follow up – anche se non c’è nulla di cui parlare

Vorrei condividere tre considerazioni sulle strategie di follow-up a seguito di un incontro, o una telefonata, con un cliente potenziale.

Il primo principio di ogni efficace follow-up è la conoscenza, ovvero “più si hanno informazioni sull’altra persona, più è facile trovare un motivo per riprendere contatto e superare eventuali filtri e resistenze”.

Diciamo che, se quello su cui puntiamo per conquistare un cliente potenziale, è utilizzare la maggior parte del tempo a nostra disposizione  per cercare di impressionarlo con la nostra “brochure verbale”, così da dimostrargli quanto siamo bravi, quando lo ricontatteremo non avremo praticamente nulla con cui rompere il ghiaccio.

Se, invece, investiamo il tempo disponibile per interessarci “sinceramente” alla sua attività, cercando di capire attraverso l’ascolto attivo il suo “punto di vista”, probabilmente avremo più “motivi” utili per poter tornare in gioco.

Il secondo principio, per un efficace follow-up, è quello di tornare in contatto subito dopo il primo incontro (faccia a faccia o telefonico) anche solo per dire semplicemente grazie per il tempo che ci è stato concesso o per qualcosa che ha caratterizzato la “conversazione”; questo favorirà il tentativo successivo telefonico o via mail.

Se si lasciano passare settimane, o addirittura mesi, per questo “follow up di cordialità” sarà imbarazzante rientrare in contatto quando avremo bisogno di qualcosa; funziona in modo simile anche su Linkedin. 

Il terzo principio è quello di tenersi in contatto, anche se non sembra esservi alcuna ragione evidente; una volta, in un seminario di comunicazione efficace, ho sentito dire che il segreto per mantenere buoni rapporti – nel mondo degli affari, come nel matrimonio – è “parlare anche quando non c’è niente di cui parlare“.

Per contattare qualcuno ci deve essere un “motivo”, chiacchiere e contatti casuali potrebbero anche infastidire; se, periodicamente, tenendo conto del fatto che viviamo in un mondo in cui la gente è sempre più occupata, mandiamo qualche notizia o informazione che potrebbe essergli utile, potremo mantenere una discreta presenza nell’assenza, e magari essere ricordati favorevolmente.

Infine dovremmo fare del follow-up un’abitudine sistematica.

Nel nostro data base, più che avere appunti su cosa potremmo vendergli, è meglio avere le migliori indicazioni su ciò a cui i nostri prospect sono interessati e su ciò che è importante per loro.

La chiave è riesaminare regolarmente i contatti ad alta priorità e trovare il modo per tenersi in contatto dando loro informazioni, idee e suggerimenti di valore (tipo inviare articoli, metterli in contatto con persone per loro utili, invitarli a eventi, ecc.).

Questo è quello che possiamo fare per “parlare anche quando non c’è niente di cui parlare“.

La vendita è passione, orgoglio, perseveranza

Per vendere dobbiamo avere passione per i nostri prodotti e servizi, per i nostri clienti, per noi stessi e l’azienda che rappresentiamo.

Spinti dalla convinzione che tutto sia possibile, accettiamo il rischio di sbagliare o fallire, piuttosto che rinunciare a provare.

Amiamo quello che facciamo, e ci impegniamo per essere sempre più bravi nel farlo.

Orgogliosi di quello che stiamo facendo e di quello che abbiamo da offrire, perché vendere non è un “business ombroso“.

Orgogliosi perché non siamo “venditori di fumo“; ci sforziamo per un accordo che avvantaggia sia i nostri clienti, che noi stessi.

Essere perseveranti, perché la maggior parte dei prospect, se non é costretta dagli eventi, decide con i propri tempi, che non sono quasi mai quelli del venditore.

Troppo spesso, chi vende, rinuncia troppo facilmente.

Rinunciare al primo no (e sono in tanti) e non andare oltre il terzo tentativo (e sono pochi quelli che tornano alla carica dopo 3 no) significa gettare via i propri sforzi.

Ciò di cui una gran parte dei venditori ha bisogno è la perseveranza.

Il nostro atteggiamento verso la vendita è di vitale importanza per il nostro successo: è l’olio per il nostro motore di vendita.

Mantenerlo fresco ci permetterà di mantenere acceso il nostro motore.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

Idee per clienti che dicano SI!

L’elemento più importante per il presidio del ciclo di vendita è sapere a cosa i vostri clienti e i vostri prospect sono disposti a dire SI.

No non sto parlando dell’orripilante percorso del “si” secondo il quale una persona dopo essere stata indotta a dire più volte si su questioni di dettaglio, non potrà far altro che dire “si” alla nostra domanda chiave . . . cercare di capire a cosa può essere sensibile un cliente non ha nulla a che vedere col manipolarlo.

