La lezione di Napoleone

Napoleone riesce ancora a ottenere attenzione.
Nel libro Napoleone Project Management (2006), Jerry Manus sviluppa in modo efficace alcune lezioni pratiche della carriera del leader francese.
Al centro della sua analisi ci sono sei principi vincenti di Napoleone .
Questi principi possono essere una bussola.
Manus osserva che essi lavorano insieme alimentandosi l’un l’altro.
Essi sono:
Esattezza: la consapevolezza, la ricerca e la pianificazione continua
Velocità: nel ridurre le resistenze
Flessibilità: adattabilità per un team building forte e unito
Semplicità: obiettivi chiari,messaggi e processi semplici
Carattere: integrità, calma e responsabilità
Forza Morale: per poter dare ordini, obiettivi, riconoscimenti e ricompense

Secondo Manus  la caduta di Napoleone è dovuta, però, ad alcuni di questi stessi fattori.
Egli ci indica quattro segni premonitori che egli avrebbe dovuto, e a nostra volta noi dovremmo,saper cogliere.
L’eccesso di  potere, l’eccesso di zelo ossessivo, la scarsità di efficacia nella leadership (causa di disordine  e sfiducia), e uno stile di vita squilibrato.
Se ci isoliamo, presi da un eccesso di onnipotenza, arrivando a dimenticarci di coinvolgere nelle decisioni importanti le parti interessate, ci volteremo e un giorno non ci sarà più nessuno dietro di noi.
E con nessuno dietro di noi non sarà più possibile, nemmeno lontanamente, poterci definire dei leader.

Comprendere il valore delle informazioni

Nel film Wall Street,  Gordon Gekko (personaggio interpretato da Michael Douglas) sottolinea il valore delle informazioni e come ottenerle.
Ora, per quanto sia solo un film, e alcune delle sue lezioni possano sembrare datate, occorre sottolineare che dai tempi dei tempi il valore delle informazioni è riconosciuto a ogni livello.
La chiave è . . . come ottenerle da una fonte affidabile.

Non c’è bisogno di infrangere la legge per ottenere informazioni determinanti, occorre semplicemente selezionare le fonti e favorire i presupposti che ci permettano di accedervi.
Trarre vantaggio nel colloquio con un potenziale cliente, grazie alle informazioni che abbiamo scoperto, utilizzarle nel guidare il processo di vendita, ci permetterà di fare un’offerta mirata, aumentando considerevolmente le nostre possibilità di successo e closing efficace.
Avere le informazioni è essenziale, saperle gestire è determinante.

In ogni corso di vendita viene detto che un cliente è alla ricerca di soluzioni e risposte, non solo di prodotti.
Sulla teoria si è sempre tutti d’accordo, peccato che la pratica sia spesso difforme.

Non più tardi di pochi giorni fa ho incontrato, da cliente, un venditore di telefonia, in quanto stavo valutando come ottimizzare i contratti di linea fissa e mobile.
Cercavo, e sottolineo cercavo, di dargli le informazioni che ritenevo per lui necessarie per soddisfare al meglio le mie necessità, ma il nostro baldo sales man era troppo preso dal magnificare se stesso e la propria azienda.
Gli ho chiesto un’offerta che mi è puntualmente arrivata, peccato non avesse tenuto conto di nessuna delle mie richieste prioritarie.
Il seguito lo lascio a voi.

Risolvere un problema o dare una risposta adeguata possono essere il primo passo per avere un cliente per tutta la vita; non risolvere e non rispondere . . . beh questa è un’altra storia.

Se il product training commerciale non è efficace

Molti venditori non riescono a sviluppare nuove attività di vendita, perché sono sempre in attesa delle decisioni della società.
In attesa di nuovi materiali di marketing, o di una  maggiore formazione, o di qualunque cosa decidano debba essere loro fornita da altri . . . è come se giocassero sempre di rimessa.
Detto  questo  vi è  però  da  aggiungere  che  molte  Aziende,  i loro Uffici Marketing, piuttosto che il Product Management, non fanno grandi sforzi per dotare la  rete di  vendita di  ciò di  cui ha  bisogno  per porre in  essere azioni vincenti.

Gli eccellenti venditori fanno della chiarezza e della messa a fuoco dei propri obiettivi uno dei loro principali punti di forza per affrontare il mercato e  coglierne le opportunità,  agendo anziché aspettare,  ma è anche vero che non tutte le persone che compongono una rete commerciale hanno il talento naturale del vendere.

