e-mailmarketing o telefonata a freddo

Ci sono domande del tipo “è nato prima l’uovo o la gallina?” e per le quali qualunque risposta può essere opinabile e discutibile.

Nelle vendite, o meglio nel prospecting, una domanda assimilabile è “meglio mandare prima una mail o chiamare subito a freddo”?

Incoraggio sempre il contatto telefonico, tuttavia ci sono occasioni in cui inviare una mail può rivelarsi una scelta migliore del chiamare.

1. Follow up

C’è stato un primo incontro al quale si desidera dar seguito per riprendere il discorso, offrire informazioni aggiuntive e rafforzare la relazione;  non c’è nulla di sbagliato nel telefonare dopo pochi giorni, ma – proprio come capita a noi – è possibile che i nostri prospect siano persone impegnate e che il nostro “squillo” arrivi nel momento meno opportuno.  

Via mail, probabilmente, potremmo far risparmiare tempo sia a noi, che a loro, facendo seguire successivamente una telefonata di verifica. 

2. Per superare i filtri

Se parliamo di aziende, più il prospect avrà un ruolo “importante” nell’organizzazione, più saranno rigidi  i “filtri” (assistenti, segretarie personali, ecc.) dedicati a evitargli il “disturbo”.

Quante volte ci siamo sentiti dire “mi dispiace è in riunione”,  “è a pranzo”, “è fuori ufficio” ecc.

Se parliamo di privati “non è in casa”, “sono già a posto”, “non compro niente”, ecc.

Tuttavia se abbiamo i loro indirizzi di posta elettronica “personali”, possiamo arrivare direttamente, e discretamente, a loro.

Decideranno se leggere e quando leggere, se cestinare o rinviare la lettura, ecc.

3. Per dare il tempo di riflettere

A nessuno piace che gli venga messa fretta; al telefono il senso di immediatezza la fa da padrone ed è per questo che molti venditori (convinti di guadagnare tempo) lo preferiscono alla mail,  ma, al telefono, se ci sentiamo pressati, tendiamo a rispondere “non positivamente” con buona pace di chi vende.

Con una e-mail, possiamo rileggere le informazioni a nostro piacimento e decidere come e quando rispondere; di norma siamo più propensi a guardare e rispondere ai messaggi di posta elettronica nel nostro tempo libero,  piuttosto che prendere le telefonate.

4. Per riassumere con precisione le interazioni con il nostro interlocutore

Incontriamo (faccia a faccia o telefonicamente un prospect) ci scambiamo informazioni, prendiamo appunti, e ci ripromettiamo di risentirci più avanti; quando è il momento riguardiamo gli appunti (anche se non sempre e non tutti hanno la buona abitudine di scrivere) e cerchiamo, grazie ad essi, di richiamare alla nostra memoria il ricordo di ciò che ci si era detti (augurandoci che anche l’altra parte faccia altrettanto).

Ma tutti noi dimentichiamo le cose (anche chi ha un’ottima memoria).

Scrivere una mail riepilogativa a caldo, utile per noi e per la controparte, aumenta considerevolmente il valore del ricordo nel momento in cui ce ne sarà bisogno.

Colmare il gap tra i migliori e la media dei venditori

Nella maggior parte delle organizzazioni di vendita, una percentuale elevata del fatturato è generato dalla minoranza dei migliori venditori, trimestre dopo trimestre.

Il divario delle prestazioni tra i venditori al top e gli altri viene amplificato  soprattutto in ambienti complessi e in situazioni di vendita ad alto valore.

Nella vendita transattiva il divario di prestazioni tra la media dei venditori e i più bravi è circa del 59 per cento, ma negli ambienti di vendita più complessi questo divario arriva quasi al 200 per cento.

Appare chiaro che anche una modesta riduzione di queste differenze potrebbe portare a un sensibile miglioramento dei ricavi.

Pensare a come assumere le persone migliori, e realizzare corsi motivino la rete commerciale, sono le risposte che molte aziende si sono date in questi ultimi anni.

Credere che una formazione motivazionale alla vendita possa guidare il miglioramento delle prestazioni, ha portato molto spesso a cocenti delusioni

Possiamo affermare che, qualunque sia il livello di complessità, un modo efficace, e duraturo, per colmare il divario nelle prestazioni, è individuabile in un approccio pragmatico che impegni i membri del team nella ricerca, e nell’apprendimento, di ciò che può portare a piccoli, ma costanti, miglioramenti.