Le organizzazioni di vendita più efficaci hanno incorporato, nel proprio processo di vendita, la sensibilità di allinearsi al percorso decisionale della controparte, invitando i propri venditori a investire il proprio tempo nel comprendere come allinearsi con il compratore. 

La chiave è il loro processo di acquisto, non il nostro processo di vendita.

Se non c’è un reale interesse da parte del compratore, o non vi è disponibilità economica, è difficilissimo, se non impossibile, ottenere il “SI” desiderato.

Se sbagliamo target, o non siamo in grado di soddisfarne esigenze e necessità, è difficilissimo, se non impossibile, ottenere il “SI” desiderato.

Se la persona con la quale parliamo non ha l’autorità per far smuovere un processo di acquisto internamente alla sua organizzazione, è difficilissimo, se non impossibile, ottenere il “SI” desiderato.

Anche se, il più delle volte, i clienti hanno una buona comprensione dei loro problemi, non sempre vogliono o possono risolverli.

Per questo motivo occorre la capacità di generare offerte capaci di supportare al meglio la complessità delle esigenze del cliente, partendo dal comprendere cosa per lui crea valore, collegando il suo mondo con le possibilità che noi possiamo portargli dall’esterno.

Le persone hanno bisogno di pensare in un modo diverso rispetto al passato.

Nella vendita di soluzioni “classica” vi è una forte enfasi sul pain e sulla diagnosi, quasi come un medico con un paziente che è indisposto, ma non sa quello che ha.

Le trasformazioni in atto che non sono un evento transitorio, ma un processo di cambiamento duraturo,  sottolineano come per i clienti sia ormai indispensabile scegliere la controparte giusta, e non solo la soluzione migliore o il prodotto adatto.

Per loro è importante avere qualcuno che li aiuti con nuove idee e prospettive, che capisca le loro esigenze, che li ascolti e li aiuti a evitare potenziali insidie, che si relazioni con loro, che collabori nel far loro raggiungere i risultati desiderati, e chi li aiuti a guardare e andare oltre.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

Superare l’obiezione sul prezzo in chiusura

Proviamo a immaginare questa situazione. 

Dopo alcuni incontri con un prospect, nel corso dei quali abbiamo avuto la possibilità di esaminarne la situazione, analizzarne le esigenze, conoscerne gli obiettivi (anche di medio termine), abbiamo sviluppato, e presentato, quella che riteniamo essere la migliore soluzione  per lui, e che prevede il suo sviluppo in più fasi per un investimento di € 18.700, che abbiamo peraltro già cercato di contenere.

Il nostro interlocutore, pur apprezzando la soluzione, sottolinea che è più di quanto pensava di spendere, e ci dice che non può andare oltre gli € 15.000.

Fermiamoci un attimo: come ci comporteremmo di fronte a questa resistenza?

Due banalissimi esempi possono esserci d’aiuto nella riflessione.

Nel primo caso il venditore si precipita a ricalcolare i costi associati alla soluzione, cerca quelli che possono essere eliminati, ripresentando il tutto a un prezzo più contenuto, grazie al taglio di 1 o 2 delle fasi che aveva inizialmente prospettato.

Per quanto la mossa restringa, e magari annulli, il divario tra le aspettative economiche del cliente e la richiesta iniziale, è bene ricordare che, così facendo, potremmo mettere in discussione la nostra credibilità.

La nuova offerta soddisfa si le esigenze di pricing del compratore, ma se la prima soluzione era davvero la soluzione migliore, la seconda proposta potrebbe essere considerata inadeguata in sede di trattativa o, peggio ancora, durante l’implementazione.

Se chi sta comprando apprezza la soluzione, ma discute sul prezzo, non ci sta necessariamente dicendo che, per spendere meno, è disposto ad avere di meno.

Vediamo ora un secondo caso in cui il venditore risponde a questa obiezione tentando di “trattare” sul prezzo. 

Prende la calcolatrice, ma solo per rielaborare la parte legata ai numeri, non mettendo mano immediatamente alla soluzione prospettata, e si prepara a ragionare in termini di un’eventuale chiusura dell’affare al ribasso.

In genere comincia con l’argomentare il costo, presentando tutta una serie di voci per giustificarlo, tentando di convincere il prospect a fare un passo in avanti rispetto alla sua disponibilità di spesa.

Se l’acquirente si muove ecco aprirsi la porta del possibile compromesso.