Se chiarezza  e messa a fuoco sono fattori critici di successo, perché le aziende  non supportano  adeguatamente, e lasciano spesso soli, i componenti del loro team di vendita?
Ci sono venditori che dichiarano di non riscontrare una domanda reale per  ciò che stanno offrendo,  pur convinti di avere a disposizione un’eccellente offerta;  essi si arrovellano i per cercare di capire  come  vendere ciò  di cui gli altri sembrano non aver necessità.
Con una breve seduta di coaching  è facile rendersi conto che,  in molti casi,  essi non dispongono di  informazioni adeguate da parte dell’azienda,  così come la formazione  e il supporto utili al  poter proporre  adeguatamente  non siano stati trasferiti al meglio.
Ci sono domande alle quali, il venditore medio non sa rispondere; nessuno gli ha mai detto come argomentare per far fronte a richieste e obiezioni.
I venditori eccellenti ci arrivano normalmente da soli, ma per la maggior parte degli altri è come trovarsi di fronte a dei muri che non sanno come superare;  purtroppo, in questi casi,  i più scelgono  di abbandonare,  dirigendosi in un’altra direzione, verso un altro cliente che si augurano più malleabile.
Alcune di queste domande, per quanto possano  sembrare banali,  sono vere e proprie  spine nel fianco se non sono sostenute da valide argomentazioni. . .

  1. Quali sono i bisogni/problemi più comuni ai quali il prodotto-servizio da risposta?
  2. Chi è il cliente tipo e perché?
  3. Quali domande dovremmo fare?
  4. Quale potrebbe essere una dimostrazione-argomentazione efficace e perché?
  5. Cosa dovremmo dire al telefono per interessare l’altro e poter ottenere un appuntamento?
  6. Chi è la concorrenza e in cosa siamo migliori/meno competitivi?

Chiedere a un venditore medio di  darsi da solo  queste risposte  è come chiedere a un pugile di salire sul ring senza guanti, senza casco, senza paradenti e senza conchiglia.
Se ci  aspettiamo che  un team di vendita  dia risultati,  diamogli un  supporto che lo  metta in condizione di gestire adeguatamente sia l’intervista, che l’argomentazione di vendita, a partire da un product training commerciale  che non si limiti a parlare quasi esclusivamente del prodotto, del target ipotetico e dei ritorni economici.

 

Sviluppo della leadership

Lo sviluppo della leadership è in movimento in ognuno di noi,  centimetro per centimetro, lungo un continuum personale.
La leadership non è solo con un modo di esprimersi, o trattare, con gli altri.
E’ la sintesi di come interpretiamo la nostra vita e di come le rispondiamo.
Siamo proattivi o reattivi, parliamo.. parliamo.. parliamo o ascoltiamo, siamo gentili o siamo spietati?
La leadership è l’espressione della nostra personalità, del nostro carattere e delle nostre abitudini.
Per sviluppare la leadership  dobbiamo innanzitutto identificare  le nostre debolezze,  una a una, cercando di fare esperienze e acquisire abitudini che ci permettano di migliorare i nostri punti deboli.
Ci sono persone autocratiche,  altre che hanno grandi difficoltà nel delegare correttamente,  altre a cui  manca la fiducia in se stesse  quando si tratta di  parlare in pubblico  e altre ancora  che minano la  fiducia nei  membri del proprio team.
Qualunque sia la  debolezza,  qualunque sia  il problema,  è possibile  lavorare per  risolvere,  e diventare, così, un buon leader.
Lo sviluppo della leadership  è lo sviluppo   del  conoscere  se stessi,  riconoscendo  i propri  limiti  e difetti,  così da poter un giorno guidare e non giudicare gli altri;  essere utili non solo al proprio ego,  ma soprattutto a coloro che hanno a che fare con noi (e non solo nel lavoro), significa perseguire un nobile scopo.
Sono convinto che lo sviluppo personale possa essere contagioso come un sorriso.
Una volta  che possiamo  constatare di persona  che il progresso  è possibile, ci possiamo rendere conto del nostro potenziale di crescita, e questo influenzerà la nostra vita, la nostra salute e le nostre relazioni.

