.).
c) Modelli psico-socio-antropologici: motivazione come risultato della azione della matrice culturale e sociale, intesa come insieme di reazioni
all’ambiente apprese durante l’evoluzione (Kardiner e la “personalità di base”2, Mead, Benedict, etc.).
d) Modelli istintivisti: motivazione come “istinto” inteso in senso umano, come base costituita da una o più forze automatiche ed inconsapevoli, intrinseche alla costituzione del soggetto, non apprese, ma al massimo modificate dalle abitudini apprese (gli “istinti ed abiti” di James, le “hormé” di McDougall, i “meccanismi innati di sganciamento” di Lorenz, etc.).
e) Modelli psicosociali: motivazione come bisogno di sentirsi in sintonia col gruppo di riferimento, di dare e ricevere i diversi segnali di appartenenza (Newcomb, Bales, etc.).
In gran parte delle concezioni appena elencate manca, tuttavia, una soddisfacente organizzazione dinamica dei dati raccolti.
1 Si intende per omeòstasi il mantenimento della costanza delle relazioni e/o degli equilibri nei processi corporei (ad es. la glicemia, o il mantenimento degli equilibri salini nel plasma sanguigno).
2 Abraham Kardiner intende con tale termine “quella configurazione della personalità che è partecipata dalla maggior parte dei membri di una società, come risultato di esperienze della prima infanzia che essi hanno in comune”. La forma di motivazione che si sviluppa in essa determinerebbe a sua volta le istituzioni sociali secondarie. All’interno di questi modelli ricorrono anche termini come “ruolo”, “atteggiamento sociale”, etc.
In particolare hanno “fallito”:
1. per eccesso quelli che hanno creduto di poter risolvere il problema della motivazione proponendo liste più o meno lunghe di “motivi fondamentali”. Basta ricordare gli istinti di W. James, le propensioni native di W. McDougall, i “comportamenti innati” di E. L. Thorndike, i “driver” di E. C. Tolman, i “bisogni” di H. Murray, i “tratti” di R. Cattell, i 20 “bisogni fondamentali” di H. Piéron (da quello respiratorio
a quello della compagnia), etc. Tutti questi autori hanno cercato di integrare la loro lista di motivi fondamentali con i motivi acquisiti, ma non riescono a superare una classificazione di tipo puramente descrittivo;
2. per difetto quelli che hanno ricondotto tutte le motivazioni allo schema semplicistico della riduzione ad un solo bisogno fisiologico, primario, capace di dare origine a tutti i motivi secondari attraverso un processo di condizionamento ambientale. Questa teoria si rifà necessariamente al concetto di riflesso condizionato, ma non si adatta nemmeno a spiegare tutte le motivazioni riscontrabili nell’animale, e soprattutto non spiega la ricchezza e la qualità dei motivi propriamente umani. Tale osservazione vale, oltre che per la teoria fisiologica di C. Hull, anche per tutte le altre teorie “moniste” della motivazione, che cioè pongono in una sola variabile l’origine di tutti i motivi; come quella di S. Freud della libido, quella di A. Adler che la pone nella “volontà di potenza”, quella di K. Horney (“bisogno di sicurezza”), di C, Goldstein (“self-actualization”), di C. Rogers (“bisogno della integrità personale”), di P. Lecky (“self-consistency”) e di H. Mowrer (“ansietà di base”).
La panoramica appena vista è molto ridotta rispetto alla mole di proposte reperibili, a causa della necessità di trascurare gli elenchi che descrivono (specie in USA) i vari aspetti, o meccanismi, o motivi “fisiologici” (caldo e freddo, sete, dolore, sonno, condotta parentale e sessuale, etc.).
I meccanismi citati certamente esistono, ma non sono “vincolanti” già negli animali, e persino per molti behaviouristi; la motivazione umana mostra poi come caratteristica generale una forte indipendenza dalla sfera degli schemi innati e fisiologici.
Un modello psicodinamico
Vediamo allora un modello sincretico, che tenta di essere articolato e contemporaneamente organizzato dinamicamente in una unità significativa.
Esso coniuga motivi presenti sia negli animali che nell’uomo con altri, tipici solo dell’essere umano. I primi sono definibili in termini di motivi omeostatici (distinti in innati ed acquisiti) e di motivi anti-omeostatici, esplorativi e di associazione (anch’essi innati ed acquisiti). I secondi sono i motivi conoscitivi e di valore (a loro volta innati ed acquisiti).
• I motivi omeostatici innati sono quelli fisiologici di cui si è detto, fame sete, bisogno di scaldarsi etc. Quelli omeostatici acquisiti riguardano oggetti “neutri” che divengono mezzi per ottenere altri oggetti che a loro volta soddisfano direttamente bisogni biologici: pensiamo, nell’uomo a particolari abitudini, come il vizio del fumo, le tossicodipendenze etc.