Di solito, a questo punto, una delle frasi di rito suona più o meno così: “mi rendo conto che € 18.700 sono un po’ di più di quello che stava pensando di spendere, ma se riuscissimo a venirle incontro, diciamo a € 17.000, potremmo trovare un accordo a questo prezzo“?

Anche in questo caso è possibile salvare la vendita, ma ancora una volta, la credibilità potrebbe vacillare.

Dopo tutto, se possiamo fornire la soluzione a € 17.000, perché non l’abbiamo presentata subito a quel prezzo?

Purtroppo quella che ancora oggi molti venditori non riescono a mettere in atto è una strategia che tenda a eliminare la probabilità della comparsa dell’obiezione sul prezzo nella fase di chiusura della trattativa.

L’ansia da prestazione non è mai una buona consigliera.

Se durante l’intervista, il venditore (o il consulente) anziché concentrarsi quasi esclusivamente sull’analisi delle esigenze (necessità, bisogni, pain), cercasse di valutare, prima ancora di pensare alla soluzione, il processo decisionale della controparte, il budget a sua disposizione, le eventuali possibilità di finanziamento, ecc., potrebbe avere un quadro di riferimento molto utile per quando sarà il momento di negoziare.

Potremmo trovarci nella situazione in cui il nostro interlocutore non è l’unica persona coinvolta nelle decisioni, con un budget stanziato o da stanziare, con criteri più o meno indispensabili da rispettare, ecc.

Se non c’è un budget, o il prospect non ha idea di quanto potrebbe essere disposto a investire, potremmo suggerire un range di investimento (mini-max) entro il quale una soluzione adeguata potrebbe ricadere, e chiedere al nostro interlocutore se un investimento all’interno di questo range potrebbe essere accettabile. 

Questo sempre prima di ragionare per approntare e presentare la nostra proposta, che probabilmente abbiamo già in mente, ma che in questa fase potrebbe essere il nostro peggior alleato.

L’utilizzo del range ci permette, esagerando, di presentarci con una buona soluzione, con un’ottima soluzione e con la migliore soluzione.

C’era una vecchia pubblicità che recitava “prevenire è meglio che curare”, e Mike Buongiorno amava chiedere “quale vuole la uno, la due o la tre?“.

Aldilà delle facili battute, tornando all’obiezione iniziale “è un po’ di più di quanto ci aspettassimo di spendere” dovremmo quantomeno chiederci, e avere la risposta, se la controparte ci sta dicendo che costiamo troppo, che non ha a budget la disponibilità necessaria, o se sta semplicemente mercanteggiando.

Se non abbiamo avuto occasione di elaborare una strategia che ci potesse mettere al riparo questa obiezione in fase di chiusura, se la soluzione prospettata è davvero la migliore, e il prezzo giusto, dovremmo rispondere immediatamente, soprattutto a salvaguardia della nostra credibilità “ . . . penso che potrei ridimensionare la soluzione proposta per soddisfare le sue aspettative di investimento, ma le chiedo se lei vuole davvero rinunciare (ridurre-ridimensionare) a ciò per cui ha appena mostrato apprezzamento e che  . . .

Così facendo riequilibriamo la “pressione” trasferendone una buona parte al prospect, che deve decidere se una soluzione meno “qualitativa” è per lui accettabile, o se, per quanto consapevole della rinuncia, ha bisogno di adeguarla alle sue aspettative di investimento.

Inoltre, se la nostra proposta si sviluppa in fasi, una parte dell’investimento potrebbe ricadere nel prossimo esercizio, salvaguardando soluzione e pricing.

Tornando per un attimo allo sconto, aldilà dei differenti impatti percettivi su cui non ci dilungheremo, sappiamo tutti che per il cliente, una volta ottenuto, non è un’eccezione, ma una regola che applicherà sistematicamente con quel fornitore.

Se quando facciamo una concessione, non riusciamo a ottenere una pur minima contropartita, dovremo rassegnarci a regalare.

La maggior parte delle situazioni legate alle obiezioni sul prezzo in fase chiusura possono essere eliminate, sensibilmente ridotte o frammentate, se, come già detto, ci occuperemo, fin dalle prime fasi della trattativa di vendita, di questioni quali il processo decisionale, il budget a disposizione, le eventuali possibilità di finanziamento, ecc.

Le obiezioni si possono subire, si possono gestire, si possono anticipare, ma i venditori più esperti le pongono all’interlocutore prima che vengano fatte loro e, possibilmente, prima dalla fase cruciale dell’accordo.

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4 passi per motivare un prospect

Una delle domande che un sales trainer o un sales coach ricevono più spesso dai venditori può essere così sintetizzata:

Ci siamo relazionati con un prospect, lo abbiamo interessato ai nostri prodotti e ai nostri servizi, pare anche disposto a comprare e tutto sembra procedere per il verso giusto, ma poi il silenzio . . . nessuna risposta,  nessuna conversazione, nessun riscontro a telefonate e mail. Come possiamo motivarlo a darci una risposta e, possibilmente, concludere l’affare?