 

Prigionieri della speranza

Quante volte abbiamo sentito dire che “la speranza non è una strategia?”
Personalmente non potrei essere  più  d’accordo,  in  particolare quando si tratta di acquisire nuovi clienti.
Passo parecchio tempo con persone dedicate allo sviluppo di  nuovi  business e, dal mio punto di vista, troppi di loro usano la parola  speranza molto spesso.
Prigioniero della speranza è una frase che da una fotografia di atteggiamenti comuni, più di quanto si pensi, atteggiamenti tendenzialmente  controproducenti.
Ci sono “business developer” che interrompono le azioni  volte  a perseguire  nuove opportunità.
Sono coloro che hanno la “speranza” di chiudere le offerte in essere e che non insistono nella ricerca di nuove opportunità da inserire nel proprio imbuto di vendita.
Sono coloro che passano la maggior parte del loro tempo a preoccuparsi di offerte, magari anche  importanti, ma ormai quasi alla fine del ciclo di vendita e sui cui esiti non possono più incidere.
Arrovellandosi il cervello, sognano risultati  gratificanti,  cantandosela  e suonandosela,  divenendo prigionieri della loro stessa speranza.

Quando poi si confrontano sulla loro mancanza nello sviluppo  di nuove attività,  si fanno forza con proiezioni a volte fin troppo ottimistiche, esorcizzando la paura di un’eventuale chiusura non positiva.
Ma come abbiamo detto la speranza non è una strategia, e non è nemmeno un ingrediente della ricetta per il successo nello sviluppo di nuovi business.
Osservando i venditori possiamo affermare che, l’unico modo per garantire un sano sviluppo risiede nel diffondere la nostra attenzione, il nostro tempo e la nostra energia verso  offerte e prospettive che ci garantiscano più situazioni di vendita in più fasi del ciclo di vendita stesso.
Laddove ci sono business in dirittura d’arrivo, devono esserci anche business che sono appena agli inizi.

B2B due modi per affrontare il prezzo

Il prezzo è negoziabile?
Ci sono solo due modi per affrontare questo problema.
1. Interpretare la domanda come richiesta,  e quindi cedere abbassando il prezzo.  Inevitabile la domanda “la controparte sarà soddisfatta del prezzo da noi riformulato“?

2. Lavorare con i potenziali clienti per aiutarli a capire veramente il valore dei nostri servizi e prodotti. Dobbiamo aiutare i nostri clienti a comprendere il valore specifico che stiamo portando alla loro società, e come possiamo aiutarli a raggiungere i loro obiettivi. Se penseranno questo, difficilmente negozieranno per abbassare il prezzo.

Come si fa a mostrare il valore specifico?

Se stiamo creando una soluzione su misura il valore può essere dimostrato  dai ritorni misurabili nel breve, piuttosto che nel medio, termine.
Che si tratti di fidelizzare i dipendenti, migliorare l’efficienza, accentuare l’andamento delle vendite, aumentare l’acquisizione di nuovi clienti, ecc., l’essere capaci di dimostrare il valore specifico al cliente, consente di presidiare, a proprio favore, la negoziazione del prezzo.

Se siamo in difficoltà a presentare un valore specifico, allora dobbiamo approfondire la conoscenza dell’azienda cliente.
Per capirne i bisogni, e fare proposte di valore, abbiamo bisogno di capire  come funziona, quali sono gli obiettivi e le sfide specifiche.
Così facendo ci renderemo possibile lavorare per trovare soluzioni ai loro problemi , adoperandoci per essere un valore specifico nel soddisfare i loro obiettivi.

Vendere valore specifico è difficile, quasi impossibile se non si conosce il business del cliente, come opera, quali obiettivi si è dato.
Solo conoscendo a fondo la realtà del cliente potremo creare una soluzione che per lui sarà la miglior soluzione.