Capire come si muovono i migliori venditori all’interno dell’organizzazione, significa comprendere ciò che sanno e fanno in ogni fase del ciclo di vendita, per poi adattare le “best practices” nella realizzazione di un metodo utile a guidare le azioni di ogni membro della forza vendita.

Perché un’azione di cambiamento (sales transformation) abbia successo, i responsabili di una rete di vendita (sia essa costituita da agenti, funzionari o consulenti commerciali, ecc.) devono trovare il modo per poter valutare (direttamente o indirettamente) la sua attività, il suo sviluppo e i suoi risultati, non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente.

Se un programma di miglioramento delle prestazioni viene vissuto dai partecipanti non solo come la possibilità di apprendere, ma anche come l’occasione di poter contribuire, attraverso lo scambio di idee ed esperienze, al proprio e all’altrui successo,   si può sviluppare quel senso di appartenenza collettiva utile ad affrontare anche le sfide più impegnative.

Se è vero che i top performer prestano prevalentemente attenzione ai propri obiettivi, senza preoccuparsi molto di come i loro colleghi vendono e di come potrebbero migliorarsi, è altrettanto vero che la velocità dei cambiamenti in atto, e per i quali singoli e team devono adattarsi a una clientela sempre più esigente, necessita di un apprendimento collettivo basato sulla condivisione delle migliori pratiche che nemmeno i migliori venditori possono oggi permettersi di ignorare.

Per colmare il divario nelle prestazioni di vendita, suggerisco di iniziare (direttamente o indirettamente) col comprendere le caratteristiche comuni dei propri top performer, analizzando ciò che sanno e fanno con successo, per guidare il resto del team di vendita ad apprendere, e porre in essere, queste abitudini vincenti.

Non è questione di fare brutte fotocopie o trasferire modelli, ma di realizzare un metodo flessibile, semplice, pratico e ripetibile, capace di rinnovarsi adattandosi anche ai più repentini mutamenti.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

4 passi per motivare un prospect

Una delle domande che un sales trainer o un sales coach ricevono più spesso dai venditori può essere così sintetizzata:

Ci siamo relazionati con un prospect, lo abbiamo interessato ai nostri prodotti e ai nostri servizi, pare anche disposto a comprare e tutto sembra procedere per il verso giusto, ma poi il silenzio . . . nessuna risposta,  nessuna conversazione, nessun riscontro a telefonate e mail. Come possiamo motivarlo a darci una risposta e, possibilmente, concludere l’affare?

La domanda sorge spontanea: si può motivare veramente qualcuno? 

La risposta lo è altrettanto: no. 

Non si può convincere qualcuno a fare qualcosa che non vuole fare. 

Spingere la vendita cercando di convincere e persuadere, funziona raramente se il prospect non ha una ragione per agire.

Eppure ognuno di noi ha le proprie motivazioni a fare o non fare, e chi vende dovrebbe cercare di capire quali sono i motivi che inducono la controparte a decidere, o temporeggiare.

Quando si capisce che cosa vogliono le persone con cui ci confrontiamo, e cosa sono disposte a fare per ottenerlo, è possibile mettere a frutto tale conoscenza. 

La motivazione viene definita come il desiderio di qualcosa unito alla volontà di agire per realizzarlo.

Nel contesto di questa definizione, come si fa a posizionare il prodotto o servizio in modo che il possibile compratore sia disposto ad agire?

Bastano quattro semplici passi per capire che cosa motiva il prospect, quattro passi che tutti conoscono, ma che la routine fa spesso trascurare.

Come diceva il saggio “sapere cosa fare, ma non farlo, equivale a non saperlo”.

  1. Chiedere: saper porre domande pertinenti e rilevanti significa adoperarsi non solo per condividere le informazioni, ma per creare una visione condivisa tra noi e il prospect.
  2. Ascoltare: fare buone domande non è sufficiente, occorrono anche ascolto e comprensione di ciò che l’altro ci sta dicendo; purtroppo molto venditori ancora oggi ascoltano prevalentemente se stessi e i propri pensieri, quasi incapaci di concentrarsi, facendosi fuorviare da pregiudizi e distrazioni.
  3. Confermare: verificando, controllando, ribadendo e approfondendo ciò che si pensa di aver capito della questione, e della controparte; questo atteggiamento ci costringe a migliorare il nostro ascolto e la nostra concentrazione sull’interlocutore.
  4. Connettere: significa collegare le proprie argomentazioni di vendita alle motivazioni del prospect creando quel “valore personale” capace di generare l’impatto nella vendita.