La domanda sorge spontanea: si può motivare veramente qualcuno? 

La risposta lo è altrettanto: no. 

Non si può convincere qualcuno a fare qualcosa che non vuole fare. 

Spingere la vendita cercando di convincere e persuadere, funziona raramente se il prospect non ha una ragione per agire.

Eppure ognuno di noi ha le proprie motivazioni a fare o non fare, e chi vende dovrebbe cercare di capire quali sono i motivi che inducono la controparte a decidere, o temporeggiare.

Quando si capisce che cosa vogliono le persone con cui ci confrontiamo, e cosa sono disposte a fare per ottenerlo, è possibile mettere a frutto tale conoscenza. 

La motivazione viene definita come il desiderio di qualcosa unito alla volontà di agire per realizzarlo.

Nel contesto di questa definizione, come si fa a posizionare il prodotto o servizio in modo che il possibile compratore sia disposto ad agire?

Bastano quattro semplici passi per capire che cosa motiva il prospect, quattro passi che tutti conoscono, ma che la routine fa spesso trascurare.

Come diceva il saggio “sapere cosa fare, ma non farlo, equivale a non saperlo”.

  1. Chiedere: saper porre domande pertinenti e rilevanti significa adoperarsi non solo per condividere le informazioni, ma per creare una visione condivisa tra noi e il prospect.
  2. Ascoltare: fare buone domande non è sufficiente, occorrono anche ascolto e comprensione di ciò che l’altro ci sta dicendo; purtroppo molto venditori ancora oggi ascoltano prevalentemente se stessi e i propri pensieri, quasi incapaci di concentrarsi, facendosi fuorviare da pregiudizi e distrazioni.
  3. Confermare: verificando, controllando, ribadendo e approfondendo ciò che si pensa di aver capito della questione, e della controparte; questo atteggiamento ci costringe a migliorare il nostro ascolto e la nostra concentrazione sull’interlocutore.
  4. Connettere: significa collegare le proprie argomentazioni di vendita alle motivazioni del prospect creando quel “valore personale” capace di generare l’impatto nella vendita.

In definitiva, mentre la persuasione può essere definita come una modalità di comunicazione, la comprensione delle motivazioni personali della controparte, unitamente alla capacità di generare “valore personale”, possono essere le chiavi per conquistare la vendita.

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Il venditore visto dal compratore

Cosa separa veramente i migliori venditori dagli altri? 

I top performer conoscono l’importanza di capire la persona che effettua le decisioni di acquisto, prima ancora che i bisogni che dovranno soddisfare, e non danno nulla per scontato di chi “è lì, di fronte a loro“, in altre parole vendono, e comunicano, in funzione di chi compra, facendo tesoro degli errori e dei “rifiuti” che hanno costellato la loro esperienza professionale.

La maggior parte dei formatori alle vendite sottolinea l’importanza di far emergere, e padroneggiare, le esigenze del cliente, supportando i venditori nell’argomentare al meglio, al cliente stesso, come i loro prodotti e servizi possono aiutarlo nel raggiungere i propri obiettivi di business.

Questi approfondimenti formativi e le discussioni che ne nascono – senza dubbio fondamentali per un venditore che, sempre più spesso, si trova di fronte a prospect preparati ed esigenti – non sono però più sufficienti per un efficace sale’s positioning.

Pochi formatori affrontano il “come gli acquirenti vedono i venditori che presentano le informazioni“, in quanto argomento delicato, possibile generatore di resistenze e dissonanze che potrebbero bloccare il processo di apprendimento.

Eppure ragionare in funzione del punto di vista, e della possibile percezione del proprio interlocutore, è un altrettanto potente strumento di vendita.

Se a un’azione corrisponde una reazione, chi vende dovrebbe sforzarsi di pensare come la sua “comunicazione” de visu, piuttosto che telefonica, mail, sale’s letter, potrebbero impattare sul proprio interlocutore.

Colmare il gap tra il “come glielo direi” con il “come se lo vorrebbe sentir dire” è tanto facile a dirsi, quanto complicato a farsi . . . sono pochi quelli che provano a farlo, ancor meno quelli che lo fanno.

Aiutare chi vende ad apprendere come togliere questa distanza, significa dargli vero valore per poter padroneggiare anche le relazioni più complesse.