L’unico e solo percorso per diventare leader

Non è una domanda diversa da: “Come si diventa un ottimo genitore, o un ottimo consulente?”.
La risposta, per quanto banale, potrebbe essere “giorno dopo giorno, e per un  tempo ragionevolmente lungo“.
Il campo dello sviluppo della leadership è diventato un’industria da miliardi, di euro, con la sua pletora di libri, seminari, corsi, video, trainer e coach; purtroppo, credo che, molto di tutto ciò, sia semplicemente fuorviante e ingannevole.
Molti vogliono essere un leader, ma pochi sono effettivamente in grado di esserlo, e ancor meno vogliono accettare lo sforzo necessario per diventarlo, affidandosi a programmi che somigliano a diete improbabili quali “puoi mangiare tutto quello che vuoi e perdi 20 chili in una settimana” ovvero “leader di te stesso in 25 mosse” o “8 mosse per essere un leader migliore”.
Ricorrere a teorie semplificate, che invitano a consumare tutto ciò che sembra come una pillola magica per Leadership, è un’illusione.
Non ci sono pillole magiche per diventare leader, proprio come non ci sono pillole magiche per perdere peso, ottenere la piena forma, o diventare un ottimo genitore.
In parole povere il processo di leadership perché sia efficace, va allenato giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno.
La leadership è un processo (non una posizione).

Dobbiamo renderci conto che una parte della difficoltà della leadership è che alcune persone, pur essendo grandi visionari, non hanno le doti per influenzare gli altri a radunarsi intorno alla loro visione.
Altre, pur non essendo dotate di grandi visioni, sono molto influenti e di ispirazione per coloro che li circondano.

Quello che ho osservato nei miei anni di studio della leadership, è che ben pochi hanno tutti i doni e i talenti necessari, a cominciare  dalla fiducia in se stessi; è per questo che, i più intelligenti e avveduti, cercano di circondarsi di coloro che possono compensare le loro mancanze.

Sia chiaro, il mio intento è volto a incoraggiare il maggior numero possibile di persone ad esercitare la leadership tutte le volte che sia loro possibile, e il più a lungo possibile, anche se questo non significa necessariamente emergere come “leader”, ma semplicemente impegnarsi nell’esercizio della “leadership”.
Ricordiamoci, la performance umana non è altro che l’espressione della capacità e della volontà di svolgere un compito.
Capire cosa sta ostacolando le prestazioni e allenarsi sia a costruire le proprie competenze, che al motivarsi, aumenta la forza di volontà.
Cerchiamo di essere chiari: Non tutti possono diventare un leader, ma ognuno può impegnarsi in molto di più nella leadership!

Come trainer e coach sono convinto che, se vogliamo cercare di costruire seriamente le abilità e la volontà dei futuri dirigenti, dobbiamo presentare  loro le cose per come sono, così che che possano prepararsi al meglio nell’impegnarsi nell’esercizio della leadership, giorno dopo giorno, per un periodo prolungato di tempo, aumentando le probabilità di diventare, un giorno, grandi leader.

Acume di vendita e senso degli affari

Acume non significa conoscenza, vuol dire qualcosa di più.
Significa avere una visione, una percezione, una nitidezza.
I buoni venditori hanno acume nella vendita, hanno  abilità fondamentali quali il saper come superare le resistenze del compratore, ponendo domande efficaci, presentando soluzioni in forma di dialogo, e ottenendo l’impegno.
Ma hanno anche qualcosa di più, sanno  come tutte queste parti debbano lavorare insieme per poter fare buoni affari.
Sono sensibilità che si sviluppano nel corso del tempo.
Individuare su cosa puntare, sapere che cosa non funziona o funziona, creare i presupposti  affinché le loro controparti siano portate a confrontarsi e discutere, sono capacità di chi ha sviluppato il proprio acume nella vendita, e che gli permettono di creare offerte che altri venditori non sarebbero stati in grado di fare.
Queste qualità, però, non sono più sufficienti.
Ora più che mai, il venditore è sempre più un manager dal business.
Possedere le competenze di base di vendita rimane ancora il presupposto essenziale,  ma oggi è necessario, per il venditore, comprendere tutti gli aspetti generali del contratto.
Ha bisogno di un senso e di un fiuto degli affari che possono anche essere meno forti del proprio acume nella vendita, ma che devono eguagliare almeno il senso degli affari del direttore generale.

Domandiamoci

  1. In caso di vendita, siamo a disagio?
  2. Facciamo troppo affidamento su esperti e tecnici, anche per le domande più basilari?
  3. Ci chiediamo che cosa dobbiamo fare per sviluppare il nostro fiuto per gli affari?

Chiudere o Aprire?

 

Nessuno  potrà mai  dimenticare l’ammonizione di Blake per i venditori immobiliari in  “Americani”:  “ABC: A-Always  B-Be  C-closing” . . . chiudere sempre i contratti.