In definitiva, mentre la persuasione può essere definita come una modalità di comunicazione, la comprensione delle motivazioni personali della controparte, unitamente alla capacità di generare “valore personale”, possono essere le chiavi per conquistare la vendita.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

2016 e obiettivi di vendita

All’inizio di ogni nuovo anno, quasi tutti si chiedono “cosa ci porterà”, e  cosa si può fare per viverlo e affrontarlo al meglio.

Tutti i professionisti delle vendite, dal  direttore al funzionario commerciale, nel B2B come nel B2C, in qualunque settore (banche, assicurazioni, industria, commercio, ecc.) ha bisogno di prendere tempo per considerare quello che, con ogni probabilità, influenzerà il  suo lavoro (mercato, concorrenza, innovazione, ecc.) e i conseguenti obiettivi di vendita.

Dal momento che non esistono due aziende perfettamente uguali, vuoi per dimensione e struttura, piuttosto che per settore e mercato, le sfide che ognuno dovrà affrontare saranno diverse, pur non mancando un terreno comune su cui confrontarsi.

Le attività Account-Based Marketing, perlopiù rivolte a “grandi clienti”, sia sui social che in forma diretta, e ormai trasversali nella maggior parte delle aziende che operano nel B2B, hanno visto, e molto probabilmente vedranno, investimenti importanti nella tecnologia di supporto, che tanto fa, ma non può fare tutto.

Sarà importante risolvere il problema legato alla coerenza tra una messaggistica mirata al creare un ponte con il “prospect”  e il conseguente lavoro delle persone del team di vendita, indirizzato a tradurre i contatti generati in appuntamenti, ovviando al rischio di sforzi non finalizzati che potrebbero aprire spazi alla concorrenza.

Tutto questo, per ogni professionista delle vendite (sales manager, key account manager, ecc.), che si deve confrontare con un management quasi sempre orientato, in forma pressoché esclusiva, all’aumento della produttività, potrebbe significare una perdita di efficienza,  anche a causa di sistemi decisionali sempre più complessi e legati al reperimento, e alla gestione, di un costante flusso di informazioni.

Per circa i 2/3 delle aziende che hanno a che fare con clientela B2B, ma volendo potremmo allargare la riflessione anche alla vendita B2C – retail,  la vera difficoltà è considerare il marketing e le vendite come team allineati.

Chi, nel marketing, continuerà a non ragionare in funzione del “team di vendita” che è il suo primo “cliente”, perpetuerà il disallineamento organizzativo e tutto questo, soprattutto se pensiamo al costante aumento delle attività di outbound, relativamente al trasferimento di alcune azioni di vendita direttamente al marketing.

Molti venditori professionali dichiarano di trovarsi nell’incresciosa situazione di non saper come coinvolgere efficacemente i “lead altamente qualificati” provenienti da un marketing “one a one” sempre più orientato alla qualità, piuttosto che alla quantità, dei contatti; una “sales force” disallineata corre normalmente  il  rischio di bruciare un contatto qualitativo ponendo in essere, in tempi pressoché immediati, una tentata vendita.

Si chiede a chi vende di ascoltare attivamente, di generare proposte consultive imperniate su soluzioni e idee (solution and insight selling), ma in alcuni casi con poca preparazione e supporti.

Questo non facilita la creazione di contenuti di valore (nuovi o rinnovati) capaci di differenziare sia l’offerta, che il posizionamento, soprattutto nel caso di quelle realtà che puntano ancora sul servizio, sulle relazioni e sulla vendita basata sulla trattativa e sulla conversazione commerciale.

Si fa un gran parlare circa il rispettare il processo di acquisto del cliente, l’accompagnarne il processo decisionale, anziché spingere la vendita, al fine di poter prendere posizioni efficienti e decisioni efficaci, ma quali fatti seguono alle parole?

Se siamo tutti d’accordo che allineare il proprio processo di vendita ai differenti processi d’acquisto dei singoli prospect può dare, come risultato, aziende felici, clienti felici, venditori felici, perché ancora oggi vi è un dominio della cultura push?

Forse perché è faticoso investire nel capire il “percorso” del cliente, mappandone il viaggio, ovvero il processo decisionale, così da poter offrire un sempre maggior valore alle nostre strategie d’offerta?