Si dice che fare domande al cliente non sia sufficiente, perché bisogna fargli le domande giuste e ascoltarne le risposte . . . più di trent’anni fa, ancora in un mercato di prevalente richiesta più che di offerta, quello che allora era il mio direttore vendite mi disse “ricordati che le soluzioni stanno sempre nella parole del cliente“, anche se ti mette alle strette, tu cerca di farlo parlare . . . se non parla tu non puoi ascoltare, e se non puoi, o non sai, ascoltare  . . . sei morto!”

Quanti venditori, ancora oggi, riducono le domande al minimo per andare il più velocemente possibile alla presentazione di argomentazioni, soluzioni  e prodotti?

Quanti venditori vivono ancora come se fossero negli anni 80 e 90, ignorando il fatto che oggi, per loro, è vitale avere informazioni più che darne?

Venditori ai quali dici “bisogna allineare il nostro modo di vendere al processo d’acquisto di chi compra” piuttosto che “non dobbiamo avere fretta di andare al sodo” e che ti rispondono “queste cose le so, non c’è bisogno che me le dica” . . . e se chiedi loro “cosa ti impedisce di farlo?” puntano l’indice verso qualcosa o qualcuno, come se la responsabilità non fosse loro, o solo loro.

Sapere cosa si dovrebbe fare, ma non farlo, equivale a non sapere.

Proviamo a chiederci “se a chi compra piace l’onestà di chi vende” utilizzare l’intercalare “voglio essere onesto con lei“, lo rassicura”?

Non si ha idea di come questa frase, ancora di uso comune, sia deleteria.

Di recente parlando con un responsabile commerciale questi mi ha confidato di aver preso parte, nel corso di un affiancamento, a una situazione imbarazzante.

Incalzato dal cliente il suo venditore se ne uscì con un “a essere onesti . . .“, a quel punto il cliente non lo fece neanche finire, sottolinenado che se doveva chiarire la necessità di essere onesto, era probabile che fino a quel momento non lo fosse stato, chiudendo la sua porta d’accesso a tripla mandata (quanti buyer hanno lo stesso pensiero pur non manifestandolo apertamente)?

A nulla sono valsi i tentativi di recupero del venditore e dello stesso responsabile.

Allineare la vendita al processo d’acquisto significa cercare di conoscere (o quantomeno informarsi) sul business del cliente e se, e come, possiamo essere utili nel suo sviluppo . . . oggi i clienti cercano partner, non solo fornitori, vedendo ogni singolo acquisto in funzione degli obiettivi e dei risultati che loro stessi vogliono raggiungere.

Per essere visti dal compratore come partner e problem solver affidabili dobbiamo rispettare il suo tempo, guardare le cose dal suo punto di vista, mantenere le promesse e non farne se sappiamo che non potremo mantenerle.

Certamente brand, prezzi competitivi, prodotti di qualità, processi efficienti hanno spesso un peso rilevante nel  successo della vendita, ma finché ci saranno trattative “faccia a faccia“, ci saranno sempre due o più persone che potranno “incontrarsi” o “allontanarsi“, aldilà della mera offerta.

In fondo chi vende (fossero anche un artigiano o un professionista che vendono se stessi) ha il privilegio di essere tra l’incudine e il martello delle esigenze di chi compra e di chi vende, cioè tra l’incudine e il martello di due o più persone, con tutti i pro e i contro che questo comporta.

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Il venditore resiliente

Quando vi è la “crisi”, o i momenti sono difficili, la domanda ricorrente è “come posso vendere quando nessuno compra?”, ovvero “come posso vendere quando le persone, spaventate dalla crisi, sono meno propense a spendere, anche a causa di una minore sicurezza e fiducia nel futuro”?

Pensare al “nessuno compra” anziché al “perché compra, chi compra” rischia di far precipitare il venditore in un pensiero negativo che lo allontanerebbe irrimediabilmente dal “creare un’atmosfera che invogli il proprio interlocutore a comprare da lui”.

Potrebbe sembrare una riflessione semplicistica, ma così non è.

In momenti in cui si modificano i processi d’acquisto e i bisogni dei “clienti”, la domanda giusta da porsi è: “come rispondo alle nuove esigenze, in un nuovo contesto”?

Vivere la crisi, e le difficoltà, come opportunità di sviluppo, per quanto possa sembrare una disquisizione retorica, significa vivere la vendita in funzione della necessità di ottimizzare il momento di contatto e di relazione con la clientela, intendendolo come una vera e propria “partnership” (altro termine troppe volte abusato), allineando il proprio percorso di vendita al processo d’acquisto di ogni interlocutore, tenendo conto dei suoi bisogni concreti e materiali, ma anche di quelli interiori, nonché delle aumentate resistenze emotive all’acquisto stesso.