Blake  era  il  venditore,  brillantemente   interpretato  da  Alec Baldwin, inviato a migliorare i risultati di vendita di un gruppo di venditori di immobili  sotto performanti.
Uno  dei  motivi  per  cui  il personaggio  è così  attraente  sullo schermo è che è strettamente  abbinato  ai  comportamenti  di vendita di molti venditori in passato.

Questo è ciò che è stato insegnato e quello  che ci si  aspettava  da  loro.

Nel 1988, Neil Rackham (conferenziere e scrittore di  vendita e  marketing) ha  scritto un  libro intitolato “spin selling (situazione, problema, implicazione, beneficio) – la vendita spin”.

Rackham, che riteneva di avere trovato una correlazione diretta tra i comportamenti  di chiusura  e di vendita, con il suo “spin selling” tendeva a  confermare  la prassi  secondo  cui i  comportamenti  che  formulassero  più tentativi di chiusura, generassero più vendite  solo in presenza di un importo in dollari esiguo e i rischi fossero bassi, e che nelle vendite più importanti questa “insistenza” doveva essere surrogata da attività di apertura.
Proviamo a confrontare questi 2 atteggiamenti  complementari, che a  volte generano  contrasti nel venditore, soprattutto in presenza di vendite importanti o complesse.

L’atteggiamento closer  (chiudere) implica che,  durante tutto il processo di vendita, un venditore verifichi più volte la disponibilità a impegnarsi, ovvero che, per avere successo, egli punti su diverse richieste intermedie, al fine di facilitare la disponibilità e la convinzione all’acquisto da parte del cliente.
Molti  venditori, oggi,  ritengono questi  comportamenti da  “vecchia scuola”,  comunicando così il  disagio nei confronti di questo modello, che ritengono anche manipolatorio.
Incontrandoli e ascoltandoli  sorge spontaneo porre la  domanda “cosa succederebbe nella vita di un venditore se questi non riuscisse a ottenere impegni d’acquisto”?
Possiamo chiamarla chiusura, possiamo chiamarlo ottenere l’impegno,  ma è evidente che la predisposizione a “chiedere” è un attributo necessario ed essenziale del venditore.

Coloro che non sono inclini all’atteggiamento closer tendono a propendere e enfatizzare l‘atteggiamento opener di colui che ritiene che l’apertura sia molto più importante della chiusura.
Vero è che nell’attuale contesto l’apertura è  diventata una sfida  che ogni venditore  deve  essere  sempre più in grado di cogliere, ma resta il fatto che concentrarsi solo sull’aprire nella speranza che le  cose poi  vadano da sé, potrebbe dar luogo a cocenti delusioni.
Generare interesse, capacità di creare valore, generare nuovi appuntamenti per formulare nuove proposte sono attività indispensabili, ma non focali nel mantenere il controllo nella fase conclusiva della trattativa.

Il lavoro di Rackham che si basa, in sintesi, sul fatto che per una vendita di successo è il cliente, il compratore, che deve parlare, . . . condurre la conversazione per la maggior parte del tempo, questo è il “segreto” di SPIN selling. Come si fa a far parlare il cliente? Facendogli delle domande! Non semplici domande, domande “furbe”, poste in una specifica sequenza  . . . può essere, in parte, responsabile della mancanza di efficaci comportamenti di chiusura.

La vera abilità dei professionisti delle vendite è quello di essere in grado di  creare un  valore sufficiente  in ogni interazione,  capace di chiedere correttamente  l’impegno al cliente.

Domandiamoci

  1. Siamo tra coloro che cercano l’impegno del cliente in ogni interazione di vendita?
  2. Abbiamo la capacità di generare abbastanza interesse e abbastanza valore per il prospect?
  3. Cerchiamo di chiudere prima ancora di aver prodotto un valore sufficiente per la controparte?
  4. Impieghiamo più tempo nella ricerca di nuove opportunità per canalizzare le vendite di quello dedicato alla chiusura delle opportunità esistenti nella nostra pipeline?

Tutto è in movimento

In ogni relazione i rapporti, o migliorano, o peggiorano.
Bisogna affrontare il fatto, peraltro scomodo, che quanto abbiamo compiuto ieri per gli altri, è già storia passata.
Ciò che conta è cosa facciamo oggi, e cosa faremo domani, per loro.