In un mondo in cui i prospect (B2B e B2C) preferiscono condurre le proprie ricerche online, al fine di essere pronti e preparati nel momento in cui incontreranno le differenti controparti commerciali, ogni persona di vendita dovrebbe essere messa in condizione non solo di riflettere su come modificare il proprio processo di vendita, ma dotata della cultura e degli strumenti utili  per capire veramente come i clienti vogliono comprare e  offrire loro valore in ogni interazione.

In un mondo tecnologicamente rumoroso, ma fatto anche di assordanti incomunicabilità,  bisogna concentrarsi su ciò che è veramente importante per massimizzare i ritorni di ogni singolo sforzo commerciale.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

L’orgoglio di essere un venditore professionale

Questo articolo è un riconoscimento e una promozione palese della professione di venditore!

Per quanto la mia attività sia da 25 anni quella di sales trainer, ancora oggi amo definirmi un venditore (vendo da circa 38 anni), in quanto prospecting, negoziazione e closing non sono solo oggetto di didattica, ma parte integrante della mia vita di professionale, dovendo, come in tutte le attività,  proporre soluzioni e farle “comprare”, al fine di mantenere la clientela in essere e conquistarne di nuova.

Pochi giorni fa, a una mia mail in cui proponevo ad alcuni prospect selezionati se volessero scambiare qualche idea sul vendere e negoziare servizi di consulenza a clientela di alto profilo, il direttore commerciale di una banca operante sia con clientela istituzionale, che private e family, mi ha risposto in maniera secca, e direi infastidita “Grazie ma non sono interessato. Noi non vendiamo. Facciamo attività di consulenza. Cordialmente“.

Il che, detto da un direttore commerciale, mi ha lasciato letteralmente basito!

Ma come diceva mia mamma in un latino maccheronico “de gustibus non est disputandum”!!!

Detto questo vorrei iniziare con lo sfatare alcuni miti che circondano la vendita professionale.

Innanzitutto non è assolutamente vero che per essere un buon venditore occorra avere il dono della parlantina, come ho già scritto in altre occasioni, le migliori persone di relazione che ho conosciuto sono sempre state soprattutto abili nel fare le domande giuste e al momento giusto, e soprattutto nel saper ascoltare il proprio interlocutore.

Vendere è un lavoro rischioso perchè non ti garantisce un’entrata certa!

Ma per favore! Vendere è il lavoro più sicuro se hai un azienda seria alle spalle e se decidi tu stesso di farlo seriamente.

Vendere non è una vera e propria professione!

Ditelo alle aziende che hanno i magazzini pieni! Non solo è una vera e propria professione, ma viene anche premiata, a volte anche meglio, di altre professioni.

Spesso mi viene chiesto di avviare programmi di vendita professionale per giovani con scarse abilità di vendita, ottimo potenziale, cultura universitaria, e che, non trovando sbocco per ciò per cui hanno studiato, vivono nella maggior parte dei casi la vendita come un ripiego.

Pochi di loro la vedono come un’opportunità e come un percorso di crescita, i più la vivono come un cavallo di troia, grazie al quale mettere il piede nel mondo del lavoro e quindi nell’azienda per poi, se da cosa nasce cosa, conquistarsi il diritto a una posizione più “tradizionale”.

Quando chiedo loro cosa ne pensano a casa del percorso che stanno intraprendendo, in quasi tutte le famiglie la reazione non è positiva.

Io stesso ricordo la perplessità dei miei genitori quando, a 22 anni, lasciai un impiego sicuro per cominciare l’attività di mediatore immobiliare; creai un certo senso di instabilità nella loro percezione del mio futuro, sensazione di instabilità che non è mai svanita, nemmeno dopo anni e l’evidenza che la professione di venditore mi permetteva una vita decisamente decorosa.

Per quanto triste tutto ciò è comprensibile in base all’immagine stereotipata del venditore che oggi, come allora, molti abbinano al rappresentante, al piazzista e all’affabulatore televisivo.

Di questa lettura sono purtroppo complici molte aziende che ragionano ancora con la testa di chi opera in mercati in espansione e stressano con budget e crm la propria rete, senza offrire in cambio un vero marketing o una formazione mirata ad aiutare le proprie persone a vendere in un mondo ormai 2.0

Perché dunque un giovane venditore dovrebbe sentirsi orgoglioso della propria professione?