Le aziende pensano a come re-ingegnerizzare il loro prodotti, ma ancora oggi – e non sappiamo se purtroppo o per fortuna – vi è una risposta che non si concentra tanto sulla loro qualità, né sull’efficienza della catena distributiva, quanto sulla capacità delle proprie persone di vendere in maniera superiore, soprattutto se pensiamo ai beni durevoli, complessi e tecnologici.

Disporre di prodotti eccellenti è fondamentale, ma ciò che permette a un’azienda di essere “sana” è la sua capacità di vendere e fare profitti.

Banale? Certo, se non fosse che, negli ultimi 20/30 anni, le imprese stiano riscontrando una palese difficoltà nel trovare un qualunque processo innovativo di vendita; ancora oggi i “numeri” sono affidati alle abilità di  manager e venditori,  al loro fiuto commerciale, al loro equilibrio interiore, e alle risposte che sanno darsi e dare.

In un contesto simile, chi vende deve far ricorso a personali forme di “training autogeno” che gli permettano di:
– credere in se stesso come vero impegno quotidiano di auto convincimento e auto incoraggiamento,
– credere nelle proprie possibilità (capacità – prodotto – azienda) per avere la forza del poter riuscire,
– ricercare le opportunità dove tutti vedono i limiti, mantenendo un atteggiamento positivo per predisporsi a risolvere i problemi.

Ancora oggi la vittoria che molti chiamano successo va alla persona più equilibrata, preparata, fiduciosa in sé stessa, disciplinata e responsabile, che non si abbatte, che fa della pazienza, della costanza, e del metodo le principali armi utili a un propositivo percorso di resilienza.

Per quanto vecchia e stra-utilizzata credo che in questa perla di saggezza, che ha senso nella vita e non solo per la vendita, ci stia uno dei significati profondi del coraggio  “l’uomo non fallisce quando cade, ma quando smette di rialzarsi”.

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Cross selling tradizionale? Freno per Banche e Assicurazioni

Vi siete mai chiesti quanto potrebbe migliorare il cross selling nella vendita di prodotti e servizi finanziari – assicurativi in agenzia, se il modello di vendita che oggi spinge ancora prevalentemente sul prodotto, fosse sostituito da un orientamento che tenda a sollecitare la domanda?

In un mercato sempre più affollato da nuovi competitor, modelli distributivi e informazioni facilmente accessibili, il punto focale dovrebbe essere più che mai il cliente, aldilà della facile retorica e di affermazioni lapalissiane.

Soprattutto nella vendita retail, ma non solo in quella, Banche, Assicurazioni e Società Finanziarie sanno di dover cambiare le loro strategie di cross selling per potersi allineare con queste nuove realtà, così da perseguire un posizionamento che consenta ai clienti esperienze più coinvolgenti, così da poter aumentare le proprie vendite, la fedeltà  e la quota di portafoglio.

Recenti studi effettuati sia da strutture interne, che da società opportunamente ingaggiate, rilevano che il marketing dei prodotti e  dei servizi finanziari – assicurativi ha bisogno di migliorare le comunicazioni legate al cross selling con i clienti attuali.

Queste ricerche, pur con qualche piccolo scostamento, danno indicazioni poco confortanti e pressoché univoche.

Tra l’altro è emerso che 2 clienti su 3 dichiarano di ricevere offerte generiche, raramente mirate alla loro situazione personale o professionale, che 2 clienti su 5 trovano fastidioso il modo con cui viene tentato di vendere loro qualcosa e che 1 cliente su 2 dichiara di ricevere offerte e sollecitazioni su prodotti che ha già dichiarato di avere, o non volere.

Inoltre i clienti che nel tempo si sono dimostrati più propensi ad acquistare (e tra questi quelli che non sanno dire di no) dichiarano una certa insofferenza circa i modi con cui chi propone forza loro la mano.

E le prime a confermare quanto appena descritto sono proprio le persone di vendita o a diretto contatto con la clientela.

La domanda è: possiamo considerare tutto ciò una modalità corretta per un cross selling efficace?

Se per anni segmentare è stata la parola d’ordine, un recente studio condotto da Deloitte conclude che Banche, Assicurazioni e Società Finanziarie hanno bisogno di andare oltre la pura segmentazione demografica, ormai insufficiente a ridisegnare strategie di canale e piani di comunicazione; oggi è necessario comprendere i tratti comportamentali e attitudinali dei diversi segmenti, se si vogliono generare offerte basate sugli atteggiamenti e sulle percezioni dei clienti.