• I motivi antiomeostatici riguardano una sfera di “bisogni di stimolazione dell’organismo”, in assenza di ogni bisogno omeostatico; ad es. la curiosità delle scimmie (McDougall) o dello stesso bambino, la tendenza a disfare ed esplorare meccanismi (scimmie di Harlow e ratti di Montgomery), l’intollerabilità umana delle situazioni di deprivazione sensoriale (Hebb e altri). Si tratta di bisogni di “eccitamento” che sono primari quanto i bisogni di abolizione dell’eccitamento stesso. Essi si esprimono per di più, a livello primario, in attività esploratrici e si
possono, quindi, chiamare motivi esploratorî: essi stanno probabilmente alla base dei bisogni di associazione. Passando a livello dei motivi antiomeostatici acquisiti, possiamo indicare questi ultimi come motivazioni psicosociali3, in prospettiva ampia. In tali motivazioni agiscono anche, in subordine, le spinte omeostatiche viste precedentemente, per una sorta di catena delle acquisizioni, una relazione dinamica fra i vari tipi di motivazione.
• I motivi conoscitivi e di valore sono tendenze a conoscere e regolare gli oggetti e le persone circostanti, in profondità. Fondano il bisogno di elaborare progetti, anticipando la realtà anche prima di conoscerla (condotta anticipatoria). Non è solo intolleranza delle situazioni prive di stimolo (antiomeostasi), ma una speciale qualità di funzioni psichiche. Configurano un fenomeno tipicamente umano: solo l’uomo si propone, vuole, si rappresenta conoscitivamente le cose, le persone, gli oggetti, se stesso, in complesse relazioni; l’uomo “pensa”, è capace
di volere in astratto una data realtà prima di attuarla in concreto e l’attuazione dipende dalla rappresentazione precedente. Ciò richiede delle capacità 3 Esempio di motivazioni sociali è la cosiddetta “triade di McClelland”, cioè i tre Needs: need for affiliation, need for power, need for achievement. Per affiliazione si intende il bisogno che si manifesta nella ricerca della compagnia, nel desiderio di essere amato ed accettato dagli altri, in quello di essere integrato in un gruppo, di avere appoggio e protezione; per potere si intende il bisogno che spinge a salire quanto più in alto possibile nella gerarchia del gruppo in cui si vive, a giungere a posizioni che permettano il controllo di molti mezzi e di molti uomini; per riuscita si intende il bisogno che si manifesta nella tendenza a compiere le imprese in modo migliore di quanto fatto dagli altri, a cimentarsi
preferibilmente in quelle caratterizzate da qualche connotazione di eccellenza. Altri autori coinvolti nella definizione di queste motivazioni sono Hawthorne, Redl, Adorno e la “personalità autoritaria”, Lewin e il “livello di aspirazione”, etc. rappresentativo-conoscitive perfettamente sviluppate, per cui uno stimolo può agire anche quando non è più presente e le motivazioni possono essere largamente indipendenti dallo stato organico: la motivazione esiste al livello della conoscenza e questa diviene il fine dell’azione motivata.
I motivi conoscitivi e di valore, a livello acquisito, sfociano nelle motivazioni personali di ordine superiore, ideale, civile, etico, religioso, politico, come anche gastronomico, estetico, tecnico, lavorativo sportivo, etc. Tutte, al limite, possono divenirlo, se interiorizzate personalmente a livello di valori fatti propri, autonomamente partecipati, intrinsecamente rielaborati, continuamente ridiscussi,
disponibili al cambiamento nel multiforme contatto con la realtà, reciprocamente arricchente. Vengono anche chiamate motivazioni integrative dell’Io: hanno un carattere peculiarmente umano e sono elaborate intorno al concetto di sé.
Il modello di cui stiamo parlando, messo a punto originariamente da Leonardo Ancona e dalla sua scuola, ripreso e sviluppato da G. Trentini, si articola sulla base di un approccio psicologico, definibile come psicodinamico, che, nello studiare e considerare le motivazioni, è direttamente o indirettamente (ma pur sempre in modo saldo) collegato con lo sviluppo delle correnti di pensiero derivate dalla psicoanalisi.
Esso conferisce il primato alla dinamica soggettiva e intersoggettiva profonda dell’individuo, con particolare attenzione al suo livello emozionale di funzionamento.
L’approccio psicodinamico fa riferimento a tre principi cardine, ordinabili secondo il modello suddetto, che può essere sinteticamente richiamato come segue:
A. Il Principio del Piacere immediato, inteso come impronta fondante del processo primario cui sono riferibili ed afferiscono tutti gli impulsi originari, tutte le modalità di tipo infantile, narcisistico-primarie, di gratificazione immediata e completa di ogni vicissitudine dei bisogni: il fatidico “tutto e subito”. In termini di processo, il valore è il seguire l’impulso via via nascente. Il livello motivazionale che ad esso corrisponde può essere sottoarticolato in due versanti: quello puramente innato e quello in qualche modo e misura influenzato dal contesto spazio-temporale.