Innanzitutto perché le competenze acquisite saranno trasferibili, un domani, anche in altri ambiti professionali e nella vita in generale. 

Questo perchè un serio percorso che indirizzi alla vendita professionale non può prescindere dal far apprendere e interiorizzare le seguenti abilità:

  1. Comunicazione efficace (ascolto e discussione, chiarezza anche nella comunicazione scritta e non verbale, empatia e fiducia)
  2. Analisi della situazione e problem solving
  3. Lavoro di squadra
  4. Capacità organizzativa e gestione del tempo
  5. Adattabilità
  6. Contabilità e finanza
  7. Perseveranza
  8. Cultura generale e senso degli affari
  9. Applicazioni di Business IT

Non riesco a non pensare a ruoli di rilievo che non si  basino sulla maggior parte delle competenze appena elenecate. 

Tre parole usate sempre più spesso dai clienti, soprattutto nel B2B,  per identificare una vendita professionale sono “Autenticità, Fiducia e Partnership“.

In altre parole per “vendere” un prodotto o servizio che abbia un valore significativo, un venditore deve prima conquistare la fiducia del compratore, e della sua organizzazione, soprattutto in sistemi decisionali complessi e articolati fatti di più interlocutori, ognuno dei quali ha il potere di uccidere l’affare. 

Conquistata  fiducia il venditore potrà avere la possibilità di influenzare, grazie alla propria competenza, il processo decisionale del cliente, e l’influenzare non ha nulla a che vedere con il manipolare o il circuire, ma ha a che fare con l’essere riconosciuti come specialisti in grado di offrire la giusta soluzione alla questione in essere.

Alcuni dei giovani venditori che ho formato 20 anni fa sono diventati manager in grandi aziende, e hanno potuto migliorare se stessi facendosi sostenere nella partecipazione a Master e Work Shop di alto profilo.

Ricordiamoci, qualsiasi lavoro è rischioso se non si è bravi nel farlo.

Se un contabile continua a fare errori nella migliore delle ipotesi perderà il lavoro. 

Se una receptionist fosse sempre scortese con i clienti, idem. 

Se un’azienda non vende, la risposta è sempre la stessa.

Un buon venditore non corre più rischi di un buon ragioniere o impiegato, e se poi il management, o l’imprenditore, gli forniscono i supporti utili per migliorare, lui sarà la prima garanzia di prosperità per la sua azienda, e per le persone che vi fanno parte.

Come in tutte le professioni non tutte le persone di vendita sanno essere etiche e professionali, ma un mercato sempre più selettivo sta separando inesorabilmente, e sempre più velocemente, i ciarlatani dai professionisti seri.

Nell’antica Roma si diceva “vendere è l’arte nobile di soddisfare bisogni e necessità altrui, con i propri prodotti e servizi, e le proprie prestazioni“.

Ed è proprio questo che intendo perché chiunque si possa definire un venditore professionale ed esserne orgoglioso.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

3 semplici passi per costruire valore

Sentiamo dire spesso “devi creare valore“! Va bene, ho capito, ma come“?

La maggior parte delle persone pensa che la capacità di costruire valore dipenda dalle dichiarazioni del venditore.

Sicuramente le parole e i concetti strategici basati sul valore esplicitati da chi vende sono importanti, ma cosa succederebbe se potessimo ottenere queste stesse idee direttamente dal compratore?

Ci sono 3 semplici passi per costruire valore:

1. Scoprire i bisogni

Il primo passo per la costruzione del valore deriva dal capire i desideri e i bisogni del prospect, dimendicandoci dei prodotti e dei servizi che vorremmo offrire 

Di solito bisogni e desideri si concentrano in tre aree principali:

  • Processo attuale:  “Cioè la gestione di  …”
  • Preoccupazioni:  “Quali sono le maggiori sfide in corso?”
  • Desideri:  “In cosa vorrebbe migliorare …”?

Queste sono aree di “indagine” preziose, occorre dedicare loro il tempo giusto, andando in profondità, oltre la superficie su cui si sofferma la maggior parte dei venditori.

Quante più informazioni si raccolgono, quanto più agevoliamo il passo successivo: proporre soluzioni.

2. Proporre soluzioni

È qui che la conoscenza di prodotti e sevizi può rivelarsi molto utile nel proporre con efficacia soluzioni mirate e che rispondano alle esigenze del cliente.

3. Chiedere un feed back immediato

Questo passaggio deve essere immediato perchè invita il cliente a dare la propria percezione del valore ricevuto.