Se pensiamo che già il definire 4 segmenti (clienti basic, acquirenti di valore, diversificatori e consolidatori)  può dar vita a un cross selling capace di un orientamento in grado di sollecitare la domanda, l’andare oltre le tradizionali strategie di cross selling non può essere ridotto al semplice incorporare il comportamento dei consumatori, sviluppando quelli che potremmo comunemente definire “un numero infinito di sottosegmenti“; proviamo a immaginare un approccio sostenuto da variabili legate ad esempio allo stile di vita, magari accompagnate da modelli predittivi. 

Inoltre un programma di cross selling di successo deve essere parte della cultura aziendale, così che le persone dedicate alla vendita ne possano beneficiare sia nei momenti di analisi, che di trattativa, anche grazie al supporto attivo di un CRM un po’ più “sales” di quelli che in genere hanno a loro disposizione.

Ma per quanto sulla teoria si sia quasi sempre tutti d’accordo, nella pratica . . . .

Oggi dovremmo già essere oltre quel segmentare che ha dato vita a svariati modelli di servizio (raramente orientati al cliente), dovremmo trovarci nell’era del  segmentare capace di offrire una vera consulenza di vendita, eppure la “strategia industriale” ancora oggi imperante nella “vendita di prodotti finanziari e assicurativi” è quella di un cross selling focalizzato su prodotti e campagne.

E questo non aiuta chi dovrebbe promuovere lo sviluppo, e quindi i numeri, della propria Azienda.

Parlare seriamente di pianificazione finanziaria,  e dare vita a un percorso di consulenza che ci rafforzi  come fornitore di fiducia, richiede di cambiare l’approccio al cliente e quindi alla vendita, privilegiando quell’ottica qualitativa che ci permetta di raggiungere gli obiettivi quantitativi necessari.

Come possono Banche, Assicurazioni e Società Finanziarie, tramite le proprie persone di contatto, dar vita a una forte proposta di valore che le aiuti ad avere successo nelle proprie attività di cross selling in un mercato in cui nuovi competitor sempre più aggressivi esaltano nella loro comunicazione il contrasto tra gli interessi del cliente e quelli del sistema distributivo tradizionale?

Il riposizionamento del processo di vendita non può essere solo un’iniziativa di marketing, ma deve essere una iniziativa strategica in tutta l’organizzazione, cominciando con il dotare la forza vendita di metodi e strumenti utili per un efficace cross selling.

In ogni organizzazione di vendita, quando si parla di cross selling, ci si riferisce a obiettivi aggressivi (purtroppo non sempre realistici), sicuramente supportati da una buona segmentazione, ma ancora poveri di una forte proposta di valore capace di coinvolgere i clienti prima ancora di tentare di vendere loro.

Proprio perchè ogni organizzazione di vendita è unica, è necessaria la sua capacità di offrire alle proprie persone di “contatto” la possibilità di rafforzare la propria valenza commerciale migliorandone le prestazioni e, di conseguenza, la “produzione“.

A volte può essere utile far ricorso a un partner esterno in grado di confrontarsi e supportare venditori e consulenti, capace di comprendere la loro realtà, ma anche di conservare quel giusto distacco che li possa aiutare a lavorare sulle aree di miglioramento  legate agli elementi essenziali utili a poter sintetizzare un metodo di vendita che sappia integrare value proposition, solution selling e insight selling.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!

Due parole sull’essere competenti

Le persone dimenticano come hai svolto rapidamente un lavoro, ma ricordano come lo hai svolto bene” – Howard W. Newton –

Gli individui competenti hanno alcune cose in comune.

1.      Sono impegnati in vista dell’eccellenza. L’eccellenza, che è il raffronto tra il nostro valore e il nostro potenziale, è a disposizione di tutti, e, a differenza del successo, dipende solo da noi.

2.      Non si accontentano della media. Anziché fare un lavoro a metà le persone competenti focalizzano l’energia e gli sforzi su ciò che fanno bene, dando tutto ciò che hanno.

3.      Prestano attenzione ai dettagli. Se si svolgono bene i piccoli lavori, quelli grandi tendono a procedere bene da soli.

4.      Offrono costantemente una buona performance. Danno il meglio di sé in continuazione, e questo è importante.

Chiediamoci:

  • focalizziamo le nostre energie su ciò che sappiamo fare bene in modo da aumentare le nostre competenze?
  • gli altri possono confidare sul nostro mantenere gli impegni presi?
  • ci concediamo il tempo per “rivedere” noi stessi?

La qualità della vita di una persona è direttamente proporzionale al suo impegno in vista dell’eccellenza, a prescindere dal campo di attività prescelto” – Vince Lombardi –

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2016 e obiettivi di vendita

All’inizio di ogni nuovo anno, quasi tutti si chiedono “cosa ci porterà”, e  cosa si può fare per viverlo e affrontarlo al meglio.