B. Il Principio di Realtà, inteso come fondamento istituzionale del processo secondario cui sono riferibili ed afferiscono tutte le spinte mutuate dall’ambiente, tutte le modalità controllate e sociali di accendere e vivere le motivazioni, tutti i bisogni di gratificazione convenzionale e contingente, narcisistico-secondaria, eteronoma, eterodiretta: il fatidico “secondo le indicazioni e i flussi dell’adattività”. In termini di processo, il valore è adeguarsi e rinforzare la realtà.
Anche il livello motivazionale che corrisponde a questo secondo principio cardine e ordine si compone articolatamente di due versanti: quello per così dire totalmente “naturale” dei bisogni esplorativi, delle spinte alla rottura degli equilibri omeostatici eventualmente raggiunti, e quello del tutto analogo ma propriamente appreso o comunque derivato dall’ambiente fisico, umano e socio-economico-culturale circostante, per misurarsi e confrontarsi con esso. Nell’insieme, per l’intervento di questo principio, riscontriamo un agire che tiene conto della realtà esterna (con i suoi vincoli, le sue risorse, i suoi riti e le sue norme-valori): l’individuo ha ormai appreso la capacità di controllare le pulsioni primarie e di armonizzare, concertare, reprimere, dilazionare nel tempo e nello spazio il loro soddisfacimento, in funzione della realtà.
C. Il Principio di Valore, inteso come fondamento della capacità di elaborare e superare, da parte dell’individuo, anche il Principio di Realtà. Ad esso sono riferibili ed afferiscono le modalità personali di gratificazione dei bisogni (che inglobano anche quelli primari e secondari), quelle autonome e autentiche, post-narcisistiche, donative, di autorealizzazione ostativa, emotivamente mature, oggettuali: il fatidico “l’adattività
è attiva e non passiva, è in subordine all’ideale dell’io, nonché in sintonia critica con i partners significativi delle relazioni interpersonali e gruppali”. In termini di processo, il valore è ogni ideale personale. Anche il terzo livello motivazionale, quello che corrisponde a questo Principio dei Valori, deriva articolatamente da una duplice matrice: quella della spinta naturale ai processi di conoscenza, alla progettazione e programmazione anticipatoria, da un lato, e quella costituita dagli Ideali personali gradualmente formatisi e maturati intrasoggettivamente
e intersoggettivamente, dall’altro.
L’ultimo dei tre principi riguarda più puntualmente e precisamente la sfera dei “valori”, ed è quello che si afferma e cresce dopo ed attraverso il meccanismo di “appropriazione” della realtà, cioè dopo un consistente processo per così dire digestivo e metabolico, di sintesi personale, che ogni persona fa in modo unico, originale, creativo, irripetibile tra le motivazioni primarie e quelle secondarie. Il che accade appunto man mano che l’individuo passa. Mano a mano, gradualmente, senza soluzione di continuità, dall’omeòstasi all’antiomeostasi alla valorialità, intese come “centratura” del declinarsi esistenziale:
Dal pensiero primario… …al pensiero secondario… …al pensiero valoriale
Tutto e subito Rinvio e/o rinuncia
Progettazione anticipatoria Impulsività e immediatezza
Autocontrollo e controllo del mondo Interdipendenza col mondo
P. Piacere immediato P. di Realtà P. dei Valori
Pensiero magico Feed-back dalla realtà Innovazione sulla realtà
Onnipotenza predatoria Lavoro intellettuale e manuale
Creatività/Donatività autentica
Narcisismo primario e
secondario Dominio/Successo Autonomia (non indipendenza)
La sfera dei valori indicabile anche come degli Ideali Personali pertiene cioè alla maturata capacità dell’individuo sia di elaborare che di agire, congruentemente, in modo autonomo e personale, la sintesi tra primario e secondario, tra “interno” ed “esterno”, tra natura e cultura. E non importa in fondo se e quanto questo pertenga al livello conscio e/o a quello inconscio delle attività psichiche: sulla scena di entrambi i
livelli, in effetti, le forze in gioco sono inestricabilmente e iperdinamicamente chiamate a svolgere, ciascuna, la propria parte. Ne usciranno certo anche delle “cognizioni”
o dei “convincimenti” su ciò che è personalmente o socialmente desiderabile e preferibile; ma bisogna cercare di andare al di là di tale superficie pur reale. Secondo la prospettiva psicodinamica, il valore può essere dunque indicato come il vissuto personale di ciò che è da perseguire irrinunciabilmente sul lungo termine. In questo senso, come già detto, la sfera dei valori pertiene alla capacità dell’individuo
di costruire plasticamente in modo autonomo e personale una gerarchia interiore non razionalizzata e non necessariamente consapevole delle proprie motivazioni: una gerarchia ideale in grado di subordinare, incanalare e conglobare (non eliminare o reprimere!) anche i livelli primario e secondario della dinamica motivazionale, in un quadro funzionale armonico che veda nei “valori personali” il fulcro del sistema.