Se il cliente ci darà una risposta affermativa condividerà con noi le ragioni del perchè pensa che quanto offerto funzionerà, in caso contrario ci permetterà di scoprire un’obiezione o una resistenza che sarebbe rimasta nascosta.

Questo feed back immediato ci consentirà di confermare la soluzione proposta, ovvero, qualora l’obiezione sia sostanziale, di lavorare con il cliente per trovarne una diversa!

Certo sono solo 3 semplici passi, per alcuni versi banali e scontati, ma si basano su un criterio inconfutabile: le dichiarazioni di valore più forti provengono dal compratore, non dal venditore.

E se sulla teoria siamo quasi sempre tutti d’accordo, è la pratica quella che ci differenzia.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

Vendere: carattere e temperamento nel B2B

Qualche anno fa l‘amministratore delegato di un’azienda elettronica richiedeva un intervento per i suoi sales manager, a suo dire tutti decisamente differenti, sia per carattere, che per temperamento.

Tra di essi uno era forte e socievole, un altro era tranquillo ma incredibilmente astuto, uno la sintesi della fiducia verso il futuro e verso il prossimo, un altro giovane e ambizioso, e infine quello che definiva un uomo “grigio”. 

Ridendo aggiunse che, per la legge di chi si somiglia si piglia, i loro clienti erano “proprio simili loro!”.

Si dice che le persone comprino, prima di ogni cosa, il proprio interlocutore, e poi la sua mercanzia, qualunque essa sia (questo nel business, come nel sociale).

Ho sempre accettato questo concetto, evitando di stressarlo o esasperarlo come fanno certe scuole di pensiero,  perchè è normale vedere che l’essere umano, in qualunque campo, è alla ricerca di altri esseri umani con i quali sente affinità e con i quali sentirsi a proprio agio.

Ma la domanda chiave è Cosa succede quando un responsabile o un addetto alle vendite ha a che fare con i clienti con i quali non ha feeling e con i quali vive una situazione di disagio, soprattutto quando sono questi ultimi a non vedere in lui la controparte desiderata?” *

Suppongo che tutti possiamo convenire che questo è un problema, soprattutto in considerazione della rivoluzione portata dal Web 2.0 negli acquisti aziendali.

Gli acquirenti sono diventati ancora più esigenti e sono in grado, grazie a internet, di trovare esattamente quello che vogliono, quando vogliono e da chi vogliono! 

Quindi se i prodotti e i servizi molto raramente sono unici, sono le vostre persone di vendita che fanno la differenza!

Possiamo permetterci il rischio di mandare da un cliente la persona sbagliata?

Il chiamare a freddo da riscontri sempre più risicati,  sostituito ormai da piattaforme di ricerca finalizzate a generare contatti reciproci e velocità di accesso.

Ecco perché i Responsabili Vendita (dal GM al team leader) devono affrontare il problema di come mettere le persone giuste sui clienti giusti al momento giusto, decidendo innanzitutto se sia meglio creare una cultura di vendita aziendale indirizzata al team e alla reciproca collaborazione, piuttosto che al successo individuale.

Credo che laddove esista un’opportunità, sia  fondamentale mettere le risorse più adeguate esattamente dove se ne ha bisogno, anche se questo può richiedere, a volte, trasferte che sulla carta potrebbero apparire antieconomiche.

Non ho nulla contro scuole di pensiero come PNL, DISC, SDI, ma nei miei 38 anni di vendita i venditori migliori che ho conosciuto non sono quelli che si possono trasformare come un camaleonte mimando sguardi e posture come in un rito propiziatorio, bensì quelli che sanno fare soprattutto due cose: porre ottime domande e poi “davvero” ascoltare le risposte.

La formazione alle vendite non è una scorciatoia e non è un palliativo . . . in un corso di vendita professionale si apprende ciò che funziona, e sta già funzionando per altri . . . in un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza. 

Vendere – La paura di chiedere “chi decide?”

Se non stiamo parlando con la persona che decide, la nostra proposta giungerà a quest’ultima, se mai giungerà, con molte probabilità alterata.

Uno dei maggiori stati di “trance” per un venditore è rappresentato dalla paura di chiedere al proprio interlocutore come vengono prese le decisioni nella sua azienda, questo per il timore di urtarne la suscettibilità.

Sistematicamente, durante corsi e seminari, devo rassicurare i partecipanti sulla “necessità” di tale richiesta, accorgendomi come, anche nei venditori più navigati, vi sia la preoccupazione nel doverla fare.

Eppure, sapere come vengono prese le decisioni, è un  bisogno ineluttabile per chi vende.

Io stesso all’inizio della ma attività di vendita, e per alcuni anni devo ammettere, mi affidavo unicamente al mio interlocutore; dapprima perché credevo che fosse lui a decidere, in seguito per le stesse remore che riscontro oggi negli altri . . . poi chiedere è diventata una questione di sopravvivenza, e oggi per me è una “normale e dovuta” informazione da raccogliere durante la conversazione di vendita.

Sapere chi prende le decisioni e come queste vengono prese significa facilitare l’intero processo, al fine di sapere se stiamo parlando e cercando di influenzare le persone giuste, e chi eventualmente dovremmo cercare di coinvolgere.

Per evitare assolutamente lo spreco del nostro tempo e delle nostre energie, dobbiamo cercare di  allineare quanto prima il nostro modo di vendere al loro modo di comprare.

E per fare questo abbiamo solo una sola possibilità “fare domande“.

Non vi è nulla di scandaloso o offensivo nel chiedere “come vengono prese queste decisioni in azienda?“, piuttosto che “chi altri è (potrebbe essere) coinvolto in questo tipo di decisione?“.

A volte mi capita di parlare sin dal primo incontro con il decisore, ciononostante gli faccio comunque queste domande e a volte scopro che è sua intenzione coinvolgere altre figure aziendali più adatte a valutare “tecnicamente o socialmente” la mia proposta . . . questo mi permette di poterle incontrare e confrontarmi, anziché sottoporre loro semplicemente un progetto o un’offerta di cui saprò l’esito solo a decisione avvenuta.

Si potrebbe anche fare una domanda indiretta “quante copie della proposta-progetto le devo preparare?“.

Ricordiamoci ci sono interlocutori che detengono il budget, altri che lo spendono, altri ancora che possono essere semplici sponsor o validatori.

Un buon venditore deve avere nel suo “arsenale” più domande alternative per poter uscire dall’impasse che gli potrebbe impedire di conoscere i decisori e il loro processo decisionale.

Ma per i meno coraggiosi cominciare a utilizzare le tre domande di questo post sarebbe già un ottimo inizio.

La formazione alle vendite non è una scorciatoia e non è un palliativo . . . in un corso di vendita professionale si apprende ciò che funziona, e sta già funzionando per altri . . . in un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza. 

Vendere – Cercare di accontentare ed assecondare chiunque

Non conosco la chiave del successo, ma la chiave per il fallimento sta cercando di accontentare tutti. ~ Bill Cosby

Uno dei peggiori errori che un venditore, o un piccolo imprenditore, possono commettere è cercare di piacere a tutti, anziché cercare di soddisfare la “nicchia” in cui sanno di essere il migliore.

Quando mi sento dire che un prodotto o un servizio è per tutti, resto quasi sempre basito.

Mi ricorda quando, nella prima metà degli anni ’80, partecipai a un corso in cui il management della società per la quale lavoravo presentò uno dei primi fondi comuni italiani.

Era un fondo bilanciato (avevamo solo quello) e con enfasi il trainer ci incalzò con un accorato “è il miglior fondo che si possa avere, se le azioni salgono compriamo azioni, e se scendono ci spostiamo sulle obbligazioni . . . è il prodotto perfetto per qualunque cliente che voglia guadagnare sempre”.

A quei tempi l’ignoranza finanziaria dei clienti, ma anche negli addetti alle vendite (reclutati spesso tra venditori di aspirapolvere, agenti di commercio e pensionati bancari che non avevano mai visto un “borsino” nemmeno col binocolo), poteva far dire tranquillamente . . . “prodotto per tutti”.

Concetti quali timing, cicli economici e finanziari, ecc. erano assenti da ogni formazione, non so se per semplificare le cose a chi doveva vendere, o per stessa ignoranza del trainer; la necessità dei “produttori” era avere una rete generalista, per un pubblico generalista.

Ancora oggi quando sento “prodotto per tutti” è come quando mi sento dire “non ti preoccupare” o “non c’è problema”, so che devo stare attento al boomerang!

Un buon venditore e un buon imprenditore, dovrebbero pensare a chi potrebbe trovare soddisfazione  da ciò che “sanno fare veramente bene”, ovvero da ciò in cui sanno di potersi differenziare dalla concorrenza, puntando innanzitutto sulle proprie peculiarità specialistiche.

Ma siamo davvero convinti di poter davvero accontentare o soddisfare tutti?

Clienti diversi, simili ma non uguali, hanno esigenze diverse, preoccupazioni e problemi che necessitano di differenti soluzioni . . . per quanto bravi ed efficienti non possiamo essere i migliori in tutto.

Anche la Coca Cola, convinta di conquistare anche la nicchia delle bevande energetiche con il marchio Burn ha dovuto piegarsi alla Red Bull, piuttosto che la Microsoft nel mercato degli smartphone.

Molte aziende cercano di catturare una varietà molto ampia di clienti, ma dopo tutto si trovano molto rapidamente in modalità “fail“.

Quando parlo con imprenditori, e di conseguenza con venditori e agenti plurimandatari, mi accorgo che la logica del voler accontentare tutti è strettamente legata alla convinzione che questo permetterà loro di avere una quota di mercato più grande.

Se per alcune grandi aziende questa logica potrebbe anche rivelarsi un importante vantaggio competitivo, per le piccole imprese e medie imprese, che hanno risorse molto limitate, questo è un lusso che non possono permettersi.

Disperdere le proprie risorse determina la grande probabilità di fallire anche in quelle nicchie in cui si potrebbe fare del buon business.

E per agenti e venditori la tuttologia (già che vendo vino, vendo anche pasta e salumi, e per non sbagliare ci aggiungo le merendine) rischia di non pagare.

In un mondo che chiede specializzazione, è difficile essere percepiti da specialisti pensando, e agendo, da tuttologi.

Se avete dei dubbi, che siate imprenditori o venditori, provate a rispondere a queste due semplici domande:

  1. Ho abbastanza risorse per accontentare tutti sul mercato?
  2. Ho il potenziale per risolvere troppi problemi differenti o per soddisfare troppe esigenze diverse?

La formazione alle vendite non è una scorciatoia e non è un palliativo . . . in un corso di vendita professionale si apprende ciò che funziona, e sta già funzionando per altri . . . in un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza. 

Vendita – 3 modi perché un prospect a freddo parli con te

Concretizzare un primo incontro con un prospect a freddo è una delle cose più difficili nella vendita, ecco perché è importante essere estremamente efficaci quando ci rispondono al telefono o a una mail.

Ecco 3 semplici modi di fare, e non fare:

  1. Preparati prima: telefonare o scrivere proponendosi  per far ottenere al cliente la prima pagina dei risultati di ricerca di Google, aumentando così il traffico e-commerce quando,  semplicemente controllando il suo sito, è evidente che non fa  e-commerce, significa inefficienza che da irrimediabilmente luogo a inefficacia.
    Prima di raggiungere qualunque prospect, meglio prendere tutte le informazioni utili su cosa sta succedendo nel suo mondo, così da condividere con lui cosa hai fatto, e cosa puoi fare, per aziende come la sua.
  2. Offri una conversazione di valore: al cliente interessa relativamente quello che fai, gli interessa quello che puoi fare per lui, ecco perché devi posizionarti come una risorsa, così che percepisca il valore di come puoi essergli d’aiuto nel superare sfide specifiche, condividendo ciò che hai fatto per aiutare aziende del suo stesso settore.
  3. Perseverare e incrociare i supporti:  dicono che vogliano almeno 7-10 tentativi (tra telefono, mail, sales letter, ecc.) per ottenere un primo incontro con un “cold prospect”, e che i più, tra i venditori, non vadano oltre il quarto.
    In realtà occorre raggiungerli più volte di quante si pensi; personalmente alcuni li ho “inseguiti” per anni, contattandoli periodicamente (possono anche cancellare le prime 6/10 e-mail inviate, negarsi 10 volte al telefono,  buttare 4 nostre lettere nella spazzatura ma poi, un giorno, cambiano le circostanze, ed ecco che ci rispondono).

Il prospecting non è per i deboli di cuore.

Accettare di prendere dei no per ottenere dei si, è ancora un ottimo modo per selezionare la vostra pipeline e trovarvi di fronte al cliente quando è pronto ad acquistare.

La formazione non è una scorciatoia e non è un palliativo . . . in un corso di vendita professionale si apprende ciò che funziona, e sta già funzionando per altri . . . in un corso di vendita professionale vince sempre la concretezza.