Tutti i professionisti delle vendite, dal  direttore al funzionario commerciale, nel B2B come nel B2C, in qualunque settore (banche, assicurazioni, industria, commercio, ecc.) ha bisogno di prendere tempo per considerare quello che, con ogni probabilità, influenzerà il  suo lavoro (mercato, concorrenza, innovazione, ecc.) e i conseguenti obiettivi di vendita.

Dal momento che non esistono due aziende perfettamente uguali, vuoi per dimensione e struttura, piuttosto che per settore e mercato, le sfide che ognuno dovrà affrontare saranno diverse, pur non mancando un terreno comune su cui confrontarsi.

Le attività Account-Based Marketing, perlopiù rivolte a “grandi clienti”, sia sui social che in forma diretta, e ormai trasversali nella maggior parte delle aziende che operano nel B2B, hanno visto, e molto probabilmente vedranno, investimenti importanti nella tecnologia di supporto, che tanto fa, ma non può fare tutto.

Sarà importante risolvere il problema legato alla coerenza tra una messaggistica mirata al creare un ponte con il “prospect”  e il conseguente lavoro delle persone del team di vendita, indirizzato a tradurre i contatti generati in appuntamenti, ovviando al rischio di sforzi non finalizzati che potrebbero aprire spazi alla concorrenza.

Tutto questo, per ogni professionista delle vendite (sales manager, key account manager, ecc.), che si deve confrontare con un management quasi sempre orientato, in forma pressoché esclusiva, all’aumento della produttività, potrebbe significare una perdita di efficienza,  anche a causa di sistemi decisionali sempre più complessi e legati al reperimento, e alla gestione, di un costante flusso di informazioni.

Per circa i 2/3 delle aziende che hanno a che fare con clientela B2B, ma volendo potremmo allargare la riflessione anche alla vendita B2C – retail,  la vera difficoltà è considerare il marketing e le vendite come team allineati.

Chi, nel marketing, continuerà a non ragionare in funzione del “team di vendita” che è il suo primo “cliente”, perpetuerà il disallineamento organizzativo e tutto questo, soprattutto se pensiamo al costante aumento delle attività di outbound, relativamente al trasferimento di alcune azioni di vendita direttamente al marketing.

Molti venditori professionali dichiarano di trovarsi nell’incresciosa situazione di non saper come coinvolgere efficacemente i “lead altamente qualificati” provenienti da un marketing “one a one” sempre più orientato alla qualità, piuttosto che alla quantità, dei contatti; una “sales force” disallineata corre normalmente  il  rischio di bruciare un contatto qualitativo ponendo in essere, in tempi pressoché immediati, una tentata vendita.

Si chiede a chi vende di ascoltare attivamente, di generare proposte consultive imperniate su soluzioni e idee (solution and insight selling), ma in alcuni casi con poca preparazione e supporti.

Questo non facilita la creazione di contenuti di valore (nuovi o rinnovati) capaci di differenziare sia l’offerta, che il posizionamento, soprattutto nel caso di quelle realtà che puntano ancora sul servizio, sulle relazioni e sulla vendita basata sulla trattativa e sulla conversazione commerciale.

Si fa un gran parlare circa il rispettare il processo di acquisto del cliente, l’accompagnarne il processo decisionale, anziché spingere la vendita, al fine di poter prendere posizioni efficienti e decisioni efficaci, ma quali fatti seguono alle parole?

Se siamo tutti d’accordo che allineare il proprio processo di vendita ai differenti processi d’acquisto dei singoli prospect può dare, come risultato, aziende felici, clienti felici, venditori felici, perché ancora oggi vi è un dominio della cultura push?

Forse perché è faticoso investire nel capire il “percorso” del cliente, mappandone il viaggio, ovvero il processo decisionale, così da poter offrire un sempre maggior valore alle nostre strategie d’offerta?

In un mondo in cui i prospect (B2B e B2C) preferiscono condurre le proprie ricerche online, al fine di essere pronti e preparati nel momento in cui incontreranno le differenti controparti commerciali, ogni persona di vendita dovrebbe essere messa in condizione non solo di riflettere su come modificare il proprio processo di vendita, ma dotata della cultura e degli strumenti utili  per capire veramente come i clienti vogliono comprare e  offrire loro valore in ogni interazione.

In un mondo tecnologicamente rumoroso, ma fatto anche di assordanti incomunicabilità,  bisogna concentrarsi su ciò che è veramente importante per massimizzare i ritorni di ogni singolo sforzo commerciale.

In un percorso di vendita professionale vince sempre la concretezza . . .  si apprende da ciò che funziona, e sta già funzionando per